Che paura che fa il futuro dello Stivale, in mano a cementificatori, nuclearisti, bunghisti e reazionari. Contro la “razionalità” del Corsera ci vorrebbe un sogno vero.
Oggi è il compleanno d’Italia. Nel fiume di celebrazioni che ci investirà non mancherà la retorica buonista e nazional-patriottica. Una volta l’anno ci può anche stare. Meglio la celebrazione dei garibaldini che il leghista universo delle micropatrie razziste. La verità però è che la festa è un po’ rovinata dagli eventi, internazionali e domestici. Il Giappone vive ancora col fiato sospeso per sapere quanti morti dovrà piangere. E quanti anni, o decenni, dovrà attendere prima di tornare sui luoghi del disastro nucleare di Fukushima. Ma non basta. Di fronte alle nostre coste le rivolte arabe, che ci avevano scaldato il cuore e tenuto svegli la notte, vivono un momento di triste arretramento. In Egitto il popolo di Tahrir è stato tradito dall’esercito. In Libia, Gheddafi il folle marcia con i tank e bombarda dal cielo l’ultima roccaforte dei ribelli a Bengasi. Nel Golfo invece i carri sauditi, i nostri cari amici e storici alleati sauditi, affogano nel sangue la rivolta del Bahrein, come i Russi nel 1968 a Praga (solo che oggi ben pochi condannano i “russi-sauditi”). L’Europa, il mondo, assistono al declino del sogno rivoluzionario arabo con colpevole impotenza. Forse anche con sollievo, visto che la nostra tradizione è quella di intessere stretti rapporti con dittatori, oligopolisti e plutocrazie (da Gheddafi a Putin, passando per Wen Jiabao e Lucashenko la lista è lunga) piuttosto che agire da “promotori” di democrazia. Sarà più facile per l’Eni tornare al tavolo con il Colonnello che trattare con un nuovo caotico e ingestibile Consiglio rivoluzionario? Certo il minimo che ci si può augurare è che Gheddafi venda davvero tutto il suo petrolio a Cina e Russia, aggiungendo il danno alla beffa per l’inutile Europa. Ma c’è da scommettere che ciò non avverrà. Seppelliti i morti e scatenata la repressione, gli affari torneranno ad essere affari. I compleanni di solito servono, oltre a compromettere inutili diete, a fare bilanci e progetti per il futuro. Ma sul futuro italiano c’è poco da stare allegri vista la serie di sfide che dovremo affrontare. A partire da quella economica, ma non solo. Bonaccorsi dalla prima Siamo male attrezzati per competere col mondo globalizzato, perchè produciamo, da troppo tempo, pochissima innovazione. In questi giorni stiamo vivendo la più palese delle dimostrazioni di incongruità tra il futuro e la classe politica dominante. Di fronte al disastro giapponese, e al globale spostamento verso l’alta tecnologia e le fonti energetiche rinnovabili, il governo italiano insiste nell’imbarcarsi in una costosissima avventura nucleare. Nel Paese in cui andando in treno da Roma a Milano la linea telefonica cade 10 volte e non c’è un wi-fi degno di questo nome per lavorare, l’armata Brancaleone del premier procede con i suoi pseudo progetti a base di cemento, asfalto, radiazioni e tagli alla ricerca scientifica. Siamo anche impreparati alla inevitabile ondata migratoria che sarebbe arrivata comunque, rivoluzioni o no. L’impoverimento del Paese ha scatenato da anni ormai la lotta per quel poco che resta. La parabola elettorale della Lega ricalca, in controluce, quella dell’egoismo nostrano con relativa involuzione culturale bunghista. Nel breve periodo poi l’Italia dovrà affrontare la difficile uscita dalla crisi dei debiti sovrani in Europa, e i rischi conseguenti di crisi dell’euro. Dovrà affrontare l’inflazione che viene dal petrolio, e tassi d’interesse che salgono. Con quali idee, con quali persone? L’Italia è vecchia, dentro. E l’incarnazione migliore della sua incapacità di entrare nel futuro si trova oggi nel pressapochismo del Corriere della Sera di Ferruccio de Bortoli. Lo storico quotidiano (tornato alla preveggenza delle crociate contro la minigonna degli anni ‘60) ha scomodato firme del calibro di Stella, Rizzo e Mucchetti per sferrare l’attacco mediatico al settore delle rinnovabili. Ieri poi ci è toccato leggere pure Panebianco, che ha diviso il mondo tra i “razionali” che accettano i rischi del nucleare e gli “irrazionali” che per paura lo osteggiano. Che regalo ci ha fatto Panebianco. Perchè il suo “razionale” mondo è incastrato tra nucleare e petrolio, tra radiazioni e conflitti fossili, condito da una approssimazione scientifica imbarazzante. Per il corsivista di via Solferino “bisogna pur accettare qualche rischio”, in fondo la vita oggi è meglio di 50 anni fa. E allora di cosa ci lamentiamo? Probabilmente le stesse parole venivano rivolte anni fa ai minatori che chiedevano misure di sicurezza, per non morire come topi nei tunnel del carbone che serviva al “progresso”. Questo mondo del “razionale” Panebianco fa davvero schifo. Forse perchè per sognare qualcosa di diverso (da questa oscena realpolitk e realeconomics) bisogna essere, almeno un po’, “irrazionali”. Perchè certo sognare di vivere grazie all’energia che viene da vento, acqua e sole è una prospettiva tecnologica che ha una sua cifra “poetica”. E allora, tanti auguri Italia, cento di questi “irrazionali” sogni.
da Comitato Boscotrecase
Oggi è il compleanno d’Italia. Nel fiume di celebrazioni che ci investirà non mancherà la retorica buonista e nazional-patriottica. Una volta l’anno ci può anche stare. Meglio la celebrazione dei garibaldini che il leghista universo delle micropatrie razziste. La verità però è che la festa è un po’ rovinata dagli eventi, internazionali e domestici. Il Giappone vive ancora col fiato sospeso per sapere quanti morti dovrà piangere. E quanti anni, o decenni, dovrà attendere prima di tornare sui luoghi del disastro nucleare di Fukushima. Ma non basta. Di fronte alle nostre coste le rivolte arabe, che ci avevano scaldato il cuore e tenuto svegli la notte, vivono un momento di triste arretramento. In Egitto il popolo di Tahrir è stato tradito dall’esercito. In Libia, Gheddafi il folle marcia con i tank e bombarda dal cielo l’ultima roccaforte dei ribelli a Bengasi. Nel Golfo invece i carri sauditi, i nostri cari amici e storici alleati sauditi, affogano nel sangue la rivolta del Bahrein, come i Russi nel 1968 a Praga (solo che oggi ben pochi condannano i “russi-sauditi”). L’Europa, il mondo, assistono al declino del sogno rivoluzionario arabo con colpevole impotenza. Forse anche con sollievo, visto che la nostra tradizione è quella di intessere stretti rapporti con dittatori, oligopolisti e plutocrazie (da Gheddafi a Putin, passando per Wen Jiabao e Lucashenko la lista è lunga) piuttosto che agire da “promotori” di democrazia. Sarà più facile per l’Eni tornare al tavolo con il Colonnello che trattare con un nuovo caotico e ingestibile Consiglio rivoluzionario? Certo il minimo che ci si può augurare è che Gheddafi venda davvero tutto il suo petrolio a Cina e Russia, aggiungendo il danno alla beffa per l’inutile Europa. Ma c’è da scommettere che ciò non avverrà. Seppelliti i morti e scatenata la repressione, gli affari torneranno ad essere affari. I compleanni di solito servono, oltre a compromettere inutili diete, a fare bilanci e progetti per il futuro. Ma sul futuro italiano c’è poco da stare allegri vista la serie di sfide che dovremo affrontare. A partire da quella economica, ma non solo. Bonaccorsi dalla prima Siamo male attrezzati per competere col mondo globalizzato, perchè produciamo, da troppo tempo, pochissima innovazione. In questi giorni stiamo vivendo la più palese delle dimostrazioni di incongruità tra il futuro e la classe politica dominante. Di fronte al disastro giapponese, e al globale spostamento verso l’alta tecnologia e le fonti energetiche rinnovabili, il governo italiano insiste nell’imbarcarsi in una costosissima avventura nucleare. Nel Paese in cui andando in treno da Roma a Milano la linea telefonica cade 10 volte e non c’è un wi-fi degno di questo nome per lavorare, l’armata Brancaleone del premier procede con i suoi pseudo progetti a base di cemento, asfalto, radiazioni e tagli alla ricerca scientifica. Siamo anche impreparati alla inevitabile ondata migratoria che sarebbe arrivata comunque, rivoluzioni o no. L’impoverimento del Paese ha scatenato da anni ormai la lotta per quel poco che resta. La parabola elettorale della Lega ricalca, in controluce, quella dell’egoismo nostrano con relativa involuzione culturale bunghista. Nel breve periodo poi l’Italia dovrà affrontare la difficile uscita dalla crisi dei debiti sovrani in Europa, e i rischi conseguenti di crisi dell’euro. Dovrà affrontare l’inflazione che viene dal petrolio, e tassi d’interesse che salgono. Con quali idee, con quali persone? L’Italia è vecchia, dentro. E l’incarnazione migliore della sua incapacità di entrare nel futuro si trova oggi nel pressapochismo del Corriere della Sera di Ferruccio de Bortoli. Lo storico quotidiano (tornato alla preveggenza delle crociate contro la minigonna degli anni ‘60) ha scomodato firme del calibro di Stella, Rizzo e Mucchetti per sferrare l’attacco mediatico al settore delle rinnovabili. Ieri poi ci è toccato leggere pure Panebianco, che ha diviso il mondo tra i “razionali” che accettano i rischi del nucleare e gli “irrazionali” che per paura lo osteggiano. Che regalo ci ha fatto Panebianco. Perchè il suo “razionale” mondo è incastrato tra nucleare e petrolio, tra radiazioni e conflitti fossili, condito da una approssimazione scientifica imbarazzante. Per il corsivista di via Solferino “bisogna pur accettare qualche rischio”, in fondo la vita oggi è meglio di 50 anni fa. E allora di cosa ci lamentiamo? Probabilmente le stesse parole venivano rivolte anni fa ai minatori che chiedevano misure di sicurezza, per non morire come topi nei tunnel del carbone che serviva al “progresso”. Questo mondo del “razionale” Panebianco fa davvero schifo. Forse perchè per sognare qualcosa di diverso (da questa oscena realpolitk e realeconomics) bisogna essere, almeno un po’, “irrazionali”. Perchè certo sognare di vivere grazie all’energia che viene da vento, acqua e sole è una prospettiva tecnologica che ha una sua cifra “poetica”. E allora, tanti auguri Italia, cento di questi “irrazionali” sogni.
da Comitato Boscotrecase
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