mercoledì 30 marzo 2011
Comitato pro Maresca: mercoledì incontro con il direttore sanitario
“Fra pochi giorni avremo la delibera formale che sancirà l'unione definitiva dei due ospedali”. Lo disse martedì primo marzo l'avvocato Gennaro Torrese al comitato pro Maresca, riunito nell'aula consiliare di palazzo Baronale, a Torre del Greco. Quel giorno il comitato, che occupava la sala da una settimana sperando di ottenere un segnale dai piani alti, decise di prendere per buone le parole del manager dell'Asl Na3 Vittorio Russo e del presidente della commissione sanità regionale Michele Schiano. Secondo le loro promesse, i presidi di Torre del Greco e Boscotrecase dovrebbero diventare un unico ospedale, in modo da cancellare definitivamente l'eventualità, per il Maresca, di divenire centro per riabilitazione e lungodegenza. Le competenze e i reparti, in questo modo, verrebbero ripartiti tra le due strutture in base alle esigenze della popolazione. “Ma dov'è questa delibera?”, si chiedono oggi, a quasi un mese di distanza dalle promesse, i membri del comitato. “Oramai siamo a fine marzo, e della delibera non abbiamo visto nessuna traccia”. Per questo bisogna riprendere in mano la situazione: questa mattina il comitato si riunirà al quarto piano del Maresca per cercare di fare il punto della situazione e coordinare le prossime mosse. Domani, invece, il comitato dovrebbe incontrare il nuovo direttore sanitario del nosocomio, Giuseppe Forte, per mettere subito in chiaro obiettivi e speranze della protesta, per parlare della fantomatica delibera e delle promesse ricevute un mese fa: gli spiegheranno che Schiano e Russo hanno dichiarato che lasceranno il pronto soccorso H24 al Maresca attraverso un escamotage, ovvero spostando a Torre del Greco lo SPDC (l'igiene mentale) che, per legge, deve essere fornito di un presidio di pronto soccorso. In più dovrebbero restare – sono ancora solo promesse, ovviamente –Gastroenterologia, Chirurgia e il laboratorio d'analisi per un anno a partire dalla data di attuazione del piano di rientro.
Il comitato ha comunque già avuto modo di sondare il terreno con il nuovo arrivato. Ha parlato con lui tre giorni fa, ma Forte andava di fretta e non si è riuscito ad andare a fondo nella questione. La speranza è che, almeno questa volta, il comitato potrà contare sull'aiuto fattivo – e non solo sbandierato – del proprio direttore sanitario.
Il comitato ha comunque già avuto modo di sondare il terreno con il nuovo arrivato. Ha parlato con lui tre giorni fa, ma Forte andava di fretta e non si è riuscito ad andare a fondo nella questione. La speranza è che, almeno questa volta, il comitato potrà contare sull'aiuto fattivo – e non solo sbandierato – del proprio direttore sanitario.
Arnaldo M.Iodice - lapilli.eu
XXIII EDIZIONE DI “ITINERARI VESUVIANI TRA ARTIFICIO E NATURA”
Quest’anno l’itinerario dell’Ente Ville Vesuviane parte venerdì 29 aprile: alle h 20 si terrà un concerto a Villa Campolieto ad Ercolano; di domenica in domenica proseguirà con la visita a Villa Tufarelli a San Giorgio a Cremano, la visita alla Chiesa di san Ciro a Portici e la regata velica “Sulle rotte dei Borbone”. Venerdì 20 maggio, invece, ancora un concerto, questa volta a Villa Ruggiero, sempre ad Ercolano. Le due domeniche successive le visite riprenderanno con gli appuntamenti alla chiesa di Santa Maria del Pilar, ad Ercolano, e alla Basilica di Santacroce, a Torre del Greco. L’itinerario si conclude il 5 giugno, con la tradizionale visita a villa “La Favorita”e al suo parco sul mare, giornata che coincide con l’appuntamento de “Le Ville d’Italia”: tutte le Associazioni ed Enti che ne fanno parte, apriranno le antiche dimore al pubblico.
L’Arch. Celeste Fidora, come consueto, ci accompagnerà e guiderà le visite ad alcune delle 121 Ville Vesuviane, che sono veramente un gioiello incastonato nello scenario naturale del nostro territorio. Il tema della XXIII edizione è “Sacro e profano”; il filo conduttore ogni anno viene ispirato da un avvenimento: un’inaugurazione, un restauro, una nuova villa vesuviana aperta al pubblico. Abbiamo chiesto all’arch. Celeste Fidora perché il tema di quest’anno è “Sacro e Profano”. Il momento attuale ci è parso caratterizzato dalla ricerca di pace interiore; inoltre, per il popolo vesuviano le chiese erano e sono importanti, sia perché luoghi di preghiera sia per le profonde tradizioni di culto.
Proprio questa forte presenza religiosa sul territorio ci ha spinto a programmare la visita a tre chiese: San Ciro, a Portici, dove illustreremo gli affreschi e i quadri; ci soffermeremo particolarmente sulla processione del Santo, che è molto sentita rispetto, ad esempio, a quella di san Gennaro, poco conosciuta persino dai napoletani stessi. In seguito visiteremo la Basilica di Santacroce a Torre del Greco, città che annovera ben due importanti processioni: quella dell’Immacolata, l’8 dicembre, e quella dei ‘Quattro Altari’, a giugno. Sempre a Torre del Greco, ci sarà la visita alla chiesetta dell’Assunta, in cui si vedono i resti dell’antica struttura sepolta dalla lava dell’eruzione del 1944, che quindi è sotto il livello stradale; vi troviamo le due botole che davano accesso alla Terrasanta dove seppellivano i confratelli; infatti si intravedono resti umani. E’ prevista una visita anche a Santa Maria del Pilar, ad Ercolano, dove è conservato il quadro della Madonna, che ha una storia molto interessante.”
Oltre alle chiese, c’è qualche altra visita da sottolineare nell’itinerario di quest’anno?
“Si,Villa Tufarelli a San Giorgio a Cremano; è privata ed ancora abitata dai Conti. E’ molto interessante perché non fa parte delle ville del Miglio costiero, ma è situata alle pendici del Vesuvio e conserva ancora tutti i tre elementi che caratterizzavano le ville a monte: boschetto, giardino di frutta e giardino di delizie. Il giardino era la parte delle ville più bella, in quanto era lì che si trascorreva la maggior parte del tempo. Purtroppo, sono stati i primi a scomparire, perché era più facile vendere un terreno che non un immobile. In contrasto, le facciate che davano sulla strada erano semplici e lineari, certamente meno elaborate di quelle dei palazzi napoletani. Il gioco di architetture, elementi decorativi, panche, gazebo, grillage, esedre e viali venivano tutti posizionati sul retro, e i parchi erano orientati verso il panorama: quelli a monte guardavano il Vesuvio, quelli a valle il mare. Anche la vegetazione cambiava: nei primi si piantavano boschetti di lecci, più alti; nei secondi boschetti di camelie o piccoli palmetti per lasciare libera la visuale del panorama.”
Come si pone la sua Associazione rispetto alla Fondazione “Ente Ville Vesuviane”?
“L'Associazione Culturale ‘Amici delle Ville e dei Siti Vesuviani’, costituita nel 1988, collabora con la Fondazione per il recupero e la salvaguardia del patrimonio architettonico della nostra regione. Si tratta di un’Associazione no-profit che svolge un’ ampia attività di studio, ricerca e documentazione nel campo culturale, artistico, sociale del patrimonio delle Ville Vesuviane, facendo divulgazione a livello nazionale ed internazionale. Siamo stati i primi a fare visite via mare, ad accedere a ville private; in questi anni abbiamo organizzato convegni, seminari, corsi di antiquariato, documentazioni fotografiche e filmati e, inoltre, al nostro attivo ci sono due pubblicazioni: ‘Ville Vesuviane e Siti Reali’, autore Celeste Fidora, e ‘Ville e delizie Vesuviane del ‘700’, autori Celeste Fidora e Sergio Attanasio. Le Ville Vesuviane sono poco conosciute all’estero: noi operiamo in modo da diffondere il più possibile notizie, affinché il patrimonio architettonico della Campania non rimanga circoscritto.”
Come si spiega che un simile patrimonio sia in gran parte sconosciuto?
“Perché manca un progetto concreto che coinvolga il visitatore in un itinerario culturale e turistico globale, dal pernottamento, all’accoglienza, ai ristoranti. Se pensiamo soltanto che non esiste un book-shop, dove si possano comprare libri, gadgets e guide, negozi che sono presenti presso tutti i Musei, ci rendiamo conto che i 5 comuni del Miglio d’Oro, per quanto si siano organizzati per l’accoglienza, ancora non tengono conto delle esigenze dei turisti, che, se vanno a visitare una villa, trovano il caos, si sentono spaesati. Se non ci si accorda e stabilisce un programma comune, il turista straniero arriva e non trova nulla: non sa nemmeno dell’esistenza delle Ville! Bisognerebbe, perciò, pensare ad una pianificazione per far conoscere le Ville all’estero.”
Secondo la sua opinione, cosa si potrebbe fare?
“Un mio progetto c’è, ma aspetto tempi maturi per proporlo. Comunque, si potrebbe cominciare col rivedere tutto il sistema culturale-turistico della zona vesuviana, ma facendo interventi globali, non singoli per comune; io e la mia Associazione saremmo anche disposti ad impegnarci e dare il nostro contributo. La Provincia di Napoli, potrebbe ad esempio creare un website, dove si acquisiscano e diffondano tutte le notizie sulle ville, le iniziative, le manifestazioni, gli eventi, insomma tutte le informazioni che portino turismo. Cioè, se a giugno c’è la festa dei ‘Quattro Altari’ a Torre del Greco, si può proporre un pacchetto turistico che comprenda un itinerario bucolico che porti a Somma Vesuviana a fare la raccolta dell’albicocca ‘pellecchiella’, che è una varietà eccezionale di albicocche che si trova solo lì, e poi anche la sagra della ciliegia di Chiaiano, dove ci sono le migliori della Campania, e poi un concerto agli scavi, in modo che il turista si fermi tutta la settimana.
Ma dev’essere accolto, coccolato, avere la possibilità di coniugare cultura, natura e tradizione. Oppure, in autunno si potrebbe proporre un itinerario che comprenda la vendemmia a Terzigno, insieme ad un percorso botanico; questo in altre regioni avviene, ma da noi no. Eppure, nella nostra Provincia si fanno tante di quelle cose: manca l’informazione e il coordinamento. Le idee ci sono e non prevedono costi altissimi; manca solo la buona volontà delle Istituzioni per metterle in pratica. Abbiamo già tanto, non dobbiamo inventare nulla, dobbiamo solo sfruttare le risorse al meglio, visto che abbiamo archeologia, natura e arte a portata di mano.”
Cosa si potrebbe fare per evitare crolli come quello di palazzo Lauro Lancellotti?
“Si dovrebbe intervenire sulla legge istitutiva dell’Ente Ville, perché la fondazione non ha potere sui privati, che dal canto loro non hanno denaro a sufficienza per restaurare un immobile; anche se volessero chiedere un finanziamento per poi consentire l’accesso al pubblico, non c’è uno sbocco concreto. Queste sono le varie ragioni per cui nessuno interviene effettivamente.”
Autore: Tonia Ferraro - ilmediano.it
L’Arch. Celeste Fidora, come consueto, ci accompagnerà e guiderà le visite ad alcune delle 121 Ville Vesuviane, che sono veramente un gioiello incastonato nello scenario naturale del nostro territorio. Il tema della XXIII edizione è “Sacro e profano”; il filo conduttore ogni anno viene ispirato da un avvenimento: un’inaugurazione, un restauro, una nuova villa vesuviana aperta al pubblico. Abbiamo chiesto all’arch. Celeste Fidora perché il tema di quest’anno è “Sacro e Profano”. Il momento attuale ci è parso caratterizzato dalla ricerca di pace interiore; inoltre, per il popolo vesuviano le chiese erano e sono importanti, sia perché luoghi di preghiera sia per le profonde tradizioni di culto.
Proprio questa forte presenza religiosa sul territorio ci ha spinto a programmare la visita a tre chiese: San Ciro, a Portici, dove illustreremo gli affreschi e i quadri; ci soffermeremo particolarmente sulla processione del Santo, che è molto sentita rispetto, ad esempio, a quella di san Gennaro, poco conosciuta persino dai napoletani stessi. In seguito visiteremo la Basilica di Santacroce a Torre del Greco, città che annovera ben due importanti processioni: quella dell’Immacolata, l’8 dicembre, e quella dei ‘Quattro Altari’, a giugno. Sempre a Torre del Greco, ci sarà la visita alla chiesetta dell’Assunta, in cui si vedono i resti dell’antica struttura sepolta dalla lava dell’eruzione del 1944, che quindi è sotto il livello stradale; vi troviamo le due botole che davano accesso alla Terrasanta dove seppellivano i confratelli; infatti si intravedono resti umani. E’ prevista una visita anche a Santa Maria del Pilar, ad Ercolano, dove è conservato il quadro della Madonna, che ha una storia molto interessante.”
Oltre alle chiese, c’è qualche altra visita da sottolineare nell’itinerario di quest’anno?
“Si,Villa Tufarelli a San Giorgio a Cremano; è privata ed ancora abitata dai Conti. E’ molto interessante perché non fa parte delle ville del Miglio costiero, ma è situata alle pendici del Vesuvio e conserva ancora tutti i tre elementi che caratterizzavano le ville a monte: boschetto, giardino di frutta e giardino di delizie. Il giardino era la parte delle ville più bella, in quanto era lì che si trascorreva la maggior parte del tempo. Purtroppo, sono stati i primi a scomparire, perché era più facile vendere un terreno che non un immobile. In contrasto, le facciate che davano sulla strada erano semplici e lineari, certamente meno elaborate di quelle dei palazzi napoletani. Il gioco di architetture, elementi decorativi, panche, gazebo, grillage, esedre e viali venivano tutti posizionati sul retro, e i parchi erano orientati verso il panorama: quelli a monte guardavano il Vesuvio, quelli a valle il mare. Anche la vegetazione cambiava: nei primi si piantavano boschetti di lecci, più alti; nei secondi boschetti di camelie o piccoli palmetti per lasciare libera la visuale del panorama.”
Come si pone la sua Associazione rispetto alla Fondazione “Ente Ville Vesuviane”?
“L'Associazione Culturale ‘Amici delle Ville e dei Siti Vesuviani’, costituita nel 1988, collabora con la Fondazione per il recupero e la salvaguardia del patrimonio architettonico della nostra regione. Si tratta di un’Associazione no-profit che svolge un’ ampia attività di studio, ricerca e documentazione nel campo culturale, artistico, sociale del patrimonio delle Ville Vesuviane, facendo divulgazione a livello nazionale ed internazionale. Siamo stati i primi a fare visite via mare, ad accedere a ville private; in questi anni abbiamo organizzato convegni, seminari, corsi di antiquariato, documentazioni fotografiche e filmati e, inoltre, al nostro attivo ci sono due pubblicazioni: ‘Ville Vesuviane e Siti Reali’, autore Celeste Fidora, e ‘Ville e delizie Vesuviane del ‘700’, autori Celeste Fidora e Sergio Attanasio. Le Ville Vesuviane sono poco conosciute all’estero: noi operiamo in modo da diffondere il più possibile notizie, affinché il patrimonio architettonico della Campania non rimanga circoscritto.”
Come si spiega che un simile patrimonio sia in gran parte sconosciuto?
“Perché manca un progetto concreto che coinvolga il visitatore in un itinerario culturale e turistico globale, dal pernottamento, all’accoglienza, ai ristoranti. Se pensiamo soltanto che non esiste un book-shop, dove si possano comprare libri, gadgets e guide, negozi che sono presenti presso tutti i Musei, ci rendiamo conto che i 5 comuni del Miglio d’Oro, per quanto si siano organizzati per l’accoglienza, ancora non tengono conto delle esigenze dei turisti, che, se vanno a visitare una villa, trovano il caos, si sentono spaesati. Se non ci si accorda e stabilisce un programma comune, il turista straniero arriva e non trova nulla: non sa nemmeno dell’esistenza delle Ville! Bisognerebbe, perciò, pensare ad una pianificazione per far conoscere le Ville all’estero.”
Secondo la sua opinione, cosa si potrebbe fare?
“Un mio progetto c’è, ma aspetto tempi maturi per proporlo. Comunque, si potrebbe cominciare col rivedere tutto il sistema culturale-turistico della zona vesuviana, ma facendo interventi globali, non singoli per comune; io e la mia Associazione saremmo anche disposti ad impegnarci e dare il nostro contributo. La Provincia di Napoli, potrebbe ad esempio creare un website, dove si acquisiscano e diffondano tutte le notizie sulle ville, le iniziative, le manifestazioni, gli eventi, insomma tutte le informazioni che portino turismo. Cioè, se a giugno c’è la festa dei ‘Quattro Altari’ a Torre del Greco, si può proporre un pacchetto turistico che comprenda un itinerario bucolico che porti a Somma Vesuviana a fare la raccolta dell’albicocca ‘pellecchiella’, che è una varietà eccezionale di albicocche che si trova solo lì, e poi anche la sagra della ciliegia di Chiaiano, dove ci sono le migliori della Campania, e poi un concerto agli scavi, in modo che il turista si fermi tutta la settimana.
Ma dev’essere accolto, coccolato, avere la possibilità di coniugare cultura, natura e tradizione. Oppure, in autunno si potrebbe proporre un itinerario che comprenda la vendemmia a Terzigno, insieme ad un percorso botanico; questo in altre regioni avviene, ma da noi no. Eppure, nella nostra Provincia si fanno tante di quelle cose: manca l’informazione e il coordinamento. Le idee ci sono e non prevedono costi altissimi; manca solo la buona volontà delle Istituzioni per metterle in pratica. Abbiamo già tanto, non dobbiamo inventare nulla, dobbiamo solo sfruttare le risorse al meglio, visto che abbiamo archeologia, natura e arte a portata di mano.”
Cosa si potrebbe fare per evitare crolli come quello di palazzo Lauro Lancellotti?
“Si dovrebbe intervenire sulla legge istitutiva dell’Ente Ville, perché la fondazione non ha potere sui privati, che dal canto loro non hanno denaro a sufficienza per restaurare un immobile; anche se volessero chiedere un finanziamento per poi consentire l’accesso al pubblico, non c’è uno sbocco concreto. Queste sono le varie ragioni per cui nessuno interviene effettivamente.”
Autore: Tonia Ferraro - ilmediano.it
martedì 29 marzo 2011
Torre del Greco, revocato divieto di dimora al sindaco Borriello
NAPOLI - È stato revocato il divieto di dimora al sindaco di Torre del Greco, Ciro Borriello. Il provvedimento disposto dal Riesame, è stato reso noto nella tarda serata di lunedì. Stessa decisione per Nicola Donadio, politico e figlio del consigliere comunale Antonio. Per entrambi il divieto di dimora era stato disposto lo scorso 9 marzo, nell’ambito dell’inchiesta della procura di Torre Annunziata in merito alle attività della sezione antiabusivismo della polizia municipale che già a ottobre portò all’arresto di otto tra vigili urbani e funzionari comunali e all’arresto ai domiciliari per altre sette persone. Secondo l’accusa il primo cittadino, in concorso con Donadio, avrebbe indotto Raimondo Dottrina - vigile urbano posto ai domiciliari - e un altro agente della polizia municipale a far sparire un verbale di contestazione penale elevato nei confronti di un commerciante che stava effettuando lavori di ristrutturazione edilizia al suo negozio del centro cittadino.
29 marzo 2011 - repubblica.it
29 marzo 2011 - repubblica.it
lunedì 28 marzo 2011
AVVISO DI INSURREZIONE parte XV: Circolo Vizioso
Prevedibile serata ieri alla taverna dei cattivi pacifisti, dove il noto tizio non ha nemmeno avuto bisogno di bere un cicchetto per esprimere un semplice concetto:
Penso che da cittadini occidentali dovremmo finirla di sostenere i nostri governi, non certo col voto, ma anche con il consenso di massima strappato sull’onda dell’emergenza allorquando ci vediamo ‘costretti’ a bombardare, con il generale americano Prosciutto (sembra di stare in Catch 22) che con involontario umorismo dichiara che si cercherà di ridurre il numero di vittime civili.
E’ ora di finirla di alimentare questo circolo vizioso; di sopportare questi governi che giocano all’apprendista stregone, alleandosi e allevandosi serpi in seno come Bin Laden, Saddam, Gheddafi per poi scaricarli e rinnegarli quando ne perdono il controllo.
Capirei se dicessero “scusate, abbiamo sbagliato ad appoggiare, finanziare, armare tiranni sanguinari per sostenere l’assurdo, grottesco, parossistico stile di vita occidentale. Adesso che la cacca è uscita dal cavallo cerchiamo con ogni strumento che abbiamo a disposizione, compreso la forza, di rimetterla dentro. Ma appena rimediato ci leviamo di mezzo, talmente gravi sono stati i nostri errori strategici sotto il profilo politico, storico, umano.”
Tuttavia tutto ciò non solo non sfiora le loro testoline, ma pretendono pure di rafforzare il loro potere chiedendo che venga loro riconosciuto il merito di aver domato l’incendio che essi stessi hanno appiccato (e manco ci riescono: vedi Iraq, Afghanistan).
Certo, non bisogna avere paura di sporcarsi la coscienza sostenendo il ricorso alla forza, quando è necessario. Tutto sta a vedere nei confronti di chi e perché, per che cosa.
In definitiva, ci troviamo di fronte a un circolo vizioso. E sapete dove conducono i circoli viziosi?
Quando ci si trova davanti a un circolo vizioso c’è solo una cosa da fare: interromperlo.
dal nostro incommensurabile, splendente Pococurante - esserevento.it
Penso che da cittadini occidentali dovremmo finirla di sostenere i nostri governi, non certo col voto, ma anche con il consenso di massima strappato sull’onda dell’emergenza allorquando ci vediamo ‘costretti’ a bombardare, con il generale americano Prosciutto (sembra di stare in Catch 22) che con involontario umorismo dichiara che si cercherà di ridurre il numero di vittime civili.
E’ ora di finirla di alimentare questo circolo vizioso; di sopportare questi governi che giocano all’apprendista stregone, alleandosi e allevandosi serpi in seno come Bin Laden, Saddam, Gheddafi per poi scaricarli e rinnegarli quando ne perdono il controllo.
Capirei se dicessero “scusate, abbiamo sbagliato ad appoggiare, finanziare, armare tiranni sanguinari per sostenere l’assurdo, grottesco, parossistico stile di vita occidentale. Adesso che la cacca è uscita dal cavallo cerchiamo con ogni strumento che abbiamo a disposizione, compreso la forza, di rimetterla dentro. Ma appena rimediato ci leviamo di mezzo, talmente gravi sono stati i nostri errori strategici sotto il profilo politico, storico, umano.”
Tuttavia tutto ciò non solo non sfiora le loro testoline, ma pretendono pure di rafforzare il loro potere chiedendo che venga loro riconosciuto il merito di aver domato l’incendio che essi stessi hanno appiccato (e manco ci riescono: vedi Iraq, Afghanistan).
Certo, non bisogna avere paura di sporcarsi la coscienza sostenendo il ricorso alla forza, quando è necessario. Tutto sta a vedere nei confronti di chi e perché, per che cosa.
In definitiva, ci troviamo di fronte a un circolo vizioso. E sapete dove conducono i circoli viziosi?
Quando ci si trova davanti a un circolo vizioso c’è solo una cosa da fare: interromperlo.
dal nostro incommensurabile, splendente Pococurante - esserevento.it
venerdì 25 marzo 2011
giovedì 24 marzo 2011
Scie chimiche
Vero o non vero? Sta di fatto, che nessuno sembra negare, ma tutti cercano di nascondere qualcosa.
Dare una possibilità alla pace
Two, one two three four
Ev'rybody's talking about
Bagism, Shagism, Dragism, Madism, Ragism, Tagism
This-ism, that-ism, is-m, is-m, is-m.
All we are saying is give peace a chance
All we are saying is give peace a chance
C'mon
Ev'rybody's talking about Ministers,
Sinisters, Banisters and canisters
Bishops and Fishops and Rabbis and Pop eyes,
And bye bye, bye byes.
All we are saying is give peace a chance
All we are saying is give peace a chance
Let me tell you now
Ev'rybody's talking about
Revolution, evolution, masturbation,
flagellation, regulation, integrations,
meditations, United Nations,
Congratulations.
All we are saying is give peace a chance
All we are saying is give peace a chance
Ev'rybody's talking about
John and Yoko, Timmy Leary, Rosemary,
Tommy Smothers, Bobby Dylan, Tommy Cooper,
Derek Taylor, Norman Mailer,
Alan Ginsberg, Hare Krishna,
Hare, Hare Krishna
All we are saying is give peace a chance
All we are saying is give peace a chance.
J. Lennon
Ev'rybody's talking about
Bagism, Shagism, Dragism, Madism, Ragism, Tagism
This-ism, that-ism, is-m, is-m, is-m.
All we are saying is give peace a chance
All we are saying is give peace a chance
C'mon
Ev'rybody's talking about Ministers,
Sinisters, Banisters and canisters
Bishops and Fishops and Rabbis and Pop eyes,
And bye bye, bye byes.
All we are saying is give peace a chance
All we are saying is give peace a chance
Let me tell you now
Ev'rybody's talking about
Revolution, evolution, masturbation,
flagellation, regulation, integrations,
meditations, United Nations,
Congratulations.
All we are saying is give peace a chance
All we are saying is give peace a chance
Ev'rybody's talking about
John and Yoko, Timmy Leary, Rosemary,
Tommy Smothers, Bobby Dylan, Tommy Cooper,
Derek Taylor, Norman Mailer,
Alan Ginsberg, Hare Krishna,
Hare, Hare Krishna
All we are saying is give peace a chance
All we are saying is give peace a chance.
J. Lennon
mercoledì 23 marzo 2011
Dove sta andando "Fà la cosa giusta"?
Forse conviene fermarsi un attimo e parlare di noi, noi che è un poco di più, molto di più, di Esserevento, di Finansol, ma ha lo stesso dna, gli stessi occhi, lo stesso sguardo, la stessa direzione forse, però, sembra, non gli stessi modi per arrivarci.
Anche in rete qualche sussulto sta già emergendo, qualche domanda farsi avanti.
E noi è proprio a queste domande, anche nostre, che vogliamo dare cittadinanza, per elaborare risposte. Dove sta andando “Fa la Cosa Giusta”?
Il prossimo fine settimana, dal 25 al 27 marzo, si svolgerà, a Milano, infatti, l’ottava edizione di questa Fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili. Ormai ci vanno tutti. A visitarla. E quasi tutti a vendere i loro prodotti. E’ cresciuta enormemente negli anni, del 30% solo nell’edizione dello scorso anno, arrivando a 65.000 visitatori, 630 giornalisti accreditati e ben 620 espositori.
Si direbbe che l’Economia Solidale, l’economia altra, abbia vinto. Ha vinto. L’attenzione collettiva lo dice, i numeri lo dimostrano, gli incassi lo certificano. Sulla quantità è una sfida, una vittoria, raggiunta per ko sullo scetticismo. E la qualità?
Con queste quantità, impensabili solo 3-4 anni fa, la qualità, le attenzioni, le scelte possono essere ancora dello stesso livello? L’unica economia etica, solidale, possibile è un’economia che fa delle scelte e si dà delle priorità, giusto? Ed allora osservando, anche con poca attenzione, gli sponsor, i produttori che utilizzano la Fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, per promuovere il loro brand, i loro affari, i loro fatturati, i loro dividendi, le loro quote di mercato, qualcosa sembra non fare somma.
Perché si sa, oggi, lo dimostra appunto il boom di questi anni della Fiera Fa la Cosa Giusta, la fascia di popolazione che crede al biologico, allo sviluppo ecosostenibile, al naturale, all’equosolidale e via dicendo, è sempre più ampia e quindi le imprese ci si buttano a pesce. O direttamente andando alla fonte, come in questo caso, o producendo linee “etiche”, come i fondi responsabili delle banche.
Perché alla fine il consumatore deve sempre comunque fare i conti con i soldi che ha in tasca per poter arrivare a fine mese. E le economie di scala, i capitali a disposizione, le posizione di privilegio, il marketing ruffiano, caspita ti fanno prima spalancar le porte e poi il portafogli.
Alcuni marchi, alcuni nomi, di economia solidale, locale e di piccolo hanno ben poco, quasi nulla. Le multinazionali quotate alle Borse della finanza, Philips, Peugeot e Lindt. Ed altre che di prodotti a KmO e produzione artigianale ormai non hanno più nulla, se mai l’hanno avuta.
Eppure fin dal primo anno questa Fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili FLCG ha un evidente sezione sul cibo che quest’anno è pure il “cuore” speciale attorno a cui si articolerà tutta “Fa la Cosa Giusta”. “Mangia come parli”. Eppure gli sponsor sembrano essere, sono, i formaggi, il cioccolato e le caramelle svizzere.
Le prime due aziende multinazionali citate (Peugeot e Philips) vengono messe all’indice dalle e.mail che girano in rete e che invitano a leggere la Guida al Consumo Critico del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, sia per i loro fatturati che per gli elevati investimenti in pubblicità sulle reti televisive.
Poi, oltre a queste due, ci sono quelle aziende, quegli sponsor che del marketing etico fanno una bella strategia di comunicazione.
La Coop con i suoi supermercati e centrali di acquisto oligopoliste, modelli mica tanto credibili in un percorso di sostenibilità. O Legacoop a cui gli stessi visitatori di FLCG, non è per nulla escluso, si spera, hanno manifestato più volte la loro contrarietà per il coinvolgimento nella costruzione e gestione di vari CPT, ora CIE, i Centri di Identificazione ed Espulsione di migranti senza visto. O per il business degli appalti alla Base militare Usa Dal Molin di Vicenza, delle varie Tav. Dalla Val di Susa in giù.
Sorge perciò spontanea una domanda: quali sono i criteri con cui gli organizzatori selezionano le domande di sponsorizzazione e dei produttori? Visto che mediamente ogni stand non costa pochino. 1500/2000 euro per 16mq? (con un criterio di pagamento che meriterebbe anch’esso qualche domanda)
Ci si chiede se costi così cara l’organizzazione di una Fiera da questi numeri tanto da non poter selezionare più di tanto gli sponsor, e conseguentemente se ci si è domandati se bisogna crescere così tanto, in questo modo, se non c’è alternativa, se la decrescita non è applicabile.
E se, invece, la selezione c’è stata, si ritorna alla domanda precedente. Quali sono i criteri? Non vanno rivisti? Provocatoriamente, o forse no, alcuni attivisti dei Gas, si chiedono se la Nestlè chiedesse di partecipare con i suoi prodotti biologici come il latte per lattanti bio o i suoi cioccolatini e caffè fairtrade come sarebbe vista la cosa?
Forse non sarebbe il caso di ripensare ad un nuovo modello di sviluppo di queste grandi manifestazioni che in questo modo rischiano di annacquare lo spirito iniziale per cui si pensava fossero sorte?
Dove sta andando “Fa la cosa giusta”?
By: ugomoi - khorakhanè
Anche in rete qualche sussulto sta già emergendo, qualche domanda farsi avanti.
E noi è proprio a queste domande, anche nostre, che vogliamo dare cittadinanza, per elaborare risposte. Dove sta andando “Fa la Cosa Giusta”?
Il prossimo fine settimana, dal 25 al 27 marzo, si svolgerà, a Milano, infatti, l’ottava edizione di questa Fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili. Ormai ci vanno tutti. A visitarla. E quasi tutti a vendere i loro prodotti. E’ cresciuta enormemente negli anni, del 30% solo nell’edizione dello scorso anno, arrivando a 65.000 visitatori, 630 giornalisti accreditati e ben 620 espositori.
Si direbbe che l’Economia Solidale, l’economia altra, abbia vinto. Ha vinto. L’attenzione collettiva lo dice, i numeri lo dimostrano, gli incassi lo certificano. Sulla quantità è una sfida, una vittoria, raggiunta per ko sullo scetticismo. E la qualità?
Con queste quantità, impensabili solo 3-4 anni fa, la qualità, le attenzioni, le scelte possono essere ancora dello stesso livello? L’unica economia etica, solidale, possibile è un’economia che fa delle scelte e si dà delle priorità, giusto? Ed allora osservando, anche con poca attenzione, gli sponsor, i produttori che utilizzano la Fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, per promuovere il loro brand, i loro affari, i loro fatturati, i loro dividendi, le loro quote di mercato, qualcosa sembra non fare somma.
Perché si sa, oggi, lo dimostra appunto il boom di questi anni della Fiera Fa la Cosa Giusta, la fascia di popolazione che crede al biologico, allo sviluppo ecosostenibile, al naturale, all’equosolidale e via dicendo, è sempre più ampia e quindi le imprese ci si buttano a pesce. O direttamente andando alla fonte, come in questo caso, o producendo linee “etiche”, come i fondi responsabili delle banche.
Perché alla fine il consumatore deve sempre comunque fare i conti con i soldi che ha in tasca per poter arrivare a fine mese. E le economie di scala, i capitali a disposizione, le posizione di privilegio, il marketing ruffiano, caspita ti fanno prima spalancar le porte e poi il portafogli.
Alcuni marchi, alcuni nomi, di economia solidale, locale e di piccolo hanno ben poco, quasi nulla. Le multinazionali quotate alle Borse della finanza, Philips, Peugeot e Lindt. Ed altre che di prodotti a KmO e produzione artigianale ormai non hanno più nulla, se mai l’hanno avuta.
Eppure fin dal primo anno questa Fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili FLCG ha un evidente sezione sul cibo che quest’anno è pure il “cuore” speciale attorno a cui si articolerà tutta “Fa la Cosa Giusta”. “Mangia come parli”. Eppure gli sponsor sembrano essere, sono, i formaggi, il cioccolato e le caramelle svizzere.
Le prime due aziende multinazionali citate (Peugeot e Philips) vengono messe all’indice dalle e.mail che girano in rete e che invitano a leggere la Guida al Consumo Critico del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, sia per i loro fatturati che per gli elevati investimenti in pubblicità sulle reti televisive.
Poi, oltre a queste due, ci sono quelle aziende, quegli sponsor che del marketing etico fanno una bella strategia di comunicazione.
La Coop con i suoi supermercati e centrali di acquisto oligopoliste, modelli mica tanto credibili in un percorso di sostenibilità. O Legacoop a cui gli stessi visitatori di FLCG, non è per nulla escluso, si spera, hanno manifestato più volte la loro contrarietà per il coinvolgimento nella costruzione e gestione di vari CPT, ora CIE, i Centri di Identificazione ed Espulsione di migranti senza visto. O per il business degli appalti alla Base militare Usa Dal Molin di Vicenza, delle varie Tav. Dalla Val di Susa in giù.
Sorge perciò spontanea una domanda: quali sono i criteri con cui gli organizzatori selezionano le domande di sponsorizzazione e dei produttori? Visto che mediamente ogni stand non costa pochino. 1500/2000 euro per 16mq? (con un criterio di pagamento che meriterebbe anch’esso qualche domanda)
Ci si chiede se costi così cara l’organizzazione di una Fiera da questi numeri tanto da non poter selezionare più di tanto gli sponsor, e conseguentemente se ci si è domandati se bisogna crescere così tanto, in questo modo, se non c’è alternativa, se la decrescita non è applicabile.
E se, invece, la selezione c’è stata, si ritorna alla domanda precedente. Quali sono i criteri? Non vanno rivisti? Provocatoriamente, o forse no, alcuni attivisti dei Gas, si chiedono se la Nestlè chiedesse di partecipare con i suoi prodotti biologici come il latte per lattanti bio o i suoi cioccolatini e caffè fairtrade come sarebbe vista la cosa?
Forse non sarebbe il caso di ripensare ad un nuovo modello di sviluppo di queste grandi manifestazioni che in questo modo rischiano di annacquare lo spirito iniziale per cui si pensava fossero sorte?
Dove sta andando “Fa la cosa giusta”?
By: ugomoi - khorakhanè
martedì 22 marzo 2011
Incentivare i trasporti pubblici....
Con il nuovo tariffario UnicoCampania, si registrano aumenti spropositati per spostarsi nella Regione.
La tariffa che riguarda Torre del Greco, U2, subirà un'impennata: per recarsi a Napoli il biglietto ad orario costa € 1,90, ora costerà € 2,10. Il giornaliero, costa € 3,70, costerà dal 01 aprile € 6,30 (+70%). É chiaro che i traporti pubblici non sono tra le priorità del governo cittadino, provinciale, regionale e nazionale.
Così come nel secondo dopoguerra, si punta ancora alla gomma privata, alle auto, agli incentivi per gli acquisti di automobili, e alla riduzione delle linee ferroviarie, sia su scala nazionale che su quella locale. Io sono avvilito, soprattutto quando penso che dal 2011, per recarsi a Napoli, la tariffa autostradale, il quale aumento tanto scalpore aveva causato (da € 1,60 a € 2,00) risulta comunque inferiore rispetto al biglietto Unico (€ 2,10). Dove è la convenienza?
Questo a poca distanza dal dossier di Legambiente Italia che, a gennaio 2011, di Napoli diceva:
Napoli, 25 gennaio 2011
Il monitoraggio è stato fatto il 25 gennaio 2001. Sono stati selezionati itinerari che rappresentano aspetti diversi della città di Napoli. Il monitoraggio nel complesso è durato 1 ora e 47 minuti durante i quali molto raramente si sono registrati valori istantanei al di sotto dei 50 μg/m3. Infatti la media totale della giornata di rilevamento delle polveri è di 81,8 μg/m3 di PM10 e di 27,1 μg/m3 di PM2,5. E non c'è differenza se si percorrono strade interne meno trafficate, ma nello stesso tempo meno esposte al vento (dove le polveri si accumulano) come in via Lavinaio o i vicoli nei pressi del Duomo, o strade più aperte e ventilate a ridosso del porto come la via Marina, caratterizzata da un valore medio di 72 μg/m3 di PM10. Dati questi che confermano come l'aria di Napoli, nonostante il monitoraggio sia stato fatto in seguito a diverse giornate di pioggia che hanno “ripulito” l’aria, risulti comunque inquinata per quanto riguarda il PM10.
La causa principale è da ricercare nell'annoso problema del traffico che attanaglia questa città. Per questo bisogna intervenire con politiche strutturali, limitando le auto in circolazione, potenziare e rendere sicuro il trasporto pubblico, pedonalizzare ampie aree della città, prevedendo parcheggi di scambio. Le giornate senz’auto e i blocchi totali in corrispondenza dei picchi di smog sono interventi tampone validi nell'emergenza ma non basta. Ampliamento delle ztl, controllo maggiore su quelle già esistenti, protezione delle corsie preferenziali sempre più terra di nessuno, car sharing, car pooling, intermodalità, interventi e maggiori controlli in strada su auto in doppia fila, violazione di isole pedonali e ztl, infrazioni continue nelle corsie preferenziali. Queste le proposte di Legambiente per una mobilità davvero sostenibile e un'aria più respirabile.
lunedì 21 marzo 2011
Crolli e abbandoni lo scempio dei tesori
PORTICI - Allo sfascio il sistema delle ville vesuviane. Appena vanno via funzionario e geometra della soprintendenza di Napoli, la pala meccanica smantella e polverizza - in barba alla disposizione del soprintendente Gizzi di mettere nel cortile i pezzi caduti - la facciata di Palazzo Lauro Lancellotti, crollato nel giorno dei festeggiamenti per i 150 anni dell'unità d'Italia. Speriamo sopravvivano i due grandi tondi in stucco con genietti ai lati del portone. La sua "caffeaus" sul mare è in un dipinto di Fergola sull'inaugurazione della ferrovia Napoli-Portici.
Un disastro annunciato e tanti altri intorno. A due passi, territorio di San Giorgio a Cremano, la facciata col vaiolo di Villa Pignatelli di Montecalvo, sorretta da puntelli ormai storici, soffre del male opposto alla villa della principessa Natalia appena caduta. La nobildonna voleva donare l'edificio disabitato, inclusa nell'elenco delle 122 ville vesuviane, ai seguaci di monsignor Lefebvre che non seppero che farsene. La villa Pignatelli di San Giorgio al contrario è un alveare, persino iper-abitata per le sue possibilità. "Il problema - dice il soprintendente Gizzi - sono le ville private, quelle pubbliche sono state quasi tutte recuperate. Per le private il ministero può intervenire solo in rivalsa, ma i tempi sono lunghissimi. Da anni segnalavamo il degrado alla proprietà e al Comune". Tuttavia troppo spesso l'aggettivo privato funge da alibi per lo Stato noncurante. E in questi ultimi anni bondiani, ancora di più.
Venendo da Napoli fino a Palazzo Lancellotti è un'intera sequenza di ville che corre, dalla Casa Materna a Palazzo Nicolini Mancini. Un concentrato di dimore sul mare in poche centinaia di metri. Una più bella e disastrata dell'altra. Casa Materna, con la facciata neogotica e un bellissimo portone dal quale, sullo sfondato, si vede il mare - caratteristica comune a molti palazzi sul corso Garibaldi, una meraviglia che andrebbe valorizzata già soltanto per quello - fu acquistata nel maggio 1920 dalla chiesa Metodista da Riccardo Santi.
Nell'alternanza di abitazioni si vede quanto poco sia stato preservato del paesaggio, quanto non sia stato rispettato il contesto delle ville. E quanto pure il senso della loro funzione sia caduto in pezzi, proprio come Palazzo Lancellotti.
Dopo la ferrovia, che ha tagliato il cordone ombelicale tra ville e mare, le opere recenti, che hanno trasformato i lidi in una strada. "Erano degradati, certo - dice la paesaggista Maria Luisa Margiotta, che studia e pubblica da anni sul sistema delle ville - ma le strisce di asfalto hanno trasformato il paesaggio per sempre in qualcos'altro che non tiene conto delle costruzioni del XVIII secolo per la villeggiatura al mare. Il ministero dei Beni culturali deve monitorare un patrimonio che non possiamo perdere irreparabilmente".
Come non parlare dello scempio del Granatello? Villa d'Elboeuf, le dimore di San Giorgio (sei o sette in condizioni peggiori) e la Masseria di Donna Chiara di Torre del Greco si trovano in stato di totale abbandono. Il censimento fatto dall'ex Ente Ville vesuviane, ora Fondazione presieduta da Giuseppe Galasso, ne include 122. E quelle di Portici sono tra le più a rischio: la facciata con tanti problemi della Villa del Principe di Santobuono; Palazzo Valle di cui è rimasta la sola facciata; Palazzo Mascabruno, le regie scuderie che nascondono, sull'orlo del crollo, una perla preziosa: il galoppatoio dei principi al coperto, con un tetto a capriate in legno come ce n'erano solo nella Mitteleuropa. Conservate le foto. Nessuno garantisce per la durata di questi capolavori.
Un disastro annunciato e tanti altri intorno. A due passi, territorio di San Giorgio a Cremano, la facciata col vaiolo di Villa Pignatelli di Montecalvo, sorretta da puntelli ormai storici, soffre del male opposto alla villa della principessa Natalia appena caduta. La nobildonna voleva donare l'edificio disabitato, inclusa nell'elenco delle 122 ville vesuviane, ai seguaci di monsignor Lefebvre che non seppero che farsene. La villa Pignatelli di San Giorgio al contrario è un alveare, persino iper-abitata per le sue possibilità. "Il problema - dice il soprintendente Gizzi - sono le ville private, quelle pubbliche sono state quasi tutte recuperate. Per le private il ministero può intervenire solo in rivalsa, ma i tempi sono lunghissimi. Da anni segnalavamo il degrado alla proprietà e al Comune". Tuttavia troppo spesso l'aggettivo privato funge da alibi per lo Stato noncurante. E in questi ultimi anni bondiani, ancora di più.
Venendo da Napoli fino a Palazzo Lancellotti è un'intera sequenza di ville che corre, dalla Casa Materna a Palazzo Nicolini Mancini. Un concentrato di dimore sul mare in poche centinaia di metri. Una più bella e disastrata dell'altra. Casa Materna, con la facciata neogotica e un bellissimo portone dal quale, sullo sfondato, si vede il mare - caratteristica comune a molti palazzi sul corso Garibaldi, una meraviglia che andrebbe valorizzata già soltanto per quello - fu acquistata nel maggio 1920 dalla chiesa Metodista da Riccardo Santi.
Nell'alternanza di abitazioni si vede quanto poco sia stato preservato del paesaggio, quanto non sia stato rispettato il contesto delle ville. E quanto pure il senso della loro funzione sia caduto in pezzi, proprio come Palazzo Lancellotti.
Dopo la ferrovia, che ha tagliato il cordone ombelicale tra ville e mare, le opere recenti, che hanno trasformato i lidi in una strada. "Erano degradati, certo - dice la paesaggista Maria Luisa Margiotta, che studia e pubblica da anni sul sistema delle ville - ma le strisce di asfalto hanno trasformato il paesaggio per sempre in qualcos'altro che non tiene conto delle costruzioni del XVIII secolo per la villeggiatura al mare. Il ministero dei Beni culturali deve monitorare un patrimonio che non possiamo perdere irreparabilmente".
Come non parlare dello scempio del Granatello? Villa d'Elboeuf, le dimore di San Giorgio (sei o sette in condizioni peggiori) e la Masseria di Donna Chiara di Torre del Greco si trovano in stato di totale abbandono. Il censimento fatto dall'ex Ente Ville vesuviane, ora Fondazione presieduta da Giuseppe Galasso, ne include 122. E quelle di Portici sono tra le più a rischio: la facciata con tanti problemi della Villa del Principe di Santobuono; Palazzo Valle di cui è rimasta la sola facciata; Palazzo Mascabruno, le regie scuderie che nascondono, sull'orlo del crollo, una perla preziosa: il galoppatoio dei principi al coperto, con un tetto a capriate in legno come ce n'erano solo nella Mitteleuropa. Conservate le foto. Nessuno garantisce per la durata di questi capolavori.
da repubblica.it
venerdì 18 marzo 2011
Ragione e sogni nel compleanno d’Italia
Che paura che fa il futuro dello Stivale, in mano a cementificatori, nuclearisti, bunghisti e reazionari. Contro la “razionalità” del Corsera ci vorrebbe un sogno vero.
Oggi è il compleanno d’Italia. Nel fiume di celebrazioni che ci investirà non mancherà la retorica buonista e nazional-patriottica. Una volta l’anno ci può anche stare. Meglio la celebrazione dei garibaldini che il leghista universo delle micropatrie razziste. La verità però è che la festa è un po’ rovinata dagli eventi, internazionali e domestici. Il Giappone vive ancora col fiato sospeso per sapere quanti morti dovrà piangere. E quanti anni, o decenni, dovrà attendere prima di tornare sui luoghi del disastro nucleare di Fukushima. Ma non basta. Di fronte alle nostre coste le rivolte arabe, che ci avevano scaldato il cuore e tenuto svegli la notte, vivono un momento di triste arretramento. In Egitto il popolo di Tahrir è stato tradito dall’esercito. In Libia, Gheddafi il folle marcia con i tank e bombarda dal cielo l’ultima roccaforte dei ribelli a Bengasi. Nel Golfo invece i carri sauditi, i nostri cari amici e storici alleati sauditi, affogano nel sangue la rivolta del Bahrein, come i Russi nel 1968 a Praga (solo che oggi ben pochi condannano i “russi-sauditi”). L’Europa, il mondo, assistono al declino del sogno rivoluzionario arabo con colpevole impotenza. Forse anche con sollievo, visto che la nostra tradizione è quella di intessere stretti rapporti con dittatori, oligopolisti e plutocrazie (da Gheddafi a Putin, passando per Wen Jiabao e Lucashenko la lista è lunga) piuttosto che agire da “promotori” di democrazia. Sarà più facile per l’Eni tornare al tavolo con il Colonnello che trattare con un nuovo caotico e ingestibile Consiglio rivoluzionario? Certo il minimo che ci si può augurare è che Gheddafi venda davvero tutto il suo petrolio a Cina e Russia, aggiungendo il danno alla beffa per l’inutile Europa. Ma c’è da scommettere che ciò non avverrà. Seppelliti i morti e scatenata la repressione, gli affari torneranno ad essere affari. I compleanni di solito servono, oltre a compromettere inutili diete, a fare bilanci e progetti per il futuro. Ma sul futuro italiano c’è poco da stare allegri vista la serie di sfide che dovremo affrontare. A partire da quella economica, ma non solo. Bonaccorsi dalla prima Siamo male attrezzati per competere col mondo globalizzato, perchè produciamo, da troppo tempo, pochissima innovazione. In questi giorni stiamo vivendo la più palese delle dimostrazioni di incongruità tra il futuro e la classe politica dominante. Di fronte al disastro giapponese, e al globale spostamento verso l’alta tecnologia e le fonti energetiche rinnovabili, il governo italiano insiste nell’imbarcarsi in una costosissima avventura nucleare. Nel Paese in cui andando in treno da Roma a Milano la linea telefonica cade 10 volte e non c’è un wi-fi degno di questo nome per lavorare, l’armata Brancaleone del premier procede con i suoi pseudo progetti a base di cemento, asfalto, radiazioni e tagli alla ricerca scientifica. Siamo anche impreparati alla inevitabile ondata migratoria che sarebbe arrivata comunque, rivoluzioni o no. L’impoverimento del Paese ha scatenato da anni ormai la lotta per quel poco che resta. La parabola elettorale della Lega ricalca, in controluce, quella dell’egoismo nostrano con relativa involuzione culturale bunghista. Nel breve periodo poi l’Italia dovrà affrontare la difficile uscita dalla crisi dei debiti sovrani in Europa, e i rischi conseguenti di crisi dell’euro. Dovrà affrontare l’inflazione che viene dal petrolio, e tassi d’interesse che salgono. Con quali idee, con quali persone? L’Italia è vecchia, dentro. E l’incarnazione migliore della sua incapacità di entrare nel futuro si trova oggi nel pressapochismo del Corriere della Sera di Ferruccio de Bortoli. Lo storico quotidiano (tornato alla preveggenza delle crociate contro la minigonna degli anni ‘60) ha scomodato firme del calibro di Stella, Rizzo e Mucchetti per sferrare l’attacco mediatico al settore delle rinnovabili. Ieri poi ci è toccato leggere pure Panebianco, che ha diviso il mondo tra i “razionali” che accettano i rischi del nucleare e gli “irrazionali” che per paura lo osteggiano. Che regalo ci ha fatto Panebianco. Perchè il suo “razionale” mondo è incastrato tra nucleare e petrolio, tra radiazioni e conflitti fossili, condito da una approssimazione scientifica imbarazzante. Per il corsivista di via Solferino “bisogna pur accettare qualche rischio”, in fondo la vita oggi è meglio di 50 anni fa. E allora di cosa ci lamentiamo? Probabilmente le stesse parole venivano rivolte anni fa ai minatori che chiedevano misure di sicurezza, per non morire come topi nei tunnel del carbone che serviva al “progresso”. Questo mondo del “razionale” Panebianco fa davvero schifo. Forse perchè per sognare qualcosa di diverso (da questa oscena realpolitk e realeconomics) bisogna essere, almeno un po’, “irrazionali”. Perchè certo sognare di vivere grazie all’energia che viene da vento, acqua e sole è una prospettiva tecnologica che ha una sua cifra “poetica”. E allora, tanti auguri Italia, cento di questi “irrazionali” sogni.
da Comitato Boscotrecase
Oggi è il compleanno d’Italia. Nel fiume di celebrazioni che ci investirà non mancherà la retorica buonista e nazional-patriottica. Una volta l’anno ci può anche stare. Meglio la celebrazione dei garibaldini che il leghista universo delle micropatrie razziste. La verità però è che la festa è un po’ rovinata dagli eventi, internazionali e domestici. Il Giappone vive ancora col fiato sospeso per sapere quanti morti dovrà piangere. E quanti anni, o decenni, dovrà attendere prima di tornare sui luoghi del disastro nucleare di Fukushima. Ma non basta. Di fronte alle nostre coste le rivolte arabe, che ci avevano scaldato il cuore e tenuto svegli la notte, vivono un momento di triste arretramento. In Egitto il popolo di Tahrir è stato tradito dall’esercito. In Libia, Gheddafi il folle marcia con i tank e bombarda dal cielo l’ultima roccaforte dei ribelli a Bengasi. Nel Golfo invece i carri sauditi, i nostri cari amici e storici alleati sauditi, affogano nel sangue la rivolta del Bahrein, come i Russi nel 1968 a Praga (solo che oggi ben pochi condannano i “russi-sauditi”). L’Europa, il mondo, assistono al declino del sogno rivoluzionario arabo con colpevole impotenza. Forse anche con sollievo, visto che la nostra tradizione è quella di intessere stretti rapporti con dittatori, oligopolisti e plutocrazie (da Gheddafi a Putin, passando per Wen Jiabao e Lucashenko la lista è lunga) piuttosto che agire da “promotori” di democrazia. Sarà più facile per l’Eni tornare al tavolo con il Colonnello che trattare con un nuovo caotico e ingestibile Consiglio rivoluzionario? Certo il minimo che ci si può augurare è che Gheddafi venda davvero tutto il suo petrolio a Cina e Russia, aggiungendo il danno alla beffa per l’inutile Europa. Ma c’è da scommettere che ciò non avverrà. Seppelliti i morti e scatenata la repressione, gli affari torneranno ad essere affari. I compleanni di solito servono, oltre a compromettere inutili diete, a fare bilanci e progetti per il futuro. Ma sul futuro italiano c’è poco da stare allegri vista la serie di sfide che dovremo affrontare. A partire da quella economica, ma non solo. Bonaccorsi dalla prima Siamo male attrezzati per competere col mondo globalizzato, perchè produciamo, da troppo tempo, pochissima innovazione. In questi giorni stiamo vivendo la più palese delle dimostrazioni di incongruità tra il futuro e la classe politica dominante. Di fronte al disastro giapponese, e al globale spostamento verso l’alta tecnologia e le fonti energetiche rinnovabili, il governo italiano insiste nell’imbarcarsi in una costosissima avventura nucleare. Nel Paese in cui andando in treno da Roma a Milano la linea telefonica cade 10 volte e non c’è un wi-fi degno di questo nome per lavorare, l’armata Brancaleone del premier procede con i suoi pseudo progetti a base di cemento, asfalto, radiazioni e tagli alla ricerca scientifica. Siamo anche impreparati alla inevitabile ondata migratoria che sarebbe arrivata comunque, rivoluzioni o no. L’impoverimento del Paese ha scatenato da anni ormai la lotta per quel poco che resta. La parabola elettorale della Lega ricalca, in controluce, quella dell’egoismo nostrano con relativa involuzione culturale bunghista. Nel breve periodo poi l’Italia dovrà affrontare la difficile uscita dalla crisi dei debiti sovrani in Europa, e i rischi conseguenti di crisi dell’euro. Dovrà affrontare l’inflazione che viene dal petrolio, e tassi d’interesse che salgono. Con quali idee, con quali persone? L’Italia è vecchia, dentro. E l’incarnazione migliore della sua incapacità di entrare nel futuro si trova oggi nel pressapochismo del Corriere della Sera di Ferruccio de Bortoli. Lo storico quotidiano (tornato alla preveggenza delle crociate contro la minigonna degli anni ‘60) ha scomodato firme del calibro di Stella, Rizzo e Mucchetti per sferrare l’attacco mediatico al settore delle rinnovabili. Ieri poi ci è toccato leggere pure Panebianco, che ha diviso il mondo tra i “razionali” che accettano i rischi del nucleare e gli “irrazionali” che per paura lo osteggiano. Che regalo ci ha fatto Panebianco. Perchè il suo “razionale” mondo è incastrato tra nucleare e petrolio, tra radiazioni e conflitti fossili, condito da una approssimazione scientifica imbarazzante. Per il corsivista di via Solferino “bisogna pur accettare qualche rischio”, in fondo la vita oggi è meglio di 50 anni fa. E allora di cosa ci lamentiamo? Probabilmente le stesse parole venivano rivolte anni fa ai minatori che chiedevano misure di sicurezza, per non morire come topi nei tunnel del carbone che serviva al “progresso”. Questo mondo del “razionale” Panebianco fa davvero schifo. Forse perchè per sognare qualcosa di diverso (da questa oscena realpolitk e realeconomics) bisogna essere, almeno un po’, “irrazionali”. Perchè certo sognare di vivere grazie all’energia che viene da vento, acqua e sole è una prospettiva tecnologica che ha una sua cifra “poetica”. E allora, tanti auguri Italia, cento di questi “irrazionali” sogni.
da Comitato Boscotrecase
Coerenza...
Ieri molti commentatori e gente comune si chiedeva schifata come mai di tutti i "padani" erano presenti solo 6 in Parlamento durante i festeggiamenti solenni dell'unità d'Italia. Se avessero letto l'art. 1 dello statuto della Lega, forse si sarebbero solo chiesti perchè i 6 "padani" erano presenti. Ma questo, si sa, è l'ipocrisia.
STATUTO DELLA LEGA NORD PER L’INDIPENDENZA DELLA PADANIA
Approvato nel corso del Congresso Federale Ordinario
del 1 – 2 – 3 marzo 2002
Art. 1 - Finalità
Il Movimento politico denominato “Lega Nord per l’Indipendenza della Padania” (in seguito indicato come Movimento oppure Lega Nord o Lega Nord - Padania), costituito da Associazioni Politiche, ha per finalità il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana. (...)
martedì 15 marzo 2011
Pasta madre: il lievito naturale fatto in casa
Fare il lievito madre (o lievito naturale) in casa, e usarlo nella preparazione di pane, pizze e focacce, significa fare un salto indietro nel nostro passato, alla ricerca di quei principi fondamentali del mangiar sano, che sono alla base della nostra tradizione culinaria. Purtroppo alcune di queste tradizioni rischiano di scomparire e spesso, come nel caso del lievito, tendono a lasciare il posto a preparati chimici di bassa qualità, che alterano le caratteristiche naturali dei cibi.
Ecco allora la procedura per fare il lievito naturale in casa (è piuttosto lunga, ma se si seguono passo per passo queste istruzioni otterrete un bel risultato) che vi permetterà di panificare tutte le volte che volete, dando un tocco personale al vostro pane e alle vostre pizze.
Come per ogni pietanza che si rispetti, anche per il lievito madre (che non è un piatto, ma solo un ingrediente base) ci sono varie ricette e procedimenti diversi; in questo caso vi proponiamo la procedura più semplice.
Prendete una mela (possibilmente biologica e ben lavata) e tagliatela a pezzettini con tutta la buccia, mettetela in un contenitore alto e non troppo largo e lasciatela così, fuori dal frigo, per 3-4 giorni.
Trascorso questo tempo, il frutto inizierà a diventare marroncino, a far fuoriuscire l’acqua e a emettere un odore particolarmente acidulo; a questo punto ricoprite la mela con una manciata di farina e lasciatela così per qualche altro giorno.
Quando gli acidi della mela avranno “mangiato” tutta la farina, aggiungete un’altra manciata e ripetete questa operazione per circa 7-8 giorni, aggiungendo altra farina solo dopo che la mela ha assorbito tutta quella che avete messo precedentemente.
Quando la polpa (ormai marcita) del frutto e la farina avranno formato un composto quasi omogeneo, aggiungete circa 50 g di acqua e 100 g di farina, impastate bene per qualche minuto – fino ad ottenere una pasta omogenea – e lasciate riposare ancora per qualche giorno (in un posto tiepido e lontano da correnti d’aria), in modo che i batteri continuino a rielaborare il composto di acqua e farina.
Trascorso qualche giorno, aggiungete all’impasto altri 50 g di acqua e 100 g di farina, impastate bene e ricoprite il tutto.
Da questo momento in poi – per circa due mesi – dovrete “rinfrescare” il lievito tutti i giorni; questa operazione è molto semplice ma allo stesso tempo importantissima e molto delicata: una dimenticanza potrebbe essere fatale per il vostro lievito (quindi sconsigliamo di farlo a chi viaggia spesso nei weekend e non ha la possibilità di portarsi dietro il panetto).
Ogni giorno, aggiungete un po’ di acqua e il doppio della farina (potete fare anche ad occhio, senza misurare, ma cercate di mantenere le proporzioni e non abbondate troppo nelle quantità, altrimenti il panetto si ingrandirà a dismisura e alla fine dei due mesi avrete riempito la casa di lievito), poi impastate il tutto e rimettete il lievito nel suo contenitore. Se fa molto caldo potete conservarlo anche in frigo.
Trascorsi i due mesi, il vostro lievito naturale è finalmente pronto per l’uso.
Se volete fare il pane, pesate 250 g di lievito, unitelo a 500 g di farina e 250 g di acqua (meglio se povera di calcio), un pizzico di zucchero, un filo d’olio e impastate con le mani per distribuire e mescolare bene tutti gli ingredienti. Poi aggiungete due prese di sale e impastate nuovamente.
Mettete il tutto in una ciotola oliata e lasciate lievitare per almeno 3 ore.
Trascorso questo tempo, riprendete l’impasto, sgonfiatelo, rilavoratelo per qualche minuto e poi dategli la forma che preferite, ad esempio un filoncino. Adagiatelo su una teglia foderata con carta da forno e fate cuocere per circa 40 minuti in forno preriscaldato a 180 gradi.
Poi sfornate e lasciate freddare!
Verdiana Amorosi - greenme.it
Ecco allora la procedura per fare il lievito naturale in casa (è piuttosto lunga, ma se si seguono passo per passo queste istruzioni otterrete un bel risultato) che vi permetterà di panificare tutte le volte che volete, dando un tocco personale al vostro pane e alle vostre pizze.
Come per ogni pietanza che si rispetti, anche per il lievito madre (che non è un piatto, ma solo un ingrediente base) ci sono varie ricette e procedimenti diversi; in questo caso vi proponiamo la procedura più semplice.
Prendete una mela (possibilmente biologica e ben lavata) e tagliatela a pezzettini con tutta la buccia, mettetela in un contenitore alto e non troppo largo e lasciatela così, fuori dal frigo, per 3-4 giorni.
Trascorso questo tempo, il frutto inizierà a diventare marroncino, a far fuoriuscire l’acqua e a emettere un odore particolarmente acidulo; a questo punto ricoprite la mela con una manciata di farina e lasciatela così per qualche altro giorno.
Quando gli acidi della mela avranno “mangiato” tutta la farina, aggiungete un’altra manciata e ripetete questa operazione per circa 7-8 giorni, aggiungendo altra farina solo dopo che la mela ha assorbito tutta quella che avete messo precedentemente.
Quando la polpa (ormai marcita) del frutto e la farina avranno formato un composto quasi omogeneo, aggiungete circa 50 g di acqua e 100 g di farina, impastate bene per qualche minuto – fino ad ottenere una pasta omogenea – e lasciate riposare ancora per qualche giorno (in un posto tiepido e lontano da correnti d’aria), in modo che i batteri continuino a rielaborare il composto di acqua e farina.
Trascorso qualche giorno, aggiungete all’impasto altri 50 g di acqua e 100 g di farina, impastate bene e ricoprite il tutto.
Da questo momento in poi – per circa due mesi – dovrete “rinfrescare” il lievito tutti i giorni; questa operazione è molto semplice ma allo stesso tempo importantissima e molto delicata: una dimenticanza potrebbe essere fatale per il vostro lievito (quindi sconsigliamo di farlo a chi viaggia spesso nei weekend e non ha la possibilità di portarsi dietro il panetto).
Ogni giorno, aggiungete un po’ di acqua e il doppio della farina (potete fare anche ad occhio, senza misurare, ma cercate di mantenere le proporzioni e non abbondate troppo nelle quantità, altrimenti il panetto si ingrandirà a dismisura e alla fine dei due mesi avrete riempito la casa di lievito), poi impastate il tutto e rimettete il lievito nel suo contenitore. Se fa molto caldo potete conservarlo anche in frigo.
Trascorsi i due mesi, il vostro lievito naturale è finalmente pronto per l’uso.
Se volete fare il pane, pesate 250 g di lievito, unitelo a 500 g di farina e 250 g di acqua (meglio se povera di calcio), un pizzico di zucchero, un filo d’olio e impastate con le mani per distribuire e mescolare bene tutti gli ingredienti. Poi aggiungete due prese di sale e impastate nuovamente.
Mettete il tutto in una ciotola oliata e lasciate lievitare per almeno 3 ore.
Trascorso questo tempo, riprendete l’impasto, sgonfiatelo, rilavoratelo per qualche minuto e poi dategli la forma che preferite, ad esempio un filoncino. Adagiatelo su una teglia foderata con carta da forno e fate cuocere per circa 40 minuti in forno preriscaldato a 180 gradi.
Poi sfornate e lasciate freddare!
Verdiana Amorosi - greenme.it
Torre del Greco, controllano smaltimento dei riufiti: aggredite guardie ambientali
TORRE DEL GRECO - Guardie ambientali aggredite a Torre del Greco. È successo in corso Umberto I, dove un gruppo di volontari delle associazioni che si occupano dei controlli sul buon andamento della raccolta differenziata nel comune vesuviano sono state fatto oggetto prima di lancio di uova marce e poi circondate da una decina di persone.
Solo l'intervento delle forze dell'ordine ha permesso di disperdere i facinorosi e ha evitato che la situazione potesse degenerare. Al centro delle protesta, la richiesta dei volontari di procedere al controllo del regolare smaltimento dei rifiuti e della corretta differenziazione della spazzatura.
Altri episodi contro le guardie ambientali - come denunciano i responsabili dei volontari - sono avvenuti sempre sabato in via San Giuseppe alle Paludi e via del Clero. Tanta tensione ma alla fine nessuna conseguenza grave e al momento non risultano esserci nemmeno denunciati.
Già sabato 5 marzo si erano avuti altri episodi di contestazione nei confronti delle guardie ambientali, figure istituite dal Comune per puntare a superare entro la fine dell'anno il 50% nella raccolta differenziata a Torre del Greco.
da ilmattino.it
Solo l'intervento delle forze dell'ordine ha permesso di disperdere i facinorosi e ha evitato che la situazione potesse degenerare. Al centro delle protesta, la richiesta dei volontari di procedere al controllo del regolare smaltimento dei rifiuti e della corretta differenziazione della spazzatura.
Altri episodi contro le guardie ambientali - come denunciano i responsabili dei volontari - sono avvenuti sempre sabato in via San Giuseppe alle Paludi e via del Clero. Tanta tensione ma alla fine nessuna conseguenza grave e al momento non risultano esserci nemmeno denunciati.
Già sabato 5 marzo si erano avuti altri episodi di contestazione nei confronti delle guardie ambientali, figure istituite dal Comune per puntare a superare entro la fine dell'anno il 50% nella raccolta differenziata a Torre del Greco.
da ilmattino.it
lunedì 14 marzo 2011
venerdì 11 marzo 2011
SALUTI DA NAPOLI
Mostra a cura di Antonio Manfredi
Fino al 30 marzo 2011 al museo CAM
L’evento è il saluto ironico e consapevole di 60 artisti napoletani attraverso una produzione che è testimone di cinquant’anni di storia partenopea.
La provocazione che parte dal CAM è la riflessione sul contesto sociale in cui hanno operato, ed operano, gli artisti napoletani. Mezzo secolo di eccellenze e drammi, un patchwork di fattori ambientali affiancato dalle rappresentazioni banali delle tragedie, segnano la storia e la contemporaneità di Napoli.
La pizza come la Camorra, Maradona come la spazzatura, la guerriglia urbana come le strade dei presepi, il centro direzionale come il colera, le stazioni dell’arte come le vele di Scampia, incoerenze, contrasti e luoghi comuni che sono l’immagine stereotipata di una città.
Aver operato superando queste barriere contestuali, è stata la sfida che gli artisti hanno accettato, è l’humus da cui hanno attinto.
Napoli non è Stoccolma e “Casoria non è Sondrio”, ma non è un caso che Giorgio Gaber aprisse uno spettacolo dicendo: “Voi non vi aspettereste ... un terreno fertile per la creatività individuale, .... dove la tonalità principale è un grigio pregnante e fermo…”.
Il CAM mette in mostra, attraverso un nuovo allestimento, le recenti acquisizioni che vanno ad aggiungersi alla già nutrita collezione permanente. Le opere degli artisti storicizzati dialogheranno nelle sale del CAM con quelle dei giovani napoletani in un crogiuolo internazionale.
La sala che ospita le opere dei napoletani sarà intitolata il 19 dicembre allo storico dell’arte, recentemente scomparso, Vitaliano Corbi.
Fautore degli studi sull’arte napoletana dal secondo dopoguerra in poi, Corbi ha sempre propugnato la valenza dell’espressione produttiva partenopea e di un’arte non legata al mercato. Particolare attenzione fu dedicata dallo scrittore al concetto di museo, la cui attività “non limitandosi al solo evento espositivo, sappia dispiegarsi attraverso un lavoro sistematico di ricerca, di studio e di documentazione”. Altrettanto forte è stato il suo interesse verso i giovani, gli artisti dell’oggi e del domani, indirizzandoli ad un impegno etico oltre che estetico, verso la rivalutazione delle diversità, superando standard omologanti.
Secondo quanto afferma Antonio Manfredi, direttore del CAM e promotore dell’iniziativa: “La scomparsa di un amico e di un grande nome per la critica italiana lascia un vuoto incolmabile. Mi è sembrato doveroso dedicare a Vitaliano Corbi la sala in cui sono raccolte le opere degli artisti napoletani sulle cui evoluzioni e per la cui valorizzazione si è impegnato a scrivere e a studiare. Sono certo che la sua filosofia sia quella vincente; non a caso quei musei IKEA, privi di un’identità e di una caratterizzazione, un po’ tutti uguali, che spesso evitano di confrontarsi con la storia locale e le problematiche sociali, alla fine falliscono”.
CAM_Casoria Contemporary Art Museum Via Duca D’Aosta 63/A 80026 Casoria/Napoli/Italia Tel/Fax: +39 0817576167
Martedì-mercoledì-giovedì-domenica 10.00/13.00 sabato 17.00/20.00 lunedì-venerdì solo gruppi per appuntamento
www.casoriacontemporaryartmuseum.com
Fino al 30 marzo 2011 al museo CAM
L’evento è il saluto ironico e consapevole di 60 artisti napoletani attraverso una produzione che è testimone di cinquant’anni di storia partenopea.
La provocazione che parte dal CAM è la riflessione sul contesto sociale in cui hanno operato, ed operano, gli artisti napoletani. Mezzo secolo di eccellenze e drammi, un patchwork di fattori ambientali affiancato dalle rappresentazioni banali delle tragedie, segnano la storia e la contemporaneità di Napoli.
La pizza come la Camorra, Maradona come la spazzatura, la guerriglia urbana come le strade dei presepi, il centro direzionale come il colera, le stazioni dell’arte come le vele di Scampia, incoerenze, contrasti e luoghi comuni che sono l’immagine stereotipata di una città.
Aver operato superando queste barriere contestuali, è stata la sfida che gli artisti hanno accettato, è l’humus da cui hanno attinto.
Napoli non è Stoccolma e “Casoria non è Sondrio”, ma non è un caso che Giorgio Gaber aprisse uno spettacolo dicendo: “Voi non vi aspettereste ... un terreno fertile per la creatività individuale, .... dove la tonalità principale è un grigio pregnante e fermo…”.
Il CAM mette in mostra, attraverso un nuovo allestimento, le recenti acquisizioni che vanno ad aggiungersi alla già nutrita collezione permanente. Le opere degli artisti storicizzati dialogheranno nelle sale del CAM con quelle dei giovani napoletani in un crogiuolo internazionale.
La sala che ospita le opere dei napoletani sarà intitolata il 19 dicembre allo storico dell’arte, recentemente scomparso, Vitaliano Corbi.
Fautore degli studi sull’arte napoletana dal secondo dopoguerra in poi, Corbi ha sempre propugnato la valenza dell’espressione produttiva partenopea e di un’arte non legata al mercato. Particolare attenzione fu dedicata dallo scrittore al concetto di museo, la cui attività “non limitandosi al solo evento espositivo, sappia dispiegarsi attraverso un lavoro sistematico di ricerca, di studio e di documentazione”. Altrettanto forte è stato il suo interesse verso i giovani, gli artisti dell’oggi e del domani, indirizzandoli ad un impegno etico oltre che estetico, verso la rivalutazione delle diversità, superando standard omologanti.
Secondo quanto afferma Antonio Manfredi, direttore del CAM e promotore dell’iniziativa: “La scomparsa di un amico e di un grande nome per la critica italiana lascia un vuoto incolmabile. Mi è sembrato doveroso dedicare a Vitaliano Corbi la sala in cui sono raccolte le opere degli artisti napoletani sulle cui evoluzioni e per la cui valorizzazione si è impegnato a scrivere e a studiare. Sono certo che la sua filosofia sia quella vincente; non a caso quei musei IKEA, privi di un’identità e di una caratterizzazione, un po’ tutti uguali, che spesso evitano di confrontarsi con la storia locale e le problematiche sociali, alla fine falliscono”.
CAM_Casoria Contemporary Art Museum Via Duca D’Aosta 63/A 80026 Casoria/Napoli/Italia Tel/Fax: +39 0817576167
Martedì-mercoledì-giovedì-domenica 10.00/13.00 sabato 17.00/20.00 lunedì-venerdì solo gruppi per appuntamento
www.casoriacontemporaryartmuseum.com
giovedì 10 marzo 2011
Cittadini per il parco
In collaborazione con la Fondazione Cuciniello, presso la loro sede, mercoledì 16 ore 18,30 in corso Italia 125 Ercolano, riunione di zona del movimento "cittadini per il Parco" per i comuni di Torre del Greco, Ercolano, Portici e San Giorgio a Cremano.
La nascita del Parco Nazionale del Vesuvio, 15 anni or sono, avvenne quasi in sordina. Le singole amministrazioni comunali aderirono quasi per inerzia, una volta appurato che, almeno nell’immediato, l’adesione al Parco non comportasse ulteriori restrizioni in ambito edilizio, rispetto alla normativa preesistente. Una generica e velleitaria, in quanto generica, propensione a “sviluppare il turismo” fornì una motivazione plausibile e gli amministratori decisero di aderire al Parco senza porsi troppe domande, ma anche con poche idee e confuse.
La popolazione, a parte qualche gruppo di interesse, rimase sostanzialmente estranea a questo dibattito. Gli ambientalisti salutarono con entusiasmo la nascita del nuovo ente; altri temevano che l’istituzione del Parco potesse comportare nuovi vincoli “al fare”. Vincoli a costruire soprattutto. Già, perché il mattone, ovvero l’abusivismo edilizio, insieme ai ristoranti da cerimonia, alle cave e alle discariche abusive, hanno costituito per decenni “il modello di sviluppo” dominante nell’area “a monte” dei centri urbani.
In quel momento storico, quel modello di sviluppo era senso comune, pratica condivisa, cultura dominante. E oggi? Oggi le ultime cave sono state dismesse; l’antica “vocazione” alle discariche ha trovato il suggello nelle discariche di Stato; i novelli sposi sono alla ricerca di “location” meno maleodoranti e più suggestive per il loro giorno più bello; l’agricoltura, che già quindici anni fa era stremata e cedeva superficie alla speculazione edilizia, è ridotta a testimonianza; in compenso l’abusivismo edilizio dà segni di ripresa.
Tuttavia possiamo affermare che il “modello di sviluppo vesuviano” è sostanzialmente andato in crisi. Il territorio è stato consumato e ha perso “appeal”. Ma la nascita del Parco non doveva favorire un modello di sviluppo alternativo? Cosa ne é stato delle legittime speranze per un “altro” Vesuvio? La vicenda delle discariche di Stato è solo l’ultimo colpo ad un progetto già in
agonia. Il Parco non è mai decollato. E, in effetti, che cosa avrebbe potuto essere e non è stato? Quale futuro era, forse è ancora, lecito aspettarsi? Un modello di sviluppo “alternativo” potrebbe nascere in realtà dalla valorizzazione di due antichissime vocazioni dell’area, precedenti all’ “era del mattone”, quella agricola e quella turistica.
Una antica civiltà contadina, ricca di saperi e di prodotti, alcuni dei quali dalla fama leggendaria, è stata progressivamente spazzata via dalla pressione demografica proveniente “dal basso” e dalla speculazione edilizia. L’agricoltura vesuviana era debole strutturalmente. Maggiori costi di produzione, basse rese, stessi prezzi al mercato rispetto ai prodotti provenienti dai territori limitrofi. Andava valorizzata per tempo la straordinaria qualità organolettica dei suoi prodotti. Non è stato fatto. La viticoltura perde ogni anno superfici vitate. La grande coltura e cultura dell’albicocco è ormai relegata in pochi comuni del monte Somma. Oggi l’agricoltura vesuviana, sempre più accerchiata dal cemento, mortificata e screditata dalla cosiddetta “crisi dei rifiuti”, appare incapace di proporsi come il fulcro di un rilancio anche turistico del territorio. Ciononostante e incredibilmente, con il “pomodorino del piennolo del Vesuvio”, l’Italia ha ottenuto recentemente una nuova DOP.
Il turismo è una vocazione antichissima. L’ascesa al Vesuvio era un classico del Grand Tour ottocentesco. Ogni anno circa 500.000 persone visitano il cratere del Vesuvio, ma intorno al Gran Cono non siamo stati capaci di costruire dei percorsi turistici che valorizzassero le risorse del territorio e una rete di servizi a supporto.
L’unica “economia turistica” che si è stati in grado di produrre è stata quella dei “ristoranti sul Vesuvio”. Una economia importante, in termini di fatturato e per numero di addetti, quella dei ristoranti da cerimonia; peccato che spesso, quasi sempre, si sia trattato di nuove costruzioni, tutte rigorosamente abusive, esteticamente oscene, che offendono il paesaggio e fanno terra bruciata intorno a sé. Una ristorazione senza nessun legame con il territorio, che non fosse quello, talvolta, di una “veduta panoramica”, tra un parcheggio e un “Luna Park” per intrattenere i bambini, che oggi paga il conto di un uso dissennato e vorace del territorio. Un modello di turismo perfettamente compatibile quindi con l’edilizia abusiva privata e con il business delle discariche illegali di rifiuti più o meno pericolosi. Il territorio come bene da consumare. Il Vesuvio come bene turistico “mordi e fuggi”.
Poche le strutture alberghiere, per lo più connesse alla attività del turismo da cerimonia, destinate ad una clientela locale di coppiette o amanti in fuga dai rispettivi tetti coniugali.
I nodi da sciogliere per costruire un modello di sviluppo alternativo passano ancora per la risposta a queste domande (quale turismo?), per la risoluzione di antiche questioni.
Recupero di una dimensione produttiva per l’agricoltura. Sviluppo di un turismo sostenibile. Tutela e valorizzazione turistica dei siti di interesse naturalistico.
Sono questi i capisaldi intorno ai quali costruire una economia sostenibile capace di creare centinaia di nuovi posti di lavoro, migliorando al contempo le condizioni di vita degli stessi residenti.
Occorrono investimenti pubblici significativi, opere pubbliche per il riassetto idrogeologico e il ripristino della viabilità rurale, sinergie e concertazione con i privati che vogliano investire correttamente, garantire una manutenzione costante della sentieristica del Parco, politiche mirate di sostegno alle attività agricole, azioni efficaci e professionali di marketing territoriale; occorre che insieme al progetto, alle volontà e agli investimenti, si verifichino alcune pre-condizioni: un fermo stop all’abusivismo edilizio, che ha rialzato la testa; una bonifica a tappeto delle discariche vecchie e nuove; un sistema efficace di monitoraggio del territorio e di vigilanza delle aree protette.
L’ultima condizione, ma essenziale, affinché queste ipotesi di sviluppo possano essere seriamente perseguite, è, non solo, come è ovvio, che esse vengano condivise dai decisori politici, ma anche che le politiche atte a realizzarle siano coordinate e programmate da una regia politica e istituzionale unitaria. E veniamo quindi al ruolo dell’Ente Parco.
Quali sono i poteri dell’Ente Parco? In che modo e misura i comuni partecipano alla definizione delle politiche dell’ente? Può essere l’Ente Parco l’organismo politicoistituzionale in grado di svolgere questo ruolo di “regia”? Procedere verso la costituzione di “Unioni comunali” all’interno dell’area Parco, come previsto dal decreto legge 18 agosto 2000 n.267, può favorire l’adozione di politiche di sviluppo territoriale più efficaci?
I poteri del Parco sono più limitati di quanto non si creda. Solo oggi, a distanza di quindici anni, con l’approvazione avvenuta in consiglio regionale del Piano urbanistico del Parco, esiste uno strumento urbanistico a cui i piani regolatori dei comuni devono conformarsi. Ma manca ancora il regolamento attuativo, senza il quale anche i compiti e i poteri di tutela dell’ente, restano indeterminati. Alle dipendenze funzionali del Parco c’è una unità del corpo forestale, il CTA, che conta circa 50 addetti. Non tantissimi quindi. Porzioni importanti del territorio, come la riserva Alto Tirone della Guardia sono invece “demanio” e sotto la giurisdizione del corpo forestale. Solo da qualche anno l’area del Gran Cono e anche i proventi che si ricavano dalle visite (per la maggior parte redistribuiti alle guide), sono stati trasferiti nella diretta responsabilità giuridica dell’ente. Tra gli organismi di governo dell’ente c’è “la comunità del Parco”, un organo consultivo, che tuttavia nomina 5 membri su 12 nel Consiglio direttivo, in cui siedono i rappresentanti di tutti i comuni che fanno parte del Parco e che approva il piano pluriennale economico e sociale.
Ma aldilà di ogni valutazione su quanto “pesino” i comuni all’interno degli organismi dirigenti del Parco e di quanto potere decisionale sia invece investita la figura del Presidente, di nomina ministeriale, e del consiglio direttivo, quello che qui si vuole sottolineare, è che i comuni non hanno mai ritenuto che il Parco potesse essere la loro “casa comune”, il luogo istituzionale in cui progettare, pianificare e programmare lo sviluppo dei rispettivi territori, in una visione unitaria. E’ mancata e manca tuttora negli amministratori la consapevolezza della interdipendenza che lega i destini degli uni agli altri. D’altra parte lo stesso Ente Parco avrebbe dovuto qualificarsi in questi anni come “agenzia di sviluppo”; come un “think tank” al servizio di una missione comune. Per far questo avrebbe dovuto dotarsi di professionalità di altissimo profilo in molti campi del sapere scientifico ed economico, così da porsi come interlocutore autorevole rispetto agli enti locali. Anche questo non è avvenuto. Il Parco quindi è stato vissuto dai comuni come una fonte di finanziamento occasionale, beneficiaria di finanziamenti pubblici ed europei legati a singole
progettualità, ce sono stati, di volta in volta, sistematicamente spartiti tra gli enti locali tenendo conto delle rispettive “grandezze” e non utilizzati secondo logiche e progettualità che facessero prevalere un disegno strategico sugli interessi particolari. Così come gli amministratori locali non hanno saputo o voluto vedere nell’ Ente Parco il possibile fulcro intorno al quale coordinare le politiche di sviluppo territoriale, parimenti non si è sviluppato nei nostri comuni alcun dibattito significativo sulle opportunità offerte dalla legislazione di procedere ad una integrazione, anche solo parziale, di compiti e funzioni di enti locali contigui, le cosiddette Unioni Comunali.
E’ di tutta evidenza come, all’interno dell’area Parco e anche al di fuori di essa, vi siano tutte le condizioni, e la convenienza, a procedere speditamente verso queste forme di integrazione. I campanilismi o la strenua difesa del proprio orticello elettorale, mal si conciliano con la necessità di affrontare e risolvere problemi che potrebbero essere più efficacemente affrontati e risolti se posti su una scala territoriale più ampia. All’interno dell’area Parco potrebbe nascere più di una “Unione”; questa integrazione favorirebbe a sua volta la composizione degli interessi collettivi all’interno dell’Ente Parco e finalmente la programmazione di interventi strategici nell’ottica di un approccio sistemico allo sviluppo dell’area.
Naturalmente, non si può immaginare di imprimere una inversione di tendenza a “monte”, se tutto resta come prima “a valle”, né si possono immaginare “muri divisori” che separino il Parco dalle aree più urbanizzate. Già alcuni comuni del Parco, tra i più estesi territorialmente, vivono la condizione schizofrenica di avere parte del proprio territorio nel Parco e parte al di fuori di esso. Sono le cosiddette “aree contigue”. Esse sono costituite dai centri urbani di città grandi come Ercolano e Torre del Greco, ovvero dalle aree urbanizzate dei comuni del monte Somma. Vi sono poi i centri urbani di comuni come Portici, San Giorgio, Cercola, Torre Annunziata, che pur non facendo parte del Parco, esercitano una indubbia “pressione” sulle aree a monte.
Noi crediamo che un disegno efficace di sviluppo per l’area Parco difficilmente possa immaginarsi prescindendo dal decongestionamento e da una credibile ipotesi di riconversione economica e produttiva della cinta urbana “a valle”. Occorre quindi, pur nella specificità delle singole realtà territoriali e dei rispettivi tessuti produttivi, ricercare delle linee di continuità tra lo sviluppo dei centri urbani e lo sviluppo dell’area Parco.
Certamente il turismo e il rilancio dell’artigianato costituiscono il naturale “trait d’union” tra la costa del Vesuvio e l’area a “monte”. Basti pensare all’enorme patrimonio, in gran parte inutilizzato, costituito dalle ville settecentesche del Miglio D’oro; all’area archeologica di Ercolano; alla manifattura del corallo. Non è difficile immaginare dei percorsi turistici che si snodino dalle Ville settecentesche alle Masserie; dagli scavi di Ercolano ai sentieri del Parco Vesuvio; dai laboratori dell’arte orafa alle cantine del Lacryma Christi. La riconversione, ai fini dello sviluppo turistico, dei piccoli porti di Torre del Greco e dello storico approdo borbonico del Granatello a Portici, oggi oggetto di un programma di recupero, aggiungerebbero un altro fondamentale tassello a questo quadro di rilancio. Più complessa appare la convivenza di altre attività, industriali e dei servizi, con le esigenze di una “green economy”. Il caos urbanistico e l’anarchia del costruire da una parte, la mancanza di spazio per insediare tali attività dall’altra, hanno portato ad insediamenti disordinati e ad una pressione antropica verso le aree a monte, le uniche
disponibili, andando a pregiudicare, in una ampia fascia “pedemontana”, la possibilità di uno sviluppo coerente con le finalità dell’Ente Parco. Da questa “empasse”, se ne può uscire soltanto con una difesa strenua delle aree di pregio rimaste in equilibrio ambientale, ancorché precario, ma anche con la razionalizzazione dell’esistente e la individuazione, finalmente, di aree di sviluppo industriale e dei servizi, verso le quali incentivare le imprese a delocalizzare gli impianti, decongestionando i centri urbani e i centri storici, recuperando suoli nella fascia pedemontana, restituendo vivibilità ai residenti e opportunità per lo sviluppo turistico ai centri storici, anche sul piano della ricettività alberghiera e della ospitalità diffusa.
Questi i fatti. Questa l’analisi. In una recente e contrastata trasmissione televisiva di successo, gli autori si domandavano a vicenda: resto perchè? Vado via perché? Una volta scelta la prima opzione, bisogna tuttavia che il nostro restare abbia una prospettiva, confidi di trovare una via di uscita positiva alla insopportabilità e al nichilismo della situazione odierna. Ecco, noi vogliamo lavorare alla individuazione di questa exit strategy, che è in realtà la ricerca di una strategia per restare, ovvero per cambiare profondamente in meglio i luoghi in cui viviamo.
La domanda che ci poniamo allora è: cosa possiamo fare per cambiare questo stato di cose?
La nostra ricetta è semplice, sicuramente difficile da realizzare, ma, ne siamo convinti, essa rappresenta la sola strada percorribile: solo costruendo una mobilitazione di centinaia e migliaia di persone a sostegno di un modello di sviluppo alternativo, sarà possibile condizionare i decisori politici ad agire in maniera coerente e consequenziale al raggiungimento di questi obiettivi. Solo se si creerà un fortissimo movimento di opinione, in grado di interloquire autorevolmente con la politica e con le istituzioni, le nostre richieste potranno essere accolte.
Solo se i nostri valori, i nostri principi, la nostra visione, le nostre proposte, l’idea stessa di un modello di sviluppo diverso, diventeranno sentire comune di molte più persone di quanto non lo siano oggi, sarà possibile determinare un cambiamento profondo nel nostro vivere sociale, del nostro modo di vivere e del nostro rapporto con il territorio e l’ambiente in cui viviamo.
Per questo vi chiediamo di unirvi a noi, per costituire una rete di tutti i gruppi e le associazioni attive nei comuni dell’area Parco che condividano i valori, le analisi e le proposte di questo appello. Per condividere il nostro impegno, per arricchire la nostra proposta con le vostre proposte, per moltiplicare le nostre energie, per lavorare insieme a far crescere sensibilità e mobilitazione per un futuro migliore per tutti.
CIA (confederazione italiana agricoltori) di Napoli e Caserta
Legambiente Campania
Rete dei comitati antidiscarica vesuviani
Condotta Slow Food Vesuvio
La nascita del Parco Nazionale del Vesuvio, 15 anni or sono, avvenne quasi in sordina. Le singole amministrazioni comunali aderirono quasi per inerzia, una volta appurato che, almeno nell’immediato, l’adesione al Parco non comportasse ulteriori restrizioni in ambito edilizio, rispetto alla normativa preesistente. Una generica e velleitaria, in quanto generica, propensione a “sviluppare il turismo” fornì una motivazione plausibile e gli amministratori decisero di aderire al Parco senza porsi troppe domande, ma anche con poche idee e confuse.
La popolazione, a parte qualche gruppo di interesse, rimase sostanzialmente estranea a questo dibattito. Gli ambientalisti salutarono con entusiasmo la nascita del nuovo ente; altri temevano che l’istituzione del Parco potesse comportare nuovi vincoli “al fare”. Vincoli a costruire soprattutto. Già, perché il mattone, ovvero l’abusivismo edilizio, insieme ai ristoranti da cerimonia, alle cave e alle discariche abusive, hanno costituito per decenni “il modello di sviluppo” dominante nell’area “a monte” dei centri urbani.
In quel momento storico, quel modello di sviluppo era senso comune, pratica condivisa, cultura dominante. E oggi? Oggi le ultime cave sono state dismesse; l’antica “vocazione” alle discariche ha trovato il suggello nelle discariche di Stato; i novelli sposi sono alla ricerca di “location” meno maleodoranti e più suggestive per il loro giorno più bello; l’agricoltura, che già quindici anni fa era stremata e cedeva superficie alla speculazione edilizia, è ridotta a testimonianza; in compenso l’abusivismo edilizio dà segni di ripresa.
Tuttavia possiamo affermare che il “modello di sviluppo vesuviano” è sostanzialmente andato in crisi. Il territorio è stato consumato e ha perso “appeal”. Ma la nascita del Parco non doveva favorire un modello di sviluppo alternativo? Cosa ne é stato delle legittime speranze per un “altro” Vesuvio? La vicenda delle discariche di Stato è solo l’ultimo colpo ad un progetto già in
agonia. Il Parco non è mai decollato. E, in effetti, che cosa avrebbe potuto essere e non è stato? Quale futuro era, forse è ancora, lecito aspettarsi? Un modello di sviluppo “alternativo” potrebbe nascere in realtà dalla valorizzazione di due antichissime vocazioni dell’area, precedenti all’ “era del mattone”, quella agricola e quella turistica.
Una antica civiltà contadina, ricca di saperi e di prodotti, alcuni dei quali dalla fama leggendaria, è stata progressivamente spazzata via dalla pressione demografica proveniente “dal basso” e dalla speculazione edilizia. L’agricoltura vesuviana era debole strutturalmente. Maggiori costi di produzione, basse rese, stessi prezzi al mercato rispetto ai prodotti provenienti dai territori limitrofi. Andava valorizzata per tempo la straordinaria qualità organolettica dei suoi prodotti. Non è stato fatto. La viticoltura perde ogni anno superfici vitate. La grande coltura e cultura dell’albicocco è ormai relegata in pochi comuni del monte Somma. Oggi l’agricoltura vesuviana, sempre più accerchiata dal cemento, mortificata e screditata dalla cosiddetta “crisi dei rifiuti”, appare incapace di proporsi come il fulcro di un rilancio anche turistico del territorio. Ciononostante e incredibilmente, con il “pomodorino del piennolo del Vesuvio”, l’Italia ha ottenuto recentemente una nuova DOP.
Il turismo è una vocazione antichissima. L’ascesa al Vesuvio era un classico del Grand Tour ottocentesco. Ogni anno circa 500.000 persone visitano il cratere del Vesuvio, ma intorno al Gran Cono non siamo stati capaci di costruire dei percorsi turistici che valorizzassero le risorse del territorio e una rete di servizi a supporto.
L’unica “economia turistica” che si è stati in grado di produrre è stata quella dei “ristoranti sul Vesuvio”. Una economia importante, in termini di fatturato e per numero di addetti, quella dei ristoranti da cerimonia; peccato che spesso, quasi sempre, si sia trattato di nuove costruzioni, tutte rigorosamente abusive, esteticamente oscene, che offendono il paesaggio e fanno terra bruciata intorno a sé. Una ristorazione senza nessun legame con il territorio, che non fosse quello, talvolta, di una “veduta panoramica”, tra un parcheggio e un “Luna Park” per intrattenere i bambini, che oggi paga il conto di un uso dissennato e vorace del territorio. Un modello di turismo perfettamente compatibile quindi con l’edilizia abusiva privata e con il business delle discariche illegali di rifiuti più o meno pericolosi. Il territorio come bene da consumare. Il Vesuvio come bene turistico “mordi e fuggi”.
Poche le strutture alberghiere, per lo più connesse alla attività del turismo da cerimonia, destinate ad una clientela locale di coppiette o amanti in fuga dai rispettivi tetti coniugali.
I nodi da sciogliere per costruire un modello di sviluppo alternativo passano ancora per la risposta a queste domande (quale turismo?), per la risoluzione di antiche questioni.
Recupero di una dimensione produttiva per l’agricoltura. Sviluppo di un turismo sostenibile. Tutela e valorizzazione turistica dei siti di interesse naturalistico.
Sono questi i capisaldi intorno ai quali costruire una economia sostenibile capace di creare centinaia di nuovi posti di lavoro, migliorando al contempo le condizioni di vita degli stessi residenti.
Occorrono investimenti pubblici significativi, opere pubbliche per il riassetto idrogeologico e il ripristino della viabilità rurale, sinergie e concertazione con i privati che vogliano investire correttamente, garantire una manutenzione costante della sentieristica del Parco, politiche mirate di sostegno alle attività agricole, azioni efficaci e professionali di marketing territoriale; occorre che insieme al progetto, alle volontà e agli investimenti, si verifichino alcune pre-condizioni: un fermo stop all’abusivismo edilizio, che ha rialzato la testa; una bonifica a tappeto delle discariche vecchie e nuove; un sistema efficace di monitoraggio del territorio e di vigilanza delle aree protette.
L’ultima condizione, ma essenziale, affinché queste ipotesi di sviluppo possano essere seriamente perseguite, è, non solo, come è ovvio, che esse vengano condivise dai decisori politici, ma anche che le politiche atte a realizzarle siano coordinate e programmate da una regia politica e istituzionale unitaria. E veniamo quindi al ruolo dell’Ente Parco.
Quali sono i poteri dell’Ente Parco? In che modo e misura i comuni partecipano alla definizione delle politiche dell’ente? Può essere l’Ente Parco l’organismo politicoistituzionale in grado di svolgere questo ruolo di “regia”? Procedere verso la costituzione di “Unioni comunali” all’interno dell’area Parco, come previsto dal decreto legge 18 agosto 2000 n.267, può favorire l’adozione di politiche di sviluppo territoriale più efficaci?
I poteri del Parco sono più limitati di quanto non si creda. Solo oggi, a distanza di quindici anni, con l’approvazione avvenuta in consiglio regionale del Piano urbanistico del Parco, esiste uno strumento urbanistico a cui i piani regolatori dei comuni devono conformarsi. Ma manca ancora il regolamento attuativo, senza il quale anche i compiti e i poteri di tutela dell’ente, restano indeterminati. Alle dipendenze funzionali del Parco c’è una unità del corpo forestale, il CTA, che conta circa 50 addetti. Non tantissimi quindi. Porzioni importanti del territorio, come la riserva Alto Tirone della Guardia sono invece “demanio” e sotto la giurisdizione del corpo forestale. Solo da qualche anno l’area del Gran Cono e anche i proventi che si ricavano dalle visite (per la maggior parte redistribuiti alle guide), sono stati trasferiti nella diretta responsabilità giuridica dell’ente. Tra gli organismi di governo dell’ente c’è “la comunità del Parco”, un organo consultivo, che tuttavia nomina 5 membri su 12 nel Consiglio direttivo, in cui siedono i rappresentanti di tutti i comuni che fanno parte del Parco e che approva il piano pluriennale economico e sociale.
Ma aldilà di ogni valutazione su quanto “pesino” i comuni all’interno degli organismi dirigenti del Parco e di quanto potere decisionale sia invece investita la figura del Presidente, di nomina ministeriale, e del consiglio direttivo, quello che qui si vuole sottolineare, è che i comuni non hanno mai ritenuto che il Parco potesse essere la loro “casa comune”, il luogo istituzionale in cui progettare, pianificare e programmare lo sviluppo dei rispettivi territori, in una visione unitaria. E’ mancata e manca tuttora negli amministratori la consapevolezza della interdipendenza che lega i destini degli uni agli altri. D’altra parte lo stesso Ente Parco avrebbe dovuto qualificarsi in questi anni come “agenzia di sviluppo”; come un “think tank” al servizio di una missione comune. Per far questo avrebbe dovuto dotarsi di professionalità di altissimo profilo in molti campi del sapere scientifico ed economico, così da porsi come interlocutore autorevole rispetto agli enti locali. Anche questo non è avvenuto. Il Parco quindi è stato vissuto dai comuni come una fonte di finanziamento occasionale, beneficiaria di finanziamenti pubblici ed europei legati a singole
progettualità, ce sono stati, di volta in volta, sistematicamente spartiti tra gli enti locali tenendo conto delle rispettive “grandezze” e non utilizzati secondo logiche e progettualità che facessero prevalere un disegno strategico sugli interessi particolari. Così come gli amministratori locali non hanno saputo o voluto vedere nell’ Ente Parco il possibile fulcro intorno al quale coordinare le politiche di sviluppo territoriale, parimenti non si è sviluppato nei nostri comuni alcun dibattito significativo sulle opportunità offerte dalla legislazione di procedere ad una integrazione, anche solo parziale, di compiti e funzioni di enti locali contigui, le cosiddette Unioni Comunali.
E’ di tutta evidenza come, all’interno dell’area Parco e anche al di fuori di essa, vi siano tutte le condizioni, e la convenienza, a procedere speditamente verso queste forme di integrazione. I campanilismi o la strenua difesa del proprio orticello elettorale, mal si conciliano con la necessità di affrontare e risolvere problemi che potrebbero essere più efficacemente affrontati e risolti se posti su una scala territoriale più ampia. All’interno dell’area Parco potrebbe nascere più di una “Unione”; questa integrazione favorirebbe a sua volta la composizione degli interessi collettivi all’interno dell’Ente Parco e finalmente la programmazione di interventi strategici nell’ottica di un approccio sistemico allo sviluppo dell’area.
Naturalmente, non si può immaginare di imprimere una inversione di tendenza a “monte”, se tutto resta come prima “a valle”, né si possono immaginare “muri divisori” che separino il Parco dalle aree più urbanizzate. Già alcuni comuni del Parco, tra i più estesi territorialmente, vivono la condizione schizofrenica di avere parte del proprio territorio nel Parco e parte al di fuori di esso. Sono le cosiddette “aree contigue”. Esse sono costituite dai centri urbani di città grandi come Ercolano e Torre del Greco, ovvero dalle aree urbanizzate dei comuni del monte Somma. Vi sono poi i centri urbani di comuni come Portici, San Giorgio, Cercola, Torre Annunziata, che pur non facendo parte del Parco, esercitano una indubbia “pressione” sulle aree a monte.
Noi crediamo che un disegno efficace di sviluppo per l’area Parco difficilmente possa immaginarsi prescindendo dal decongestionamento e da una credibile ipotesi di riconversione economica e produttiva della cinta urbana “a valle”. Occorre quindi, pur nella specificità delle singole realtà territoriali e dei rispettivi tessuti produttivi, ricercare delle linee di continuità tra lo sviluppo dei centri urbani e lo sviluppo dell’area Parco.
Certamente il turismo e il rilancio dell’artigianato costituiscono il naturale “trait d’union” tra la costa del Vesuvio e l’area a “monte”. Basti pensare all’enorme patrimonio, in gran parte inutilizzato, costituito dalle ville settecentesche del Miglio D’oro; all’area archeologica di Ercolano; alla manifattura del corallo. Non è difficile immaginare dei percorsi turistici che si snodino dalle Ville settecentesche alle Masserie; dagli scavi di Ercolano ai sentieri del Parco Vesuvio; dai laboratori dell’arte orafa alle cantine del Lacryma Christi. La riconversione, ai fini dello sviluppo turistico, dei piccoli porti di Torre del Greco e dello storico approdo borbonico del Granatello a Portici, oggi oggetto di un programma di recupero, aggiungerebbero un altro fondamentale tassello a questo quadro di rilancio. Più complessa appare la convivenza di altre attività, industriali e dei servizi, con le esigenze di una “green economy”. Il caos urbanistico e l’anarchia del costruire da una parte, la mancanza di spazio per insediare tali attività dall’altra, hanno portato ad insediamenti disordinati e ad una pressione antropica verso le aree a monte, le uniche
disponibili, andando a pregiudicare, in una ampia fascia “pedemontana”, la possibilità di uno sviluppo coerente con le finalità dell’Ente Parco. Da questa “empasse”, se ne può uscire soltanto con una difesa strenua delle aree di pregio rimaste in equilibrio ambientale, ancorché precario, ma anche con la razionalizzazione dell’esistente e la individuazione, finalmente, di aree di sviluppo industriale e dei servizi, verso le quali incentivare le imprese a delocalizzare gli impianti, decongestionando i centri urbani e i centri storici, recuperando suoli nella fascia pedemontana, restituendo vivibilità ai residenti e opportunità per lo sviluppo turistico ai centri storici, anche sul piano della ricettività alberghiera e della ospitalità diffusa.
Questi i fatti. Questa l’analisi. In una recente e contrastata trasmissione televisiva di successo, gli autori si domandavano a vicenda: resto perchè? Vado via perché? Una volta scelta la prima opzione, bisogna tuttavia che il nostro restare abbia una prospettiva, confidi di trovare una via di uscita positiva alla insopportabilità e al nichilismo della situazione odierna. Ecco, noi vogliamo lavorare alla individuazione di questa exit strategy, che è in realtà la ricerca di una strategia per restare, ovvero per cambiare profondamente in meglio i luoghi in cui viviamo.
La domanda che ci poniamo allora è: cosa possiamo fare per cambiare questo stato di cose?
La nostra ricetta è semplice, sicuramente difficile da realizzare, ma, ne siamo convinti, essa rappresenta la sola strada percorribile: solo costruendo una mobilitazione di centinaia e migliaia di persone a sostegno di un modello di sviluppo alternativo, sarà possibile condizionare i decisori politici ad agire in maniera coerente e consequenziale al raggiungimento di questi obiettivi. Solo se si creerà un fortissimo movimento di opinione, in grado di interloquire autorevolmente con la politica e con le istituzioni, le nostre richieste potranno essere accolte.
Solo se i nostri valori, i nostri principi, la nostra visione, le nostre proposte, l’idea stessa di un modello di sviluppo diverso, diventeranno sentire comune di molte più persone di quanto non lo siano oggi, sarà possibile determinare un cambiamento profondo nel nostro vivere sociale, del nostro modo di vivere e del nostro rapporto con il territorio e l’ambiente in cui viviamo.
Per questo vi chiediamo di unirvi a noi, per costituire una rete di tutti i gruppi e le associazioni attive nei comuni dell’area Parco che condividano i valori, le analisi e le proposte di questo appello. Per condividere il nostro impegno, per arricchire la nostra proposta con le vostre proposte, per moltiplicare le nostre energie, per lavorare insieme a far crescere sensibilità e mobilitazione per un futuro migliore per tutti.
CIA (confederazione italiana agricoltori) di Napoli e Caserta
Legambiente Campania
Rete dei comitati antidiscarica vesuviani
Condotta Slow Food Vesuvio
Napoli, per il via alla nuova stazione della metro, tagli a funicolari e Linea 6
NAPOLI - Partirà entro la fine di marzo il primo treno-navetta da piazza Bovio a piazza Dante. L’avvio delle procedure è stato pianificato nelle ultime ore a palazzo San Giacomo, al termine di lunghe settimane di sofferta organizzazione: per consentire il via vai del trenino sulla nuova brevissima tratta, è stato deciso un poderoso ridimensionamento di altre linee.
Tagliate di netto sei ore al giorno della linea 6, accorciati gli orari serali delle funicolari che chiuderanno tutte, inderogabilmente, alle 22 ogni giorno.
All’entusiasmo per l’inaugurazione della nuova tratta, fanno da contraltare le forti polemiche degli utenti scaturite dalla diffusione dei particolari sul ridimensionamento dei servizi. È stato Andrea Santoro, consigliere comunale d’opposizione, in prima linea nei recenti giorni caldi delle dimissioni per far decadere il sindaco, a svelare quel che è stato deciso nella delibera di Giunta dell’altroieri, 7 marzo, che ha ufficializzato le novità nel trasporto di Metronapoli: «Si tratta di una operazione a fini elettorali che va a scapito degli utenti», ha detto, fra l’altro, Santoro.
Da palazzo San Giacomo, invece, spiegano che tutta la vicenda è stata studiata nei particolari e che i disagi per gli utenti saranno pochissimi. Il taglio più feroce è stato effettuato sui viaggi della linea 6 della Metropolitana, quella che attualmente parte dalla Mostra d’Oltremare e arriva a Mergellina e che nei piani futuri è destinata a raggiungere Piazza Municipio dove ci sarà la stazione di collegamento fra la linea 6 e la linea 1. Attualmente, e ancora per poco, quei treni partono alle sei e mezzo del mattino e proseguono le corse ininterrottamente fino alle 21,15. Dal giorno in cui entrerà in funzione la nuova navetta da piazza Bovio, invece, le corse della linea 6 termineranno alle 14,30.
La chiusura anticipata della linea 6 è il prezzo che bisogna pagare all’apertura del nuovo percorso nel centro di Napoli. È la stessa delibera di Giunta del 7 marzo che spiega: «La riduzione delle corse giornaliere è necessaria per reperire personale (macchinisti e agenti di stazione) da impiegare per i nuovi servizi sulla tratta Dante-Bovio». Insomma, la coperta è corta, se la tiri dalla parte della stazione università lasci scoperta quella di Mergellina.
Il taglio delle corse della linea 6, spiegano da palazzo San Giacomo, è stato deciso dopo aver studiato i dati sull’utilizzo di quei treni: secondo le statistiche, sono pochissimi i napoletani che sfruttano quel percorso, per cui i disagi saranno limitati.
Discorso diverso per le funicolari. Oggi la Centrale e quella di Chiaia svolgono l’ultima corsa a mezzanotte e mezza. Da quando entrerà in vigore il nuovo piano tutti i vagoni delle funicolari si fermeranno alle 22, con buona pace delle persone che utilizzavano i trasporti pubblici per andare al cinema o al teatro e che, d’ora in poi, dovranno prendere l’automobile. Sulla vicenda delle funicolari c’è una trattativa ancora in corso. Si sta tentando di mettere in salvo le corse «notturne» almeno della funicolare centrale per consentire un collegamento diretto tra Vomero e Centro almeno attraverso un canale.
La delibera della Giunta del 7 marzo (assenti gli assessori Ponticelli, Guida, Saggese e Pagano) si trova attualmente ancora alla fase del vaglio definitivo. Il documento contiene anche le previsioni di spesa da parte del Comune di 28 milioni e 170 mila euro per i servizi erogati da Metronapoli, e lo smistamento alla stessa società dei 13 milioni destinati dalla Regione al Comune per i servizi minimi ferroviari.
di Paolo Barbuto - ilmattino.it
Tagliate di netto sei ore al giorno della linea 6, accorciati gli orari serali delle funicolari che chiuderanno tutte, inderogabilmente, alle 22 ogni giorno.
All’entusiasmo per l’inaugurazione della nuova tratta, fanno da contraltare le forti polemiche degli utenti scaturite dalla diffusione dei particolari sul ridimensionamento dei servizi. È stato Andrea Santoro, consigliere comunale d’opposizione, in prima linea nei recenti giorni caldi delle dimissioni per far decadere il sindaco, a svelare quel che è stato deciso nella delibera di Giunta dell’altroieri, 7 marzo, che ha ufficializzato le novità nel trasporto di Metronapoli: «Si tratta di una operazione a fini elettorali che va a scapito degli utenti», ha detto, fra l’altro, Santoro.
Da palazzo San Giacomo, invece, spiegano che tutta la vicenda è stata studiata nei particolari e che i disagi per gli utenti saranno pochissimi. Il taglio più feroce è stato effettuato sui viaggi della linea 6 della Metropolitana, quella che attualmente parte dalla Mostra d’Oltremare e arriva a Mergellina e che nei piani futuri è destinata a raggiungere Piazza Municipio dove ci sarà la stazione di collegamento fra la linea 6 e la linea 1. Attualmente, e ancora per poco, quei treni partono alle sei e mezzo del mattino e proseguono le corse ininterrottamente fino alle 21,15. Dal giorno in cui entrerà in funzione la nuova navetta da piazza Bovio, invece, le corse della linea 6 termineranno alle 14,30.
La chiusura anticipata della linea 6 è il prezzo che bisogna pagare all’apertura del nuovo percorso nel centro di Napoli. È la stessa delibera di Giunta del 7 marzo che spiega: «La riduzione delle corse giornaliere è necessaria per reperire personale (macchinisti e agenti di stazione) da impiegare per i nuovi servizi sulla tratta Dante-Bovio». Insomma, la coperta è corta, se la tiri dalla parte della stazione università lasci scoperta quella di Mergellina.
Il taglio delle corse della linea 6, spiegano da palazzo San Giacomo, è stato deciso dopo aver studiato i dati sull’utilizzo di quei treni: secondo le statistiche, sono pochissimi i napoletani che sfruttano quel percorso, per cui i disagi saranno limitati.
Discorso diverso per le funicolari. Oggi la Centrale e quella di Chiaia svolgono l’ultima corsa a mezzanotte e mezza. Da quando entrerà in vigore il nuovo piano tutti i vagoni delle funicolari si fermeranno alle 22, con buona pace delle persone che utilizzavano i trasporti pubblici per andare al cinema o al teatro e che, d’ora in poi, dovranno prendere l’automobile. Sulla vicenda delle funicolari c’è una trattativa ancora in corso. Si sta tentando di mettere in salvo le corse «notturne» almeno della funicolare centrale per consentire un collegamento diretto tra Vomero e Centro almeno attraverso un canale.
La delibera della Giunta del 7 marzo (assenti gli assessori Ponticelli, Guida, Saggese e Pagano) si trova attualmente ancora alla fase del vaglio definitivo. Il documento contiene anche le previsioni di spesa da parte del Comune di 28 milioni e 170 mila euro per i servizi erogati da Metronapoli, e lo smistamento alla stessa società dei 13 milioni destinati dalla Regione al Comune per i servizi minimi ferroviari.
di Paolo Barbuto - ilmattino.it
mercoledì 9 marzo 2011
«Coprì abusi edilizi»: divieto di dimora per il sindaco di Torre del Greco
La Procura oplontina: Ciro Borriello sarebbe intervenuto per sopprimere un verbale di sequestro di un negozio
NAPOLI - Divieto di dimora nel territorio comunale per il sindaco di Torre del Greco Ciro Borriello: la notizia choc è riferita dall’Agi, che rende nota una decisione di questa mattina della Procura di Torre Annunziata. Borriello: una decisione, quella della Procura oplontina, avallata dal gip, destinata a provocare un terremoto politico. Secondo quanto riferisce l’Agi, Borriello avrebbe condizionato l’azione della polizia municipale, intervenendo per sopprimere un verbale di sequestro per coprire abusi edilizi durante la ristrutturazione di un negozio. Ecco perché il gip, nell’ambito di un’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto Raffaele Marino, che lo scorso ottobre aveva portato ad arresti anche tra i vigili urbani di Torre del Greco, ha emesso il clamoroso provvedimento nei confronti di Borriello.
Le misure cautelari ottenute dagli inquirenti sono sei in totale; oltre a quella per il sindaco, ci sono misure di divieto anche per il figlio di un consigliere comunale, Nicola Donadio, per un tecnico comunale, Bernardo Tamburrino, e per altre due persone, mentre agli arresti con il beneficio dei domiciliari c’è un componente del corpo di polizia municipale, Raimondo Dottrina. Dottrina è accusato di soppressione di atto pubblico e falso in atto pubblico; il sindaco Borriello di soppressione di atto pubblico e abuso d'ufficio; falso in atto pubblico è il reato di cui è accusato Tamburrino; Donadio deve rispondere di soppressione di atto pubblico.
Carlo Tarallo
09 marzo 2011 - corrieredelmezzogiorno
NAPOLI - Divieto di dimora nel territorio comunale per il sindaco di Torre del Greco Ciro Borriello: la notizia choc è riferita dall’Agi, che rende nota una decisione di questa mattina della Procura di Torre Annunziata. Borriello: una decisione, quella della Procura oplontina, avallata dal gip, destinata a provocare un terremoto politico. Secondo quanto riferisce l’Agi, Borriello avrebbe condizionato l’azione della polizia municipale, intervenendo per sopprimere un verbale di sequestro per coprire abusi edilizi durante la ristrutturazione di un negozio. Ecco perché il gip, nell’ambito di un’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto Raffaele Marino, che lo scorso ottobre aveva portato ad arresti anche tra i vigili urbani di Torre del Greco, ha emesso il clamoroso provvedimento nei confronti di Borriello.
Le misure cautelari ottenute dagli inquirenti sono sei in totale; oltre a quella per il sindaco, ci sono misure di divieto anche per il figlio di un consigliere comunale, Nicola Donadio, per un tecnico comunale, Bernardo Tamburrino, e per altre due persone, mentre agli arresti con il beneficio dei domiciliari c’è un componente del corpo di polizia municipale, Raimondo Dottrina. Dottrina è accusato di soppressione di atto pubblico e falso in atto pubblico; il sindaco Borriello di soppressione di atto pubblico e abuso d'ufficio; falso in atto pubblico è il reato di cui è accusato Tamburrino; Donadio deve rispondere di soppressione di atto pubblico.
Carlo Tarallo
09 marzo 2011 - corrieredelmezzogiorno
martedì 8 marzo 2011
Torre del Greco, imprenditore denuncia il racket: tre arresti tra i Papale-Di Gioia
TORRE DEL GRECO - Ancora una volta è stata la collaborazione degli imprenditori vessati a indirizzare il lavoro delle forze dell'ordine. E così i carabinieri del nucleo investigativo di Torre Annunziata sono arrivati alla cattura di tre esponenti di quello che gli inquirenti considerano un nuovo sodalizio criminale, nato dalla ceneri del clan Falanga, sfaldatosi grazie agli arresti eseguiti negli ultimi anni: un sodalizio nato dalla collaborazione tra i Di Gioia, operanti nella città vesuviana, e i Papale, organizzazione attiva nella vicina Ercolano, e pronto ad imporre il pizzo alle forze produttive di Torre del Greco.
In manette sono finiti un incensurato, A.M., di 36 anni, e due volti noti alle forze dell'ordine, Mario Falanga, di 24 anni, e Bartolo Palomba, 31 anni: tutti sono accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Tutto nasce dalla denuncia del titolare di un'impresa di onoranze funebri, ai quali gli esponenti del clan Di Gioia-Papale avevano chiesto una tangente da 20 mila euro spalmata in tre rate: a Natale, Pasqua e a ferragosto. Proprio la richiesta natalizia di 5.500 euro ha fatto scattare la denuncia. Il lavoro delle forze dell'ordine ha portato oggi all'esecuzione di un'ordinanza di arresto, emessa dalla procura di Torre Annunziata, nei confronti dei tre appartenenti alla nuova organizzazione criminale.
Nel corso delle indagini è emersa una seconda richiesta di pizzo ai danni di un altro imprenditore. I militari hanno accertato che di norma le richieste erano spalmate in due rate da 10 mila euro ciascuna. Il blitz è scattato all'alba: in casa di Bartolo Palomba, che gli inquirenti ritengono abbia un ruolo primario della vicenda e nell'intera organizzazione criminale, i carabinieri hanno anche sequestrato duemila euro e un sistema di videosorveglianza composto da sei telecamere e due grossi monitor, mentre nell'appartamento di Mario Falanga sono stati trovati numerosi appunti con nomi e cifre. Appunti, ora al vaglio degli investigatori, che potrebbero portare alla luce nuovi elementi relativi al giro di richieste estorsive a Torre del Greco.
da ilmattino.it
In manette sono finiti un incensurato, A.M., di 36 anni, e due volti noti alle forze dell'ordine, Mario Falanga, di 24 anni, e Bartolo Palomba, 31 anni: tutti sono accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Tutto nasce dalla denuncia del titolare di un'impresa di onoranze funebri, ai quali gli esponenti del clan Di Gioia-Papale avevano chiesto una tangente da 20 mila euro spalmata in tre rate: a Natale, Pasqua e a ferragosto. Proprio la richiesta natalizia di 5.500 euro ha fatto scattare la denuncia. Il lavoro delle forze dell'ordine ha portato oggi all'esecuzione di un'ordinanza di arresto, emessa dalla procura di Torre Annunziata, nei confronti dei tre appartenenti alla nuova organizzazione criminale.
Nel corso delle indagini è emersa una seconda richiesta di pizzo ai danni di un altro imprenditore. I militari hanno accertato che di norma le richieste erano spalmate in due rate da 10 mila euro ciascuna. Il blitz è scattato all'alba: in casa di Bartolo Palomba, che gli inquirenti ritengono abbia un ruolo primario della vicenda e nell'intera organizzazione criminale, i carabinieri hanno anche sequestrato duemila euro e un sistema di videosorveglianza composto da sei telecamere e due grossi monitor, mentre nell'appartamento di Mario Falanga sono stati trovati numerosi appunti con nomi e cifre. Appunti, ora al vaglio degli investigatori, che potrebbero portare alla luce nuovi elementi relativi al giro di richieste estorsive a Torre del Greco.
da ilmattino.it
Gruppi di Acquisto Solidali: in Umbria una legge ad hoc per promuovere i GAS e la filiera corta
La Regione Umbria è la prima in Italia ad essersi dotata di una legge ad hoc per la nascita dei Gasp (Gruppi di Acquisto Solidali e Popolari), ai quali la Regione si impegna ad erogare contributi per le spese di funzionamento, promozione ed organizzazione.
I contributi, per un massimo di 5 mila euro all'anno, saranno erogati a fondo perduto a quei Gasp attivi da almeno 6 mesi alla data di entrata in vigore della Legge Regionale, approvata con 18 sì, 9 no e 2 astenuti.
Il Provvedimento, su iniziativa dei consiglieri dell’Idv, Oliviero Dottorini e Paolo Brutti, si intitola "Norme per il sostegno dei gruppi di acquisto solidale e popolare (Gasp) e per la promozione dei prodotti agroalimentari a chilometri zero, da filiera corta e di qualità”. La legge si propone di riconoscere e valorizzare il consumo critico, consapevole e responsabile, come strumento di promozione della salute e del benessere, incentivando i produttori locali e la diffusione dei loro prodotti di qualità.
Per sostenere ancora di più la filiera corta ed i prodotti a chilometro zero, la Regione si impegna anche a favorie il ricorso a tali prodtti di qualità stabilendo che gli enti Pubblici, al momento di esperire gare di appalto per l'affidamento di servizi di ristorazione, stabiliscano dei veri e propri meccanismi di priorità, per dare maggiori punteggi ai soggetti che, partecipando alla gara d'appalto, specifichino di usare prodotti di filiera corta in misura non inferiore al 50 per cento dei prodotti totalmente impiegati.
In totale la Regione ha messo a disposizione, per il 2011, circa 120 mila euro, dei quali 70 mila saranno destinati all'incentivazione dei Gasp e gli altri 50 mila alla promozione e valorizzazione delle produzioni agricole locali, delle produzioni di qualità e da filiera corta, nonché per la realizzazione di spazi comunali attrezzati riservati agli imprenditori agricoli locali per la vendita diretta nei farmer’s market.
Andrea Marchetti - GreenMe.it
I contributi, per un massimo di 5 mila euro all'anno, saranno erogati a fondo perduto a quei Gasp attivi da almeno 6 mesi alla data di entrata in vigore della Legge Regionale, approvata con 18 sì, 9 no e 2 astenuti.
Il Provvedimento, su iniziativa dei consiglieri dell’Idv, Oliviero Dottorini e Paolo Brutti, si intitola "Norme per il sostegno dei gruppi di acquisto solidale e popolare (Gasp) e per la promozione dei prodotti agroalimentari a chilometri zero, da filiera corta e di qualità”. La legge si propone di riconoscere e valorizzare il consumo critico, consapevole e responsabile, come strumento di promozione della salute e del benessere, incentivando i produttori locali e la diffusione dei loro prodotti di qualità.
Per sostenere ancora di più la filiera corta ed i prodotti a chilometro zero, la Regione si impegna anche a favorie il ricorso a tali prodtti di qualità stabilendo che gli enti Pubblici, al momento di esperire gare di appalto per l'affidamento di servizi di ristorazione, stabiliscano dei veri e propri meccanismi di priorità, per dare maggiori punteggi ai soggetti che, partecipando alla gara d'appalto, specifichino di usare prodotti di filiera corta in misura non inferiore al 50 per cento dei prodotti totalmente impiegati.
In totale la Regione ha messo a disposizione, per il 2011, circa 120 mila euro, dei quali 70 mila saranno destinati all'incentivazione dei Gasp e gli altri 50 mila alla promozione e valorizzazione delle produzioni agricole locali, delle produzioni di qualità e da filiera corta, nonché per la realizzazione di spazi comunali attrezzati riservati agli imprenditori agricoli locali per la vendita diretta nei farmer’s market.
Andrea Marchetti - GreenMe.it
lunedì 7 marzo 2011
I lavoratori della scuola pubblica rispondono alle offese del premier
Caro Presidente del Consiglio,
sono precario ma sono felice di poter insegnare,
sono precario e sono felice di vedere ogni mattina i miei ragazzi,
sono precario e lavoro su tre sedi, ma sono felice,
sono precario ed insegno su tredici classi, ma sono felice,
sono precario e i miei 400 alunni non lo sanno, ma sono felice,
sono precario e non so mai se potrò insegnare l'anno dopo, ma questo non mi impedisce di essere felice,
sono precario e sopporto tutto, perché voglio dare ai ragazzi la possibilità di essere felici.
Io "inculco" la felicità, Lei "inculca" la tristezza del mondo che invecchia.
sono precario ma sono felice di poter insegnare,
sono precario e sono felice di vedere ogni mattina i miei ragazzi,
sono precario e lavoro su tre sedi, ma sono felice,
sono precario ed insegno su tredici classi, ma sono felice,
sono precario e i miei 400 alunni non lo sanno, ma sono felice,
sono precario e non so mai se potrò insegnare l'anno dopo, ma questo non mi impedisce di essere felice,
sono precario e sopporto tutto, perché voglio dare ai ragazzi la possibilità di essere felici.
Io "inculco" la felicità, Lei "inculca" la tristezza del mondo che invecchia.
Daniele - FLCCGIL
Militari amici
E se i militari ke ora presidiano le nostre strade, quelle della provincia di Napoli e Caserta, un giorno dovessero ricevere l'ordine di reprimere manifestazioni e proteste? Ora sono quasi "impalpabili": fanno compagnia ai Carabinieri nei posti di blocchi, è venuto un periodo in cui spalavano addirittura la spazzatura. Si fermano lì, ad un incrocio: accendono sigarette, si fanno le foto con le ragazzine, vanno su e giù. Risalgono sulla jeep e vanno via, da questa missione noiosa. Che sembra "inutile". Ma se domani una manifestazione decidesse di sfilare per le strade fino ad arrivare ai palazzi del potere? Qualche settimana fa, in occasione della manifestazione "Se non ora, quando?" che si tenne anche a Napoli, i militari erano lì, a piazza Dante a godersi lo spettacolo. Ignari che se avessero ricevuto un ordine "superiore", quello spettacolo loro stessi l'avrebbero dovuto reprimere.
sabato 5 marzo 2011
Il recupero delle ferrovie dismesse
Per la prima volta è stato introdotto in Parlamento il concetto del possibile recupero di una ferrovia in disuso e ciò depone anche a favore della futura approvazione della legge sul recupero delle ferrovie in disuso (Disegno di legge, Senato, n.1170 del 15.11.2006, presentato dalla senatrice Anna Donati) in quanto argomento coincidente e concordante;
* si introduce anche il concetto di rete nazionale di percorsi ferroviari dismessi da destinare alla mobilità dolce, similarmente ad altri Paesi europei, come il caso famoso della Spagna; ciò significa poter gestire in modo unitario e con un programma d'immagine pubblica comune l'intero fondo finanziario a disposizione
* infine rafforza e stimola l’azione di Co.Mo.Do. anche in previsione della Prima Giornata delle Ferrovie Dimenticate
Grazie a un emendamento alla Legge Finanziaria dello Stato, presentato alla Camera dal Gruppo dei 'Verdi' (deputato Bonelli), è stato stanziato un fondo di 2 milioni di Euro per il recupero di alcuni tracciati ferroviari in disuso e per la loro trasformazione in piste ciclo-pedonali. Il testo dell'emendamento è il seguente:
LEGGE FINANZIARIA 2008
(Legge 24 Dicembre 2007, n. 244)
Art. 2
[…]
342. È istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un fondo di 2 milioni di euro per l'anno 2008, per l'avvio di un programma di valorizzazione e di recupero delle ferrovie dismesse.
343. Per l'attuazione del programma di cui al comma 342, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali e con il Ministro dei trasporti, individua criteri e modalità per la realizzazione di una rete di percorsi ferroviari dismessi da destinare a itinerari ciclo-turistici e avvia progetti di fattibilità per la conversione a uso ciclabile delle tratte ferroviarie dismesse di cui alla tabella 4 annessa alla presente legge.
Ordine del giorno. La Camera premesso che: il disegno di legge in esame prevede incentivi e risorse finanziarie per la promozione e il sostegno dello sviluppo del trasporto pubblico locale, con attenzione al riequilibrio modale degli spostamenti quotidiani in favore del trasporto pubblico locale e in particolare per soddisfare la domanda di mobilità pubblica conseguente al fenomeno del pendolarismo;sempre nell'ambito delle politiche per la mobilità sostenibile, la finanziaria in via di approvazione, prevede l'istituzione di un fondo per avviare un programma di valorizzazione e di recupero delle linee ferroviarie dismesse, da destinare a itinerari ciclo-turistici e la loro conversione a uso ciclabile, individuando le tratte interessate dalla suddetta valorizzazione;la possibile trasformazione di un sedime ferroviario dismesso in pista ciclo-pedonale non pregiudica, in nessun modo, un successivo, potenziale ripristino del servizio ferroviario, ma anzi consente una più efficace conservazione del tracciato, difendendolo da situazioni di degrado e di abbandono, da abusi e da indebite occupazioni, rendendo inevitabilmente più agevole il recupero dell'originaria destinazione;
impegna il Governo:
a valutare attentamente la specifica situazione di ogni singola tratta, provvedendo all'immediato recupero delle linee dismesse per la realizzazione degli itinerari ciclo-turistici quando non vi sia alcuna possibilità di ripristino del servizio ferroviario, e ad effettuare un'analisi dei costi-benefici relativamente alle tratte che potrebbero essere restituite all'uso ferroviario, tenendo conto degli eventuali tempi di realizzazione;da valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a rivedere l'elenco delle tratte ferroviarie, modificandolo od integrandolo, sulla base delle considerazioni anzidette 9/3256/334.
Francescato, Bonelli, Zanella.
fonte ferroviedimenticate.it
* si introduce anche il concetto di rete nazionale di percorsi ferroviari dismessi da destinare alla mobilità dolce, similarmente ad altri Paesi europei, come il caso famoso della Spagna; ciò significa poter gestire in modo unitario e con un programma d'immagine pubblica comune l'intero fondo finanziario a disposizione
* infine rafforza e stimola l’azione di Co.Mo.Do. anche in previsione della Prima Giornata delle Ferrovie Dimenticate
Grazie a un emendamento alla Legge Finanziaria dello Stato, presentato alla Camera dal Gruppo dei 'Verdi' (deputato Bonelli), è stato stanziato un fondo di 2 milioni di Euro per il recupero di alcuni tracciati ferroviari in disuso e per la loro trasformazione in piste ciclo-pedonali. Il testo dell'emendamento è il seguente:
LEGGE FINANZIARIA 2008
(Legge 24 Dicembre 2007, n. 244)
Art. 2
[…]
342. È istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un fondo di 2 milioni di euro per l'anno 2008, per l'avvio di un programma di valorizzazione e di recupero delle ferrovie dismesse.
343. Per l'attuazione del programma di cui al comma 342, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali e con il Ministro dei trasporti, individua criteri e modalità per la realizzazione di una rete di percorsi ferroviari dismessi da destinare a itinerari ciclo-turistici e avvia progetti di fattibilità per la conversione a uso ciclabile delle tratte ferroviarie dismesse di cui alla tabella 4 annessa alla presente legge.
Ordine del giorno. La Camera premesso che: il disegno di legge in esame prevede incentivi e risorse finanziarie per la promozione e il sostegno dello sviluppo del trasporto pubblico locale, con attenzione al riequilibrio modale degli spostamenti quotidiani in favore del trasporto pubblico locale e in particolare per soddisfare la domanda di mobilità pubblica conseguente al fenomeno del pendolarismo;sempre nell'ambito delle politiche per la mobilità sostenibile, la finanziaria in via di approvazione, prevede l'istituzione di un fondo per avviare un programma di valorizzazione e di recupero delle linee ferroviarie dismesse, da destinare a itinerari ciclo-turistici e la loro conversione a uso ciclabile, individuando le tratte interessate dalla suddetta valorizzazione;la possibile trasformazione di un sedime ferroviario dismesso in pista ciclo-pedonale non pregiudica, in nessun modo, un successivo, potenziale ripristino del servizio ferroviario, ma anzi consente una più efficace conservazione del tracciato, difendendolo da situazioni di degrado e di abbandono, da abusi e da indebite occupazioni, rendendo inevitabilmente più agevole il recupero dell'originaria destinazione;
impegna il Governo:
a valutare attentamente la specifica situazione di ogni singola tratta, provvedendo all'immediato recupero delle linee dismesse per la realizzazione degli itinerari ciclo-turistici quando non vi sia alcuna possibilità di ripristino del servizio ferroviario, e ad effettuare un'analisi dei costi-benefici relativamente alle tratte che potrebbero essere restituite all'uso ferroviario, tenendo conto degli eventuali tempi di realizzazione;da valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a rivedere l'elenco delle tratte ferroviarie, modificandolo od integrandolo, sulla base delle considerazioni anzidette 9/3256/334.
Francescato, Bonelli, Zanella.
fonte ferroviedimenticate.it
venerdì 4 marzo 2011
Spazio alle bici sui marciapiedi «Un patto sociale anti traffico»
MILANO - Marciapiedi da spartire e condividere: «Partiamo con la sperimentazione». Pedoni e ciclisti, in questo test, sono alleati, complici, non nemici: sono uniti da un «patto sociale» anti traffico e da una nuova idea di «mobilità mista» che vuole «diffondere l'uso della bici in una città complicata», a misura d'auto. Il progetto pilota è stato presentato ieri a Turro da Letizia Moratti e dall'assessore allo Sviluppo del territorio, Carlo Masseroli: un circuito ciclopedonale di collegamento tra la pista di via Padova e l'itinerario della Martesana - il raccordo è lungo 1,8 chilometri - inizierà a ricucire la maglia slabbrata dei percorsi per le due ruote. Nel caso funzionasse, promette il sindaco, sarà riproposto altrove: «Vogliamo strutturare una rete ciclabile più capillare su tutto il territorio». Ma la Lega protesta: «Le priorità sono altre». E all'associazione Ciclobby non sfugge che l'annuncio arriva «sotto elezioni, dopo un lungo digiuno».
Il masterplan della mobilità dolce è incardinato su tre livelli d'intervento: una raggiera di piste dal centro alla periferia; un sistema concentrico ad anelli (la corsia sulla Cerchia dei Navigli, già avviata, e quella sulla circonferenza della 90/91, da realizzare); e un intreccio di circuiti misti, sui marciapiedi, da tracciare negli 88 nuclei d'identità locali disegnati dal Pgt. Il piano, dice la Moratti, doterà Milano di 131 chilometri complessivi di piste: «Puntiamo alla messa in sicurezza e alla riqualificazione degli itinerari, allo sviluppo dei Raggi verdi e all'estensione del servizio di bike sharing». Primo passo è la corsia ibrida tra via Padova e il Naviglio Martesana: corre su otto strade, sarà realizzata tra marzo e aprile, e sperimentata il mese dopo.
«Milano ha 600 auto ogni mille abitanti, più di Londra, Parigi, Copenaghen» e pensare di eliminare le macchine, osserva Masseroli, è una partita persa: «I marciapiedi, soprattutto quelli poco sfruttati, consentono di recuperare spazi per le due ruote». Quali, saranno i milanesi a dirlo. Il Comune, una volta raccolte le segnalazioni, chiederà al ministero «una deroga al codice della strada». Una deroga? «Non serve, basta un'ordinanza sindacale - sostiene il presidente di Ciclobby, Eugenio Galli -. I percorsi promiscui sono previsti dal regolamento attuativo al codice e già presenti a Milano: si vedano le Alzaie dei Navigli». Per altro, il consiglio comunale aveva già approvato, tre anni fa, una mozione che indicava 90 marciapiedi larghi, ideali per la convivenza di pedoni e ciclisti: «È rimasta lettera morta».
Intanto, sempre ieri, Poste Italiane e Atm hanno lanciato la nuova tessera elettronica «Atm Postepay&Go» che riunisce (sullo stesso supporto) abbonamento ai mezzi pubblici e carta di credito prepagata da 25 euro: in vendita da aprile, da giugno potrà essere utilizzata anche ai posteggi del car sharing e alle rastrelliere del bike sharing.
Armando Stella
04 marzo 2011
da corriere.it
Il masterplan della mobilità dolce è incardinato su tre livelli d'intervento: una raggiera di piste dal centro alla periferia; un sistema concentrico ad anelli (la corsia sulla Cerchia dei Navigli, già avviata, e quella sulla circonferenza della 90/91, da realizzare); e un intreccio di circuiti misti, sui marciapiedi, da tracciare negli 88 nuclei d'identità locali disegnati dal Pgt. Il piano, dice la Moratti, doterà Milano di 131 chilometri complessivi di piste: «Puntiamo alla messa in sicurezza e alla riqualificazione degli itinerari, allo sviluppo dei Raggi verdi e all'estensione del servizio di bike sharing». Primo passo è la corsia ibrida tra via Padova e il Naviglio Martesana: corre su otto strade, sarà realizzata tra marzo e aprile, e sperimentata il mese dopo.
«Milano ha 600 auto ogni mille abitanti, più di Londra, Parigi, Copenaghen» e pensare di eliminare le macchine, osserva Masseroli, è una partita persa: «I marciapiedi, soprattutto quelli poco sfruttati, consentono di recuperare spazi per le due ruote». Quali, saranno i milanesi a dirlo. Il Comune, una volta raccolte le segnalazioni, chiederà al ministero «una deroga al codice della strada». Una deroga? «Non serve, basta un'ordinanza sindacale - sostiene il presidente di Ciclobby, Eugenio Galli -. I percorsi promiscui sono previsti dal regolamento attuativo al codice e già presenti a Milano: si vedano le Alzaie dei Navigli». Per altro, il consiglio comunale aveva già approvato, tre anni fa, una mozione che indicava 90 marciapiedi larghi, ideali per la convivenza di pedoni e ciclisti: «È rimasta lettera morta».
Intanto, sempre ieri, Poste Italiane e Atm hanno lanciato la nuova tessera elettronica «Atm Postepay&Go» che riunisce (sullo stesso supporto) abbonamento ai mezzi pubblici e carta di credito prepagata da 25 euro: in vendita da aprile, da giugno potrà essere utilizzata anche ai posteggi del car sharing e alle rastrelliere del bike sharing.
Armando Stella
04 marzo 2011
da corriere.it
La cosa più bella al mondo è la libertà
“Non è per le condizioni del centro, è per la libertà. Che me ne importa di come si mangia, lo vedi qui è a posto, ma perché ci devono tenere rinchiusi come animali?”. Ali è un elettricista di Zarzis, suo zio l'aspettava a Parigi. Ma a questo punto non sa più neanche lui se e quando arriverà. “Non si capisce niente. C'è chi dice che ti tengono dentro sei mesi, chi dice che ti rimandano in Tunisia”. Centro di identificazione e espulsione di Modena. È la mattina di venerdì 25 febbraio. Mancano ancora due giorni alla rivolta di domenica. E la prefettura mi ha autorizzato a visitare il centro. Con un po’ di insistenza ho finalmente ottenuto l’ok per l’ingresso nei moduli dove sono reclusi i tunisini trasferiti da Lampedusa nelle settimane scorse.
Sono 42 su un totale di 59 uomini rinchiusi qua dentro. E vengono quasi tutti dalla città di Zarzis, a parte qualcuno di Sfax e di Ben Guerdane. Per capirlo basta dare uno sguardo alle pareti della sala comune. Le avevano da poco riverniciate di bianco. Ma sono bastati pochi giorni perché tornassero di nuovo tutte un graffito. “Zarzis” è la parola più frequente. È scritta in arabo e in italiano. Alternata alla rabbia di chi ha scritto in un italiano sgrammaticato spergiuri di vario genere contro il governo, alla nostalgia di chi ha inciso dichiarazioni d’amore per una tale Maria, alla speranza di chi ha ripetuto “Allahu Akbar”, dio è il più grande, e al cocktail di tutte queste emozioni raccolte nel disegno di un grande cuore incendiato.
Ali mi mostra la camera. Ci sono due letti. È tutto pulito. Il muro è un collage di fotografie di nudi femminili degno di un collezionista di Playboy. Al centro dei due letti però, su quello stesso muro c’è appeso un cartone bianco con su scritto con cura, a pennarello verde, la prima sura del Corano. Indica la direzione della preghiera, verso Mecca. “Insha’allah nakhruju”, mi dice. Se dio vuole usciremo. Solo in quel momento mi accorgo che dietro di lui, nel corridoio, sul muro c’è un’altra scritta che prima non avevo notato. È in italiano, dice: “La cosa più bella al mondo è la libertà”.
Ma noi, ce lo ricordiamo ancora quanto vale la libertà? Se lo abbiamo dimenticato forse ci farebbe bene un passaggio dietro le sbarre del centro espulsioni di Modena, dove domenica scorsa "libertà" era il grido che saliva dalle gabbie durante la rivolta, quando i tunisini reclusi hanno buttato i materassi fuori dalle camerate nel cortile e gli hanno dato fuoco. Per quasi tutti loro, questa è la prima volta che si trovano in detenzione. E quello che non riescono a capire, è perché loro sono finiti dietro le sbarre mentre i loro compagni di viaggio con cui sono sbarcati in Italia, a quest’ora sono già arrivati in Francia.
Abdelshafi ad esempio ha degli amici di Zarzis che hanno viaggiato con lui, sulla stessa barca, e che da Lampedusa erano stati trasferiti al centro espulsioni di Bologna, da dove però nel frattempo sono stati rilasciati con un foglio di via. L’ultima volta che li ha chiamati gli hanno detto di essere già arrivati a Parigi. Perché loro sì e lui no? Lui che prima di imbarcarsi senza documenti aveva pure provato la strada legale, chiedendo un visto turistico all'ambasciata della Polonia a Tunisi. Pensava sarebbe stato più facile, da Varsavia avrebbe poi raggiunto in auto la Francia. Ma il visto glielo hanno rifiutato e oggi si ritrova rinchiuso qua dentro.
Jed invece è del nord della Tunisia, di Cap Bon, ed è sbarcato a Pantelleria a metà gennaio. A bordo erano in sei, tutti amici. E tutti e sei sono stati portati al centro espulsioni di Modena. Poi però in tre sono stati rilasciati, per fare posto ai nuovi arrivati. E gli altri tre ancora si chiedono perché la loro libertà valga di meno. La stessa domanda se la pone da giorni Karim. Un uomo di quarant’anni. Una brava persona che per la prima volta si trova detenuto e non riesce a farsene una ragione. Lui che era partito pensando che avrebbe facilmente trovato un lavoro per curare il figlio. Un bambino di 9 anni, con una malattia genetica al sistema nervoso, che necessita di cure e assistenze continue, e che invece adesso è ancora più solo. L'altra notte suo padre si è messo a piangere pensando alla situazione in cui è finito e pensando che lo aspettano sei mesi rinchiuso qua dentro.
Ayadi invece padre lo diventerà presto. La sua compagna lo aspetta in Belgio. È marocchina e vive a Bruxelles. È incinta da cinque mesi. Lui era appena stato espulso, e appena sono ripresi gli sbarchi ha colto la palla al balzo per tornare in Europa dalla sua famiglia. Ma adesso lo aspettano sei mesi rinchiuso qua dentro e con il rischio del rimpatrio forzato. Suo figlio dovrà nascere senza il padre a fianco. Succede anche questo in Europa, che nel 2011 una legge dello Stato vieti a un padre di vivere accanto al proprio bambino e alla propria donna, in nome dell'interesse superiore della burocrazia e dei timbri sui passaporti. Ma noi, ce lo ricordiamo ancora quanto vale la libertà?
da FortressEurope
giovedì 3 marzo 2011
Passeggiata antiracket, polemica dell´Ascom:"Non siamo stati invitati"
Abbastanza paradossale...
"Non sono mancate le polemiche nel giorno della passeggiata Antiracket svoltasi questa mattina a Torre del Greco. A sollevarle sono stati i rappresentanti della locale Ascom: "Siamo sconcertati - ha fatto sapere il presidente, Giulio Esposito - per il mancato invito alla manifestazione. Eppure siamo sempre stati vicini alle attività del Fai e abbiamo sempre mostrato interesse verso la costituzione dell´associazione antiracket nella nostra città". Una polemica subito smorzata da Tano Grasso: "La nostra è una prassi consolidata che va avanti da venti anni e che ha sempre dato buoni risultati. Non invitiamo le associazioni di categoria ma i singoli commercianti perché una buona realtà Antiracket ha bisogno di due requisiti fondamentali: c´é bisogno che i singoli aderenti ad un´associazione Antiracket abbiano fiducia uno dell´altro e che questa sia poi riservata al lavoro delle forze dell´ordine. Ecco perché noi promuoviamo la partecipazione dei singoli e non delle intere associazioni di categoria, delle quali abbiamo però sempre rispettato l´impegno ed il lavoro"."
lostrillone
"Non sono mancate le polemiche nel giorno della passeggiata Antiracket svoltasi questa mattina a Torre del Greco. A sollevarle sono stati i rappresentanti della locale Ascom: "Siamo sconcertati - ha fatto sapere il presidente, Giulio Esposito - per il mancato invito alla manifestazione. Eppure siamo sempre stati vicini alle attività del Fai e abbiamo sempre mostrato interesse verso la costituzione dell´associazione antiracket nella nostra città". Una polemica subito smorzata da Tano Grasso: "La nostra è una prassi consolidata che va avanti da venti anni e che ha sempre dato buoni risultati. Non invitiamo le associazioni di categoria ma i singoli commercianti perché una buona realtà Antiracket ha bisogno di due requisiti fondamentali: c´é bisogno che i singoli aderenti ad un´associazione Antiracket abbiano fiducia uno dell´altro e che questa sia poi riservata al lavoro delle forze dell´ordine. Ecco perché noi promuoviamo la partecipazione dei singoli e non delle intere associazioni di categoria, delle quali abbiamo però sempre rispettato l´impegno ed il lavoro"."
lostrillone
mercoledì 2 marzo 2011
Maresca: proficuo l'incontro con Schiano. Il Sindaco ringrazia il Comitato ed i tantissimi cittadini per l'impegno profuso
Comunicato stampa 01 marzo 2011 del Portavoce
“In merito al Maresca desidero ringraziare sinceramente sia Michele Schiano, Presidente della Commissione Sanità della regione Campania, per la Sua squisita sensibilità e attenzione mostrata nell’incontro tenuto nel pomeriggio presso il nostro Comune, sia il Comitato e i tantissimi cittadini per il notevole impegno civile profuso su una questione di prioritaria importanza per la collettività torrese e non solo”. Così Ciro Borriello, sindaco di Torre del Greco. “Abbiamo ricevuto – prosegue - conferme e assicurazioni dal Presidente Schiano che tutto quello che è possibile recuperare e valorizzare per l’immediato e prossimo futuro sarà salvaguardato. Saranno attivi, pertanto, il Pronto Soccorso, l’Urologia h12, Gastroentorologia ed altri reparti. Insomma, è un obiettivo non esaustivo, ma che ci consente di ragionare e aprire un varco per un destino di sicuro migliore di quanto fino a poco fa si era sciaguratamente preventivato”. “Continueremo – conclude il Primo cittadino - di certo e con determinazione a vigilare e seguire con scrupolo le fasi successive. In particolare, quelle dell’auspicabile rientro dall’emergenza e commissariamento della Sanità in Campania. Allora sono auspicabili ulteriori e ancora più favorevoli interventi per il prestigioso nosocomio. Intanto, sottolineo che tutti devono assolutamente fare la loro parte, in primis la Politica, quella vera che serve e tutela la salute dei cittadini. E questa Amministrazione non si sottrarrà a tale compito.”
Il Portavoce Antonio Borriello
“In merito al Maresca desidero ringraziare sinceramente sia Michele Schiano, Presidente della Commissione Sanità della regione Campania, per la Sua squisita sensibilità e attenzione mostrata nell’incontro tenuto nel pomeriggio presso il nostro Comune, sia il Comitato e i tantissimi cittadini per il notevole impegno civile profuso su una questione di prioritaria importanza per la collettività torrese e non solo”. Così Ciro Borriello, sindaco di Torre del Greco. “Abbiamo ricevuto – prosegue - conferme e assicurazioni dal Presidente Schiano che tutto quello che è possibile recuperare e valorizzare per l’immediato e prossimo futuro sarà salvaguardato. Saranno attivi, pertanto, il Pronto Soccorso, l’Urologia h12, Gastroentorologia ed altri reparti. Insomma, è un obiettivo non esaustivo, ma che ci consente di ragionare e aprire un varco per un destino di sicuro migliore di quanto fino a poco fa si era sciaguratamente preventivato”. “Continueremo – conclude il Primo cittadino - di certo e con determinazione a vigilare e seguire con scrupolo le fasi successive. In particolare, quelle dell’auspicabile rientro dall’emergenza e commissariamento della Sanità in Campania. Allora sono auspicabili ulteriori e ancora più favorevoli interventi per il prestigioso nosocomio. Intanto, sottolineo che tutti devono assolutamente fare la loro parte, in primis la Politica, quella vera che serve e tutela la salute dei cittadini. E questa Amministrazione non si sottrarrà a tale compito.”
Il Portavoce Antonio Borriello
martedì 1 marzo 2011
Ente parco Vesuvio, questo sconosciuto?
Pubblico qui di seguito il c. 3 dell'art. 11 della legge n. 394 del 1991, Legge quadro in materia di parchi nazionali, che quindi detta disposizioni anche per il nostro Parco Nazionale del Vesuvio. Da notare l'equiparazione, tra i divieti, dello sversamento dei rifiuti con la raccolta degli asparagi o dei funghi. Da notare l'idiozia: io raccoglitore di porcini vengo fermato dalla forestale e multato, i camion che sversano rifiuti tal quale, amianto, mobili interi tra la vegetazione, la fanno franca. Ma è davvero utile l'Ente Parco?
"(...)nei parchi sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat. In particolare sono vietati:
a) la cattura, l’uccisione, il danneggiamento, il disturbo delle specie animali; la raccolta
e il danneggiamento delle specie vegetali, salvo nei territori in cui sono consentite le attività agro-silvo-pastora li, nonché l’introduzione di specie estrane e, vegeta li o animali, che possano altera re l’ equilibrio n a t u r a l e ;
b) l’apertura e l’esercizio di cave, di miniere e di discariche, nonché l’asportazione di min
e r a l i ;
c) la modificazione del regime delle acque;
d) lo svolgimento di attività pubblicitarie al di fuori dei centri urbani, non autorizzate dall’Ente parco;
e) l’introduzione e l’impiego di qualsiasi mezzo di distruzione o di alterazione dei cicli biogeochimici;
f) l’introduzione, da parte di privati, di armi, e splosivi e qualsiasi mezzo distruttivo o di cattura, se non autorizzati;
g) l’uso di fuochi all’aperto;
h) il sorvolo di velivoli non autorizzato, salvo quanto definito dalle leggi sulla disciplina del volo."
11 cose che pensavi fossero green, e invece…
Il desiderio di essere sostenibili e di orientare la propria vita ad abitudini e comportamenti ecologici può inciampare, di tanto in tanto, in qualche luogo comune o leggenda metropolitana. Con l’obiettivo di sfatare alcuni miti piuttosto diffusi, sul sito Mother Nature NetworkBryan Wilson fa una lista delle 11 cose generalmente considerate – e a torto… - come assoluta garanzia di ecosostenibilità.
Eccole qui:
1. SUV ibrido
Nonostante il loro impatto ambientale sia enorme, molte persone continuano ad acquistare dei SUV mastodontici, attratti da quello che sembra più uno status symbol che un mezzo di trasporto, oltre che da un design importante, da statistiche di sicurezza stradale più o meno incoraggianti e chissà da quali altri fattori.
Per questo, quando l’industria automobilistica ha cominciato a produrre e pubblicizzare dei SUV ibridi, anche gli automobilisti ecosostenibili ci hanno fatto un pensierino, pensando di poter finalmente avere, come si suol dire, “botte piena e moglie ubriaca”. Tuttavia, il dato di fatto è che i SUV ibridi sono meno inquinanti se paragonati ai SUV “standard”, ma il loro consumo equivale a quello delle auto compatte non ibride. Insomma, molto rumore per nulla.
2. Abiti e tessili in bamboo
Se il bamboo è un materiale da costruzione duttile ed ecologico, non è invece la soluzione più saggia per quanto riguarda le produzione di tessuti e capi di abbigliamento. Per diventare utilizzabili come materiale tessile, infatti, le fibre di bamboo devono essere trattate con solventi chimici e ridotte ad una soluzione viscosa. E in molti casi le sostanze chimiche utilizzate nel processo sono altamente inquinanti.
3. Bovini nutriti con l’erba
Mangiare carne di bovini allevati con erba è di certo più salutare per l’uomo, ma non esattamente più ecologico e sostenibile: il bestiame, che nel corso del suo ciclo di vita, si nutre di erba produce il 20% di emissioni di metano in più rispetto a quello che si ciba di mangimi. Insomma, non importa come il bovino sia stato allevato: dal punto di vista delle emissioni, una dieta con poca carne o interamente vegetariana si dimostra decisamente più sostenibile.
4. Biocarburanti
Ci sono numerose fonti sostenibili di biocarburanti, mentre ce ne sono altre assolutamente insostenibili. Al di là del dibattito sull’opportunità di trasformare delle risorse alimentari come il mais in combustibile, la coltivazione di alcune piante utilizzate come biocarburanti è alla base di problemi di deforestazione escarsità d’acqua in alcune aree del mondo. Basti pensare che la produzione diolio di palma è tra le cause principali dello sfruttamento indiscriminato delle foreste del sud-est asiatico.
5. Soia
La soia è un legume nutriente e, nelle sue varie declinazioni, costituisce un’alternativa ecosostenibile ai prodotti di origine animale in quanto principale fonte di proteine di origine vegetale. Contemporaneamente però la soia è uno dei principali alimenti utilizzati per produrre i mangimi animali. Per questo si stima che proprio la coltivazione della soia abbia causato la distruzione del 20% della foresta amazzonica negli ultimo 40 anni. Di queste, come riporta anche un dossier del WWF, l'85% sono destinate all'alimentazione zootecnica. La scelta di eliminare la carne dalla propria alimentazione, dunque, se da un lato contribuisce a ridurre la domanda di soia per gli allevamenti, dall'altra aumenta quella per usi alimentari che non sempre viene coltivata in maniera rispettosa dell'ambiente, essendo la soia anche uno degli alimenti che maggiormente sottoposto a sperimentazioni genetiche. Quindi, se acquistate abitualmente dei prodotti a base di soia, accertatevi riguardo alla loro origine e alle credenziali green di chi li produce. Ormai le informazioni sono a portata di mano: il web, ad esempio, può trasformarsi in un utilissimo strumento di indagine!
6. Spegnere l’aria condizionata in auto e aprire i finestrini
L’uso eccessivo di aria condizionata, in auto, nei negozi, nelle case, è dannoso non solo per l’ambiente ma anche per la nostra salute. Tuttavia, quando viaggiate in auto, spegnere l’aria condizionata e abbassare i finestrini è un’alternativa sostenibile solo se la vostra velocità è inferiore ai 70 km orari: al di sopra di questa soglia, infatti, l’interferenza dell’aria sull’aerodinamica del veicolo causa un consumo di carburante equivalente a quello collegato all’uso dell’aria condizionata.
7. Le diciture “organico” e “biologico” sui prodotti
Quando si parla di prodotti organici e biologici, la prudenza non è mai troppa e bisogna fare molte attenzione a pubblicità ingannevoli e casi di greenwashing: quindi, non è sufficiente che un’etichetta presenti le paroline magiche “organico” o “biologico”, né che sia colorata di verde o di marrone o decorata con graziose foglioline. Per essere certi della genuinità di ciò che si acquista bisogna sempre informarsi riguardo alla provenienza del prodotto e alla credibilità del produttore.
8. Compensare i propri consumi con comportamenti green “occasionali”
Piantare alberi e installare pannelli fotovoltaici sono ottime mosse green. Tuttavia, le nostre scelte ecologiche non devono diventare degli accorgimenti utili per compensare, di quando in quando, comportamenti e atteggiamenti quotidiani poco sostenibili e consumi smodati, con l’unico obiettivo di mettersi a posto la coscienza e sentirsi migliori. Di fronte alle tematiche e alle problematiche ambientali, la tendenza alla compensazione non vale: il modo migliore per esseregreen resta quello di imparare a ridurre consapevolmente e responsabilmente i propri consumi.
9. Pellicce artificiali
Le pellicce artificiali non implicano l’uccisione di animali, è vero, ma questo non le rende automaticamente ecosostenibili: infatti, la maggior parte delle pellicce finte viene prodotta a partire da fibre sintetiche e derivati del petrolio, sostanze non esattamente green. Perché ostinarsi ad indossare questo genere di capi se ci sono alternative molto più eco-friendly per essere eleganti e stare al caldo?
10. Pollame allevato all’aria aperta
Quando leggiamo su un’etichetta che il pollo che stiamo acquistando è stato allevato all’aria aperta tendiamo ad immaginare tanti volatili che zampettano liberi in ampi prati verdi. Tuttavia, perché il pollame possa essere considerato allevato all’aperto è necessario che trascorra all’esterno almeno la metà della propria vita, che ha una durata di circa 50 giorni. Per essere certi che ciò accada, non è sufficiente un’etichetta: è sempre meglio informarsi oppure acquistare il pollo direttamente dal nostro contadino di fiducia.
11. Un bel prato erboso e perfettamente in ordine
Chi non ama fermarsi ad ammirare un bel prato verde, ordinato e curato? I cortili erbosi sono di certo molto belli da guardare e fanno anche una certa figura, ma il tempo e le energie che si spendono, almeno negli Stati Uniti, per dare vita al “prato perfetto” danneggiano l’ambiente più di quanto si possa pensare, traconsumo smodato di acqua, abuso di fertilizzanti e uso di strumenti vari per la rasatura e la rimozione delle foglie secche. Forse, più che tendere esageratamente alla perfezione estetica, sarebbe il caso di imparare ad apprezzare colture e giardini magari un po’ imperfetti ma decisamente più naturali e con un minore impatto ambientale.
Lisa Vagnozzi - GreenMe.it
Eccole qui:
1. SUV ibrido
Nonostante il loro impatto ambientale sia enorme, molte persone continuano ad acquistare dei SUV mastodontici, attratti da quello che sembra più uno status symbol che un mezzo di trasporto, oltre che da un design importante, da statistiche di sicurezza stradale più o meno incoraggianti e chissà da quali altri fattori.
Per questo, quando l’industria automobilistica ha cominciato a produrre e pubblicizzare dei SUV ibridi, anche gli automobilisti ecosostenibili ci hanno fatto un pensierino, pensando di poter finalmente avere, come si suol dire, “botte piena e moglie ubriaca”. Tuttavia, il dato di fatto è che i SUV ibridi sono meno inquinanti se paragonati ai SUV “standard”, ma il loro consumo equivale a quello delle auto compatte non ibride. Insomma, molto rumore per nulla.
2. Abiti e tessili in bamboo
Se il bamboo è un materiale da costruzione duttile ed ecologico, non è invece la soluzione più saggia per quanto riguarda le produzione di tessuti e capi di abbigliamento. Per diventare utilizzabili come materiale tessile, infatti, le fibre di bamboo devono essere trattate con solventi chimici e ridotte ad una soluzione viscosa. E in molti casi le sostanze chimiche utilizzate nel processo sono altamente inquinanti.
3. Bovini nutriti con l’erba
Mangiare carne di bovini allevati con erba è di certo più salutare per l’uomo, ma non esattamente più ecologico e sostenibile: il bestiame, che nel corso del suo ciclo di vita, si nutre di erba produce il 20% di emissioni di metano in più rispetto a quello che si ciba di mangimi. Insomma, non importa come il bovino sia stato allevato: dal punto di vista delle emissioni, una dieta con poca carne o interamente vegetariana si dimostra decisamente più sostenibile.
4. Biocarburanti
Ci sono numerose fonti sostenibili di biocarburanti, mentre ce ne sono altre assolutamente insostenibili. Al di là del dibattito sull’opportunità di trasformare delle risorse alimentari come il mais in combustibile, la coltivazione di alcune piante utilizzate come biocarburanti è alla base di problemi di deforestazione escarsità d’acqua in alcune aree del mondo. Basti pensare che la produzione diolio di palma è tra le cause principali dello sfruttamento indiscriminato delle foreste del sud-est asiatico.
5. Soia
La soia è un legume nutriente e, nelle sue varie declinazioni, costituisce un’alternativa ecosostenibile ai prodotti di origine animale in quanto principale fonte di proteine di origine vegetale. Contemporaneamente però la soia è uno dei principali alimenti utilizzati per produrre i mangimi animali. Per questo si stima che proprio la coltivazione della soia abbia causato la distruzione del 20% della foresta amazzonica negli ultimo 40 anni. Di queste, come riporta anche un dossier del WWF, l'85% sono destinate all'alimentazione zootecnica. La scelta di eliminare la carne dalla propria alimentazione, dunque, se da un lato contribuisce a ridurre la domanda di soia per gli allevamenti, dall'altra aumenta quella per usi alimentari che non sempre viene coltivata in maniera rispettosa dell'ambiente, essendo la soia anche uno degli alimenti che maggiormente sottoposto a sperimentazioni genetiche. Quindi, se acquistate abitualmente dei prodotti a base di soia, accertatevi riguardo alla loro origine e alle credenziali green di chi li produce. Ormai le informazioni sono a portata di mano: il web, ad esempio, può trasformarsi in un utilissimo strumento di indagine!
6. Spegnere l’aria condizionata in auto e aprire i finestrini
L’uso eccessivo di aria condizionata, in auto, nei negozi, nelle case, è dannoso non solo per l’ambiente ma anche per la nostra salute. Tuttavia, quando viaggiate in auto, spegnere l’aria condizionata e abbassare i finestrini è un’alternativa sostenibile solo se la vostra velocità è inferiore ai 70 km orari: al di sopra di questa soglia, infatti, l’interferenza dell’aria sull’aerodinamica del veicolo causa un consumo di carburante equivalente a quello collegato all’uso dell’aria condizionata.
7. Le diciture “organico” e “biologico” sui prodotti
Quando si parla di prodotti organici e biologici, la prudenza non è mai troppa e bisogna fare molte attenzione a pubblicità ingannevoli e casi di greenwashing: quindi, non è sufficiente che un’etichetta presenti le paroline magiche “organico” o “biologico”, né che sia colorata di verde o di marrone o decorata con graziose foglioline. Per essere certi della genuinità di ciò che si acquista bisogna sempre informarsi riguardo alla provenienza del prodotto e alla credibilità del produttore.
8. Compensare i propri consumi con comportamenti green “occasionali”
Piantare alberi e installare pannelli fotovoltaici sono ottime mosse green. Tuttavia, le nostre scelte ecologiche non devono diventare degli accorgimenti utili per compensare, di quando in quando, comportamenti e atteggiamenti quotidiani poco sostenibili e consumi smodati, con l’unico obiettivo di mettersi a posto la coscienza e sentirsi migliori. Di fronte alle tematiche e alle problematiche ambientali, la tendenza alla compensazione non vale: il modo migliore per esseregreen resta quello di imparare a ridurre consapevolmente e responsabilmente i propri consumi.
9. Pellicce artificiali
Le pellicce artificiali non implicano l’uccisione di animali, è vero, ma questo non le rende automaticamente ecosostenibili: infatti, la maggior parte delle pellicce finte viene prodotta a partire da fibre sintetiche e derivati del petrolio, sostanze non esattamente green. Perché ostinarsi ad indossare questo genere di capi se ci sono alternative molto più eco-friendly per essere eleganti e stare al caldo?
10. Pollame allevato all’aria aperta
Quando leggiamo su un’etichetta che il pollo che stiamo acquistando è stato allevato all’aria aperta tendiamo ad immaginare tanti volatili che zampettano liberi in ampi prati verdi. Tuttavia, perché il pollame possa essere considerato allevato all’aperto è necessario che trascorra all’esterno almeno la metà della propria vita, che ha una durata di circa 50 giorni. Per essere certi che ciò accada, non è sufficiente un’etichetta: è sempre meglio informarsi oppure acquistare il pollo direttamente dal nostro contadino di fiducia.
11. Un bel prato erboso e perfettamente in ordine
Chi non ama fermarsi ad ammirare un bel prato verde, ordinato e curato? I cortili erbosi sono di certo molto belli da guardare e fanno anche una certa figura, ma il tempo e le energie che si spendono, almeno negli Stati Uniti, per dare vita al “prato perfetto” danneggiano l’ambiente più di quanto si possa pensare, traconsumo smodato di acqua, abuso di fertilizzanti e uso di strumenti vari per la rasatura e la rimozione delle foglie secche. Forse, più che tendere esageratamente alla perfezione estetica, sarebbe il caso di imparare ad apprezzare colture e giardini magari un po’ imperfetti ma decisamente più naturali e con un minore impatto ambientale.
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