Il petrolio ci ha stravolti, il nostro modo di pensare è diventato frenetico. Usa e getta, benzina, nanoparticelle. La "comodità" ha distrutto la nostra dimensione umana, il nostro rispetto verso gli altri e verso l'ambiente.
lunedì 28 febbraio 2011
Manifestazione Torre del Greco
Lunedì 28 febbraio, ore 18.00. Partenza prevista da piazza Santa Croce.
La Cgil, nelle sue iniziative per il lavoro e i diritti, ritiene prioritario: affrontare la crisi del corallo per le gravi ripercussioni occupazionali; sostenere la lotta dei lavoratori della Tirrenia, che sono in gran parte residenti nelle città di Torre del Greco ed Ercolano.
La protesta sindacale dei marittimi è contro il Governo Berlusconi e il Commissario Straordinario di Tirrenia che non rispettano gli impegni assunti il 6 settembre 2010 di "salvaguardare gli attuali livelli occupazionali e la continuità contrattuale" nel processo di privatizzazione.
E' necessaria la riapertura del tavolo di confronto presso presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri per ottenere i seguenti risultati: garanzie occupazionali e la conitnuità contrattuale; il ripristino delle linee Bari-Durazzo e Genova-Olbia; garanzie per il funzionamento della Cassa integrazione (Cigs) tra i vari turni aziendali, per evitare sperequazioni nei salati; di tenere conto, nel processo di vendita di Tirrenia, dei lavoratori delle liste stagionali e del turno generale, per evitare che essi siano definitivamente estromessi da ogni possibilità di imbarco dopo anni di precarietà.
Sono invitati: i lavoratori, i cittadini, le forze politiche e sociali, le istituzioni.
La Cgil, nelle sue iniziative per il lavoro e i diritti, ritiene prioritario: affrontare la crisi del corallo per le gravi ripercussioni occupazionali; sostenere la lotta dei lavoratori della Tirrenia, che sono in gran parte residenti nelle città di Torre del Greco ed Ercolano.
La protesta sindacale dei marittimi è contro il Governo Berlusconi e il Commissario Straordinario di Tirrenia che non rispettano gli impegni assunti il 6 settembre 2010 di "salvaguardare gli attuali livelli occupazionali e la continuità contrattuale" nel processo di privatizzazione.
E' necessaria la riapertura del tavolo di confronto presso presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri per ottenere i seguenti risultati: garanzie occupazionali e la conitnuità contrattuale; il ripristino delle linee Bari-Durazzo e Genova-Olbia; garanzie per il funzionamento della Cassa integrazione (Cigs) tra i vari turni aziendali, per evitare sperequazioni nei salati; di tenere conto, nel processo di vendita di Tirrenia, dei lavoratori delle liste stagionali e del turno generale, per evitare che essi siano definitivamente estromessi da ogni possibilità di imbarco dopo anni di precarietà.
Sono invitati: i lavoratori, i cittadini, le forze politiche e sociali, le istituzioni.
Comunicato stampa
Torre del Greco, bloccate le maschere di Carnevale: scatta l'allarme racket
Ecco l'"impegno concreto" dell'amministrazione verso i problemi della città....
TORRE DEL GRECO - È lotta agli estorsori, attenti anche alle maschere di Carnevale. La guerra a quella che potrebbe essere l'ultima frontiera della criminalità per formulare le richieste ai commercianti, scatta dalla città del corallo , dove poco più di una settimana fa la camorra ha fatto sentire nuovamente la propria voce, con una bomba-carta che ha mandato in frantumi le vetrine dello store di Original Marines nella centralissima via Roma.
Nel giorno in cui si è riunita a palazzo Baronale la consulta sulla sicurezza, alla presenza del commissario antiracket e antiusura della Regione, Franco Malvano, dei rappresentanti di forze dell'ordine e commercianti e di Mario Amabile, il titolare del negozio oggetto dell'ultimo attentato, il sindaco ha firmato un'ordinanza con la quale intende «disciplinare - si legge nel testo sottoscritto da Ciro Borriello - l'uso della maschere in occasione del periodo di carnevale, alla luce dei recenti atti di intimidazione malavitosa ai danni di diversi esercizi commerciali operanti sul territorio cittadino».
Il primo cittadino non lo scrive ma è chiaro il timore che dietro i travestimenti carnevaleschi possa nascondersi anche il criminale, pronto poi ad entrare in azione: «Il nostro timore - spiega Borriello - è quello che gli estorsiori possano approfittare anche di questo periodo per sfuggire ai controlli delle forze dell'ordine. E allora ci è sembrato giusto regolamentare ogni forma di festeggiamento che può trasformarsi in rischio reale per gli operatori commerciali».
E allora ecco il divieto assoluto fino all'8 marzo di «vendere e utilizzare maschere e abbigliamento che possano dare luogo a motivi che turbino l'ordine, la sicurezza pubblica e offendere comunque la religione, la morale ed il buon costume, in particolare ogni artifizio che possa configurarsi in uno stile malavitoso».
Ma è vietato anche «imbrattare persone, cose e immobili con uova, liquidi pericolosi e altri materiali similari; sparare mortaretti in luogo pubblico; portare armi o altri strumenti atti ad offendere. In ogni caso - sottolinea ancora il primo cittadino - è fatto obbligo di togliere la maschera ad ogni invito delle autorità di pubblica sicurezza».
L'ordinanza viene accolta con sorpresa ma valutata positivamente dai rappresentanti delle associazioni che operano a favore di chi si ribella alle estorsioni: «Finora - afferma Silvana Fucito, coordinatrice campana delle realtà antiracket e antiusura - le richieste estorsive fatte da soggetti in maschera le ho viste soltanto in televisione, nelle fiction. Nella vita di tutti i giorni, non mi sono mai trovata a sentire di storie del genere.
Né ricordo che Carnevale venga considerato un periodo dell'anno a rischio come invece capita per Natale, Pasqua e ferragosto. Ciò detto, al sindaco di Torre del Greco va comunque il mio personale plauso: Borriello ha voluto mettere ordine ad una festa dove spesso vige il coprifuoco. Se poi ha ampliato l’ordinanza anche sul fronte della lotta al racket, avrà le sue buone ragioni: o vuole essere previdente o ha avuto sentore di qualcosa, in ogni caso ha fatto bene a firmare questo tipo di ordinanza».
TORRE DEL GRECO - È lotta agli estorsori, attenti anche alle maschere di Carnevale. La guerra a quella che potrebbe essere l'ultima frontiera della criminalità per formulare le richieste ai commercianti, scatta dalla città del corallo , dove poco più di una settimana fa la camorra ha fatto sentire nuovamente la propria voce, con una bomba-carta che ha mandato in frantumi le vetrine dello store di Original Marines nella centralissima via Roma.
Nel giorno in cui si è riunita a palazzo Baronale la consulta sulla sicurezza, alla presenza del commissario antiracket e antiusura della Regione, Franco Malvano, dei rappresentanti di forze dell'ordine e commercianti e di Mario Amabile, il titolare del negozio oggetto dell'ultimo attentato, il sindaco ha firmato un'ordinanza con la quale intende «disciplinare - si legge nel testo sottoscritto da Ciro Borriello - l'uso della maschere in occasione del periodo di carnevale, alla luce dei recenti atti di intimidazione malavitosa ai danni di diversi esercizi commerciali operanti sul territorio cittadino».
Il primo cittadino non lo scrive ma è chiaro il timore che dietro i travestimenti carnevaleschi possa nascondersi anche il criminale, pronto poi ad entrare in azione: «Il nostro timore - spiega Borriello - è quello che gli estorsiori possano approfittare anche di questo periodo per sfuggire ai controlli delle forze dell'ordine. E allora ci è sembrato giusto regolamentare ogni forma di festeggiamento che può trasformarsi in rischio reale per gli operatori commerciali».
E allora ecco il divieto assoluto fino all'8 marzo di «vendere e utilizzare maschere e abbigliamento che possano dare luogo a motivi che turbino l'ordine, la sicurezza pubblica e offendere comunque la religione, la morale ed il buon costume, in particolare ogni artifizio che possa configurarsi in uno stile malavitoso».
Ma è vietato anche «imbrattare persone, cose e immobili con uova, liquidi pericolosi e altri materiali similari; sparare mortaretti in luogo pubblico; portare armi o altri strumenti atti ad offendere. In ogni caso - sottolinea ancora il primo cittadino - è fatto obbligo di togliere la maschera ad ogni invito delle autorità di pubblica sicurezza».
L'ordinanza viene accolta con sorpresa ma valutata positivamente dai rappresentanti delle associazioni che operano a favore di chi si ribella alle estorsioni: «Finora - afferma Silvana Fucito, coordinatrice campana delle realtà antiracket e antiusura - le richieste estorsive fatte da soggetti in maschera le ho viste soltanto in televisione, nelle fiction. Nella vita di tutti i giorni, non mi sono mai trovata a sentire di storie del genere.
Né ricordo che Carnevale venga considerato un periodo dell'anno a rischio come invece capita per Natale, Pasqua e ferragosto. Ciò detto, al sindaco di Torre del Greco va comunque il mio personale plauso: Borriello ha voluto mettere ordine ad una festa dove spesso vige il coprifuoco. Se poi ha ampliato l’ordinanza anche sul fronte della lotta al racket, avrà le sue buone ragioni: o vuole essere previdente o ha avuto sentore di qualcosa, in ogni caso ha fatto bene a firmare questo tipo di ordinanza».
Teresa Iacomino - ilmattino.it
giovedì 24 febbraio 2011
Lotta Maresca. Arriva la lettera di Schiano. Il Comitato continua ad occupare. Ultimi aggiornamenti
Aggiornamento ore 23.00.
Parte del comitato continuerà ad occupare la sala del consiglio comunale ad oltranza, fino a quando il sindaco Borriello non comunicherà la data ufficiale dell'incontro con Calabrò, Schiano, Russo e Arsan. E' questa la decisione del comitato pro Maresca, arrivata dopo una burrascosa riunione interna, in cui sono emerse (e si sono scontrate) le varie anime del comitato.
Resta la manifestazione cittadina organizzata per oggi, mentre lunedì il comitato si unirà alla protesta dei marittimi.
Ore 13.30.
Ecco il testo della lettera mandata dall'on. Schiano al sindaco di Torre del Greco Ciro Borriello e al comitato pro Maresca: "In ordine alla pianificazione attuativa dalla Azienda Napoli 3 Sud si rappresenta che la mancata intesa con l'ASL Napoli 1 centro in merito al trasferimento delle professionalità di gastroenterologia del P.O. di Torre del Greco al P.O. Loreto Mare impone una rivisitazione della configurazione del presidio stesso. Tale rivisitazione deve tener conto anche di quanto programmato per il P.O. di Boscotrecase. In particolare ci si riferisce a quelle U.O. la cui piena operatività è stata subordinata al completamento dei lavori di edilizia sanitaria da attuarsi presso le stesse P.O. di Boscotrecase. Si rtiene, pertanto, che l'Azienda provveda a trasmettere una nuova pianificazione sulla base degli elementi innanzi riportati. Alla luce di quanto si evince si andrà verso una determinazione da parte della Regione Campania di: 1) Ospedali riuniti tra Boscotrecase e Torre del Greco. 2) Urologia nelle 12 ore e nel contempo permanenza per almeno 12 mesi del Pronto Sccorso al Maresca".
Il sindaco Borriello ritiene che sia stato fatto un grande passo avanti, "impensabile solo poco tempo fa", e invita il comitato a non proseguire ad oltranza con l'occupazione della sala consiliare: "Ieri ho soprasseduto perché sono con voi, ma non posso più ricevere pressioni e intimidazioni da parte vostra".
Il comitato, dal canto suo, si riunirà oggi pomeriggio per decidere le prossime mosse da fare. Gli animi, però, non sono dei migliori: "Questo documento - dicono - sostiene, in sostanza che 'visto che abbiamo problemi con lo spostamento del reparto di gastroenterologia al Loreto Mare, per il momento lo lasciamo al Maresca. Nel contempo, poiché questo reparto rimane a Torre del Greco, lasciamo aperto anche il pronto soccorso per 12 mesi (vale a dire il tempo per completare l'ospedale di Boscotrecase). In più vi diamo il reparto di urologia per 12 ore al giorno'. Questo documento (tra l'altro non protocollato), non risponde alle nostre richieste".
Ma il sindaco rilancia: "Il piano non può essere modificato, altrimenti i fondi non vengono sbloccati. Questo documento non cambia la forma del piano, cambia la sostanza, che è quel che conta ora. Quel che ancora posso fare è combinare un incontro con l'Arsan Russo e Calabrò".
Arnaldo M. Iodice - lapilli.eu
Parte del comitato continuerà ad occupare la sala del consiglio comunale ad oltranza, fino a quando il sindaco Borriello non comunicherà la data ufficiale dell'incontro con Calabrò, Schiano, Russo e Arsan. E' questa la decisione del comitato pro Maresca, arrivata dopo una burrascosa riunione interna, in cui sono emerse (e si sono scontrate) le varie anime del comitato.
Resta la manifestazione cittadina organizzata per oggi, mentre lunedì il comitato si unirà alla protesta dei marittimi.
Ore 13.30.
Ecco il testo della lettera mandata dall'on. Schiano al sindaco di Torre del Greco Ciro Borriello e al comitato pro Maresca: "In ordine alla pianificazione attuativa dalla Azienda Napoli 3 Sud si rappresenta che la mancata intesa con l'ASL Napoli 1 centro in merito al trasferimento delle professionalità di gastroenterologia del P.O. di Torre del Greco al P.O. Loreto Mare impone una rivisitazione della configurazione del presidio stesso. Tale rivisitazione deve tener conto anche di quanto programmato per il P.O. di Boscotrecase. In particolare ci si riferisce a quelle U.O. la cui piena operatività è stata subordinata al completamento dei lavori di edilizia sanitaria da attuarsi presso le stesse P.O. di Boscotrecase. Si rtiene, pertanto, che l'Azienda provveda a trasmettere una nuova pianificazione sulla base degli elementi innanzi riportati. Alla luce di quanto si evince si andrà verso una determinazione da parte della Regione Campania di: 1) Ospedali riuniti tra Boscotrecase e Torre del Greco. 2) Urologia nelle 12 ore e nel contempo permanenza per almeno 12 mesi del Pronto Sccorso al Maresca".
Il sindaco Borriello ritiene che sia stato fatto un grande passo avanti, "impensabile solo poco tempo fa", e invita il comitato a non proseguire ad oltranza con l'occupazione della sala consiliare: "Ieri ho soprasseduto perché sono con voi, ma non posso più ricevere pressioni e intimidazioni da parte vostra".
Il comitato, dal canto suo, si riunirà oggi pomeriggio per decidere le prossime mosse da fare. Gli animi, però, non sono dei migliori: "Questo documento - dicono - sostiene, in sostanza che 'visto che abbiamo problemi con lo spostamento del reparto di gastroenterologia al Loreto Mare, per il momento lo lasciamo al Maresca. Nel contempo, poiché questo reparto rimane a Torre del Greco, lasciamo aperto anche il pronto soccorso per 12 mesi (vale a dire il tempo per completare l'ospedale di Boscotrecase). In più vi diamo il reparto di urologia per 12 ore al giorno'. Questo documento (tra l'altro non protocollato), non risponde alle nostre richieste".
Ma il sindaco rilancia: "Il piano non può essere modificato, altrimenti i fondi non vengono sbloccati. Questo documento non cambia la forma del piano, cambia la sostanza, che è quel che conta ora. Quel che ancora posso fare è combinare un incontro con l'Arsan Russo e Calabrò".
Arnaldo M. Iodice - lapilli.eu
Gioacchino Genchi destituito dalla polizia
Il poliziotto-consulente informatico più famoso d'Italia era stato già sospeso. Adesso, arriva il provvedimento definitivo. E' stato lui stesso a comunicare la notizia, sul suo blog. E il popolo del Web già si mobilita
Il vicequestore Gioacchino Genchi è stato destituito dalla polizia. Così ha deciso, dopo una lunga istruttoria, il dipartimento della pubblica sicurezza. Il provvedimento, che porta la firma del capo della polizia Antonio Manganelli, è datato 15 febbraio. A Genchi non sono state perdonate alcune sue esternazioni.
"Ha continuato pervicacemente, con ostentata pertinacia (...) a porre in essere un comportamento fortemente scorretto in assoluto contrasto con i doveri che ogni appartenente all'amministrazione della polizia di Stato solennemente assume con il giuramento all'atto della nomina". Così recita il provvedimento di destituzione: "Ha fatto delle dichiarazioni dal contenuto gravemente lesivo del prestigio di organi e istituzioni dello Stato, arrecando in tal modo disdoro all'immagine e all'onore dell'amministrazione di appartenenza". Nelle tre pagine della decisione si citano due episodi: un convegno svoltosi a Cervignano del Friuli, il 6 dicembre 2009, e un congresso a Roma, il 6 febbraio 2010.
Genchi commenta sul suo blog, intitolato "Legittima difesa" (www.gioacchinogenchi.it): "Berlusconi ha vinto". Intervistato al programma "La zanzara", in onda su Radio 24, ha detto: "Davvero adesso si è avverato il sogno di Berlusconi. Il provvedimento mi è stato notificato poche ore fa, ma io farò certamente ricorso al Tar per una decisione che a mio avviso è illegittima". Genchi chiama in causa il capo della polizia: "Il provvedimento è suo, ma bisogna vedere chi gliel'ha fatto fare. Dal capo della polizia, infatti, avevo da poco ricevuto il giudizio per l'ultimo anno di servizio, con il voto di ottimo".
Gioacchino Genchi ha lavorato per anni al fianco dei magistrati di Palermo e Caltanissetta che hanno indagato sui misteri di Cosa nostra. E' stato anche consulente informatico di decine di Procure in tutta Italia. Dopo un'indagine condotta con il pm di Catanzaro Luigi De Magistris è stato al centro di pesanti polemiche, giudiziarie e politiche: lo stesso Genchi è finito sotto inchiesta, alla Procura di Roma, per presunte violazioni della privacy. La sua autodifesa l'ha affidata a un libro, scritto con il giornalista Edoardo Montolli: "Il caso Genchi, storia di un uomo in balia dello Stato".
Al vice questore appena destituito arriva la solidarietà di Antonio Di Pietro: "La colpa, come al solito, è di chi serve lo Stato e non di chi si serve dello Stato", dice il presidente dell'Italia dei Valori, che prosegue: "Esprimiamo solidarietà a Gioacchino Genchi e siamo certi che nella sua nuova vita saprà dimostrare, ancora una volta, che i servitori dello Stato non si lasciano intimorire e vanno avanti difendendo la legalità e quei principi incisi nella nostra Carta".
Il vicequestore Gioacchino Genchi è stato destituito dalla polizia. Così ha deciso, dopo una lunga istruttoria, il dipartimento della pubblica sicurezza. Il provvedimento, che porta la firma del capo della polizia Antonio Manganelli, è datato 15 febbraio. A Genchi non sono state perdonate alcune sue esternazioni.
"Ha continuato pervicacemente, con ostentata pertinacia (...) a porre in essere un comportamento fortemente scorretto in assoluto contrasto con i doveri che ogni appartenente all'amministrazione della polizia di Stato solennemente assume con il giuramento all'atto della nomina". Così recita il provvedimento di destituzione: "Ha fatto delle dichiarazioni dal contenuto gravemente lesivo del prestigio di organi e istituzioni dello Stato, arrecando in tal modo disdoro all'immagine e all'onore dell'amministrazione di appartenenza". Nelle tre pagine della decisione si citano due episodi: un convegno svoltosi a Cervignano del Friuli, il 6 dicembre 2009, e un congresso a Roma, il 6 febbraio 2010.
Genchi commenta sul suo blog, intitolato "Legittima difesa" (www.gioacchinogenchi.it): "Berlusconi ha vinto". Intervistato al programma "La zanzara", in onda su Radio 24, ha detto: "Davvero adesso si è avverato il sogno di Berlusconi. Il provvedimento mi è stato notificato poche ore fa, ma io farò certamente ricorso al Tar per una decisione che a mio avviso è illegittima". Genchi chiama in causa il capo della polizia: "Il provvedimento è suo, ma bisogna vedere chi gliel'ha fatto fare. Dal capo della polizia, infatti, avevo da poco ricevuto il giudizio per l'ultimo anno di servizio, con il voto di ottimo".
Gioacchino Genchi ha lavorato per anni al fianco dei magistrati di Palermo e Caltanissetta che hanno indagato sui misteri di Cosa nostra. E' stato anche consulente informatico di decine di Procure in tutta Italia. Dopo un'indagine condotta con il pm di Catanzaro Luigi De Magistris è stato al centro di pesanti polemiche, giudiziarie e politiche: lo stesso Genchi è finito sotto inchiesta, alla Procura di Roma, per presunte violazioni della privacy. La sua autodifesa l'ha affidata a un libro, scritto con il giornalista Edoardo Montolli: "Il caso Genchi, storia di un uomo in balia dello Stato".
Al vice questore appena destituito arriva la solidarietà di Antonio Di Pietro: "La colpa, come al solito, è di chi serve lo Stato e non di chi si serve dello Stato", dice il presidente dell'Italia dei Valori, che prosegue: "Esprimiamo solidarietà a Gioacchino Genchi e siamo certi che nella sua nuova vita saprà dimostrare, ancora una volta, che i servitori dello Stato non si lasciano intimorire e vanno avanti difendendo la legalità e quei principi incisi nella nostra Carta".
mercoledì 23 febbraio 2011
Bomba a Torre del Greco, Russo: "non ci faremo intimidire dalla violenza"
"Non ci faremo intimidire dalla violenza, ma anzi andremo avanti per la nostra strada ricostruendo quanto è stato distrutto senza piegarci a forme ricattatorie". E' il commento di Pietro Russo, presidente della Confcommercio di Napoli e provincia, in seguito all'esplosione di una bomba di fronte al negozio di un commerciante aderente all'associazione: Mario Amabile a Torre del Greco, titolare di un punto vendita di un noto franchising di abbigliamento, che peraltro aveva denunciato già nel 2008 un fenomeno estorsivo. "Non abbassiamo la guardia - continua Russo - ed anzi siamo e saremo sempre vicini ai colleghi di tutto il territorio in tutti i tavoli istituzionali per riqualificare l'area e rimettere finalmente in moto i meccanismi del turismo e dell'economia in generale. Per questo è importante denunciare questi episodi, e per questo la Confcommercio è e sarà sempre vicina anche a quanti sono intimoriti, raccogliendo le eventuali denunce anonime per poter poi pubblicamente combattere una microcriminalità che sta diventando sempre più invadente ed opprimente".
Comunicato da Confcommercio
Comunicato da Confcommercio
martedì 22 febbraio 2011
Lotta Maresca: venerdì manifestazione a piazza Santa Croce
Basta promesse. Da oggi si accettano solo i fatti. Il comitato pro Maresca non vuole sentire più ragioni. Martedì scorso il sub commissario alla Sanità Giuseppe Zuccatelli aveva promesso alla delegazione torrese un incontro con Caldoro: Zuccatelli non si è fatto più vivo. Nei giorni precedenti il sindaco Borriello aveva dato ampie garanzie sulla permanenza del reparto di urologia all'interno della struttura di via Montedoro: il reparto di urologia è stato chiuso. Come comportarsi, allora? Se ne è discusso ieri, alla sede del comitato di quartiere Rinascita. Esito dell'incontro: protesta cittadina venerdì pomeriggio, a piazza Santa Croce.
“La protesta è inevitabile – dicono i membri del comitato –: ci sentiamo presi in giro da tutti. Anche dal nostro sindaco, il quale dovrebbe essere il primo a lottare con noi, e invece ogni volta che lo contattiamo cerca di rimandare il confronto”. Fatto, questo, che non è mai andato giù al comitato. Perchè da Napoli giungono notizie strane: pare che la volontà tecnica di cambiare qualcosa nel Piano Ospedaliero Regionale ci sia stata. Ma sarebbe mancata la volontà politica locale. Come testimonierebbe l'ultimo Burc della Regione Campania: al comitato è giunta notizia che modifiche al piano Zuccatelli ce ne siano. Ma che nessuna riguardi il Maresca. Questo perchè le uniche correzioni fatte riguardano aspetti legati all'economia e ai rischi. “È colpa di Borriello se ci troviamo in questa situazione”, urla qualcuno. “Non è vero. È colpa dei suoi predecessori e dei cittadini di Torre del Greco”, sostiene qualcun altro. Fatto sta che più si va avanti e più la strada si stringe: gli spazi di manovra diminuiscono ogni giorno di più. Serve un'azione concreta. Una manifestazione eclatante. Inaspettata.
Martedì 22 febbraio 2011 di Arnaldo M.Iodice - lapilli.eu
“La protesta è inevitabile – dicono i membri del comitato –: ci sentiamo presi in giro da tutti. Anche dal nostro sindaco, il quale dovrebbe essere il primo a lottare con noi, e invece ogni volta che lo contattiamo cerca di rimandare il confronto”. Fatto, questo, che non è mai andato giù al comitato. Perchè da Napoli giungono notizie strane: pare che la volontà tecnica di cambiare qualcosa nel Piano Ospedaliero Regionale ci sia stata. Ma sarebbe mancata la volontà politica locale. Come testimonierebbe l'ultimo Burc della Regione Campania: al comitato è giunta notizia che modifiche al piano Zuccatelli ce ne siano. Ma che nessuna riguardi il Maresca. Questo perchè le uniche correzioni fatte riguardano aspetti legati all'economia e ai rischi. “È colpa di Borriello se ci troviamo in questa situazione”, urla qualcuno. “Non è vero. È colpa dei suoi predecessori e dei cittadini di Torre del Greco”, sostiene qualcun altro. Fatto sta che più si va avanti e più la strada si stringe: gli spazi di manovra diminuiscono ogni giorno di più. Serve un'azione concreta. Una manifestazione eclatante. Inaspettata.
Martedì 22 febbraio 2011 di Arnaldo M.Iodice - lapilli.eu
lunedì 21 febbraio 2011
Benghazi libera! L'inizio della fine di Gheddafi?
“Domani mattina avremo un'altra bandiera! Benghazi è libera!” Arrivano parole di giubilo dalla Libia. Ed è la prima volta dopo quattro giorni di massacri nelle piazze del paese. A parlare è un amico libico d'oltremare, Kamal. In questo momento è a Benghazi e mi ha appena dato la buona notizia al telefono. Il regime di Gheddafi si avvia verso la fine seppure con altissimo rischio di guerra civile. Dopo l'ennesimo bagno di sangue infatti, il popolo oggi ha avuto la meglio sulle milizie del regime e ha liberato la città di Benghazi, la capitale della Cirenaica, regione da sempre ostile alla dittatura del Colonnello. I reparti dell'esercito si sono uniti al popolo, mentre miliziani e fedeli del regime si trovano attualmente trincerati nell'aeroporto della città, circondati dai giovani rivoluzionari pronti a sferrare l'attacco finale con le armi che il popolo ha requisito all'esercito dopo aver fatto irruzione oggi pomeriggio nei campi militari. Intanto, incoraggiati dalla vittoria del popolo a Benghazi, sono scoppiati focolai di rivolte in tutto il paese, da Zawiyah a Tripoli, dove migliaia di persone sono scese in piazza pronte a marciare sul palazzo di Gheddafi, che secondo voci non ancora confermate sarebbe scappato in Venezuela.
E dire che fino a ieri non ci credeva nessuno. Lo stesso Kamal stamattina aveva telefonato in lacrime a un amico tunisino di Ginevra che in questo momento si trova a Lampedusa, raccontando disperato i dettagli del massacro compiuto dalle milizie di Gheddafi. “Ci sono stati due movimenti paralleli – ci ha spiegato al telefono - . Da un lato il movimento pacifista e non armato, condotto dagli avvocati e dai giudici, con una grande manifestazione davanti al tribunale di Benghazi. E dall'altro vari gruppi di giovani che non credevano in una protesta pacifica contro la brutalità del regime e che hanno affrontato la polizia e le milizie armati soltanto di pietre e bastoni. È stato un combattimento terribile! Un nano contro una montagna. Le milizie di Gheddafi erano armate fino ai denti, sparavano con le mitragliatrici della contraerea sulla gente! Ma la gente non aveva paura, era come se avessero tutti sete di morire per la libertà. Non so quanti siano i morti ma credo che soltanto nelle ultime ore siano almeno un centinaio. Personalmente ho appena lasciato l'ospedale militare dove ho contato una ventina di morti, un'altra cinquantina sono caduti presso l'ultima base militare conquistata dal popolo. Più tutti quelli morti intorno alla città". Le cifre più attendibili, diffuse da Aljazeera parlano di almeno 285 vittime dall'inizio dei combattimenti, ma ormai a Benghazi sembra essere sorta l'alba di un nuovo corso.
"Ormai la città è libera! Non c'è più nessuna caserma in mano al regime. E l'esercito di Benghazi si è unito alla popolazione dalle cinque di oggi pomeriggio. È successo che a un certo punto ci hanno aperto le caserme e ci hanno fatto prendere le armi, poi si sono uniti a noi. Non è l'esercito che ha fatto cadere il regime, è la popolazione!”
Ma accanto alle ragioni per festeggiare, ci sono ancora mille buoni motivi per essere preoccupati. Il primo è la tensione che continua a salire intorno all'aeroporto di Benghazi per la battaglia finale. Dentro lo scalo aereo si trovano le milizie di Gheddafi, e fuori i giovani ormai armati fino ai denti. “Stanno andando tutti all'aeroporto. Durerà a lungo. C'è un negoziato in corso, ma ormai lo scontro è inevitabile e ho paura che ci saranno molti morti. Ma ormai è finita. Ti dico che al massimo domani mattina sarà finita. Non ho dubbi!”.
A calmare gli animi non è servito nemmeno il discorso fatto in televisione dal figlio di Gheddafi, Saif al Islam, nonostante la stima che molti libici hanno per lui, preferendolo di gran lunga al padre despota. Anche perché nel suo discorso non ha fatto che cavalcare le tesi cospirazioniste, accusando oltretutto i giovani di voler soltanto imitare la Tunisia e l'Egitto, di essere drogati e sbandati e di portare il paese sull'orlo della guerra civile. Su questo ultimo punto però qualche ragione ce l'ha. Perché il popolo per la prima volta è armato e se Gheddafi non se ne va quanto prima, la situazione rischia davvero di finire fuori controllo. Nessuno può infatti garantire che il bagno di sangue dei giorni scorsi, adesso non sarà vendicato. Lo ammette lo stesso Kamal: “Il problema è che quando le armi sono nelle mani della popolazione è sempre delicato. La rivoluzione è stata fatta dai giovani, ma i giovani adesso hanno le armi e girano con i carri armati. Non so se si sapranno regolare, non sono dei militari, voglio dire ho paura che ci saranno dei regolamenti di conti, è sicuro, contro i sostenitori di Gheddafi e i membri del governo attuale!”
Ma anche contro i tanti stranieri africani. Su internet girano già i video dei cadaveri dei miliziani africani linciati dalla folla dei manifestanti. Sì perché Gheddafi si è appoggiato a questa speciale legione straniera fatta perlopiù di mercenari africani, inviati a Benghazi a massacrare i manifestanti. Nessuno può dire se adesso seguirà un'ondata di violenza contro le numerose comunità afro in Libia. Ancora è prematuro per dirlo. Potrebbe non accadere niente. Ma potrebbe anche accadere il contrario. E allora Lampedusa si prepari davvero a gestire quella che potrebbe essere un'emergenza umanitaria.
Prima che cada la linea, Kamal ci tiene a mandare un messaggio agli italiani. E stavolta il tono è semplicemente di rabbia. “Ora speriamo che il prossimo a cadere sia Berlusconi! Ha sostenuto questo bastardo di dittatore, e lo stesso ha fatto Sarkozy e tutta l'Unione europea. E mai una parola per la popolazione libica, mentre ci sparavano addosso! Ci hanno massacrato! Gente disarmata, ci hanno schiacciato come delle mosche! Ci avete lasciato morire!”
Come dargli torto? Dopo la Tunisia e l'Egitto, con la Libia per la terza volta in due mesi, l'Italia ha perso l'occasione per esprimere il proprio sostegno alle popolazioni della riva sud del Mediterraneo, che stanno pagando centinaia di martiri per la conquista della libertà e della democrazia e per mettere fine una volta per tutte alle dittature sostenute da decenni dai nostri governi. Con una trasversalità straordinaria. Ne sanno qualcosa i D'Alema e i Dini, gli Amato e i Prodi, che come i Berlusconi e i Pisanu, i Maroni e i Frattini, da dieci anni a questa parte si sono prodigati per strappare a Tripoli la firma dell'accordo sui respingimenti in Libia in cambio di pressioni per la fine dell'embargo e di commesse d'oro. Lo sanno bene all'Unicredit, a Finmeccanica, e all'Eni? Solo per fare i nomi di pochi.
Da questa cricca di affaristi e da questa classe dirigente c'è poco da aspettarsi, se non appelli alla stabilità per continuare a pompare petrolio dalla Libia alle raffinerie di Gela e per continuare a rinchiudere nelle galere libiche tutti i respinti. Sta forse a noi costruire reti di solidarietà per un Mediterraneo di pace. Dopo la Tunisia e l'Egitto, sosteniamo anche la rivoluzione in Libia. Qui trovate una pagina facebook con tutte le notizie e i video delle proteste. Perché è questa la Libia del futuro. Non la Libia dei respingimenti e delle torture in carcere, ma quella dei giovani che come in Egitto e in Tunisia, martire dopo martire, sfidano il potere di ottuagenari dittatori, nel nome della libertà.
20 febbraio 2011 - da Fortress Europe
E dire che fino a ieri non ci credeva nessuno. Lo stesso Kamal stamattina aveva telefonato in lacrime a un amico tunisino di Ginevra che in questo momento si trova a Lampedusa, raccontando disperato i dettagli del massacro compiuto dalle milizie di Gheddafi. “Ci sono stati due movimenti paralleli – ci ha spiegato al telefono - . Da un lato il movimento pacifista e non armato, condotto dagli avvocati e dai giudici, con una grande manifestazione davanti al tribunale di Benghazi. E dall'altro vari gruppi di giovani che non credevano in una protesta pacifica contro la brutalità del regime e che hanno affrontato la polizia e le milizie armati soltanto di pietre e bastoni. È stato un combattimento terribile! Un nano contro una montagna. Le milizie di Gheddafi erano armate fino ai denti, sparavano con le mitragliatrici della contraerea sulla gente! Ma la gente non aveva paura, era come se avessero tutti sete di morire per la libertà. Non so quanti siano i morti ma credo che soltanto nelle ultime ore siano almeno un centinaio. Personalmente ho appena lasciato l'ospedale militare dove ho contato una ventina di morti, un'altra cinquantina sono caduti presso l'ultima base militare conquistata dal popolo. Più tutti quelli morti intorno alla città". Le cifre più attendibili, diffuse da Aljazeera parlano di almeno 285 vittime dall'inizio dei combattimenti, ma ormai a Benghazi sembra essere sorta l'alba di un nuovo corso.
"Ormai la città è libera! Non c'è più nessuna caserma in mano al regime. E l'esercito di Benghazi si è unito alla popolazione dalle cinque di oggi pomeriggio. È successo che a un certo punto ci hanno aperto le caserme e ci hanno fatto prendere le armi, poi si sono uniti a noi. Non è l'esercito che ha fatto cadere il regime, è la popolazione!”
Ma accanto alle ragioni per festeggiare, ci sono ancora mille buoni motivi per essere preoccupati. Il primo è la tensione che continua a salire intorno all'aeroporto di Benghazi per la battaglia finale. Dentro lo scalo aereo si trovano le milizie di Gheddafi, e fuori i giovani ormai armati fino ai denti. “Stanno andando tutti all'aeroporto. Durerà a lungo. C'è un negoziato in corso, ma ormai lo scontro è inevitabile e ho paura che ci saranno molti morti. Ma ormai è finita. Ti dico che al massimo domani mattina sarà finita. Non ho dubbi!”.
A calmare gli animi non è servito nemmeno il discorso fatto in televisione dal figlio di Gheddafi, Saif al Islam, nonostante la stima che molti libici hanno per lui, preferendolo di gran lunga al padre despota. Anche perché nel suo discorso non ha fatto che cavalcare le tesi cospirazioniste, accusando oltretutto i giovani di voler soltanto imitare la Tunisia e l'Egitto, di essere drogati e sbandati e di portare il paese sull'orlo della guerra civile. Su questo ultimo punto però qualche ragione ce l'ha. Perché il popolo per la prima volta è armato e se Gheddafi non se ne va quanto prima, la situazione rischia davvero di finire fuori controllo. Nessuno può infatti garantire che il bagno di sangue dei giorni scorsi, adesso non sarà vendicato. Lo ammette lo stesso Kamal: “Il problema è che quando le armi sono nelle mani della popolazione è sempre delicato. La rivoluzione è stata fatta dai giovani, ma i giovani adesso hanno le armi e girano con i carri armati. Non so se si sapranno regolare, non sono dei militari, voglio dire ho paura che ci saranno dei regolamenti di conti, è sicuro, contro i sostenitori di Gheddafi e i membri del governo attuale!”
Ma anche contro i tanti stranieri africani. Su internet girano già i video dei cadaveri dei miliziani africani linciati dalla folla dei manifestanti. Sì perché Gheddafi si è appoggiato a questa speciale legione straniera fatta perlopiù di mercenari africani, inviati a Benghazi a massacrare i manifestanti. Nessuno può dire se adesso seguirà un'ondata di violenza contro le numerose comunità afro in Libia. Ancora è prematuro per dirlo. Potrebbe non accadere niente. Ma potrebbe anche accadere il contrario. E allora Lampedusa si prepari davvero a gestire quella che potrebbe essere un'emergenza umanitaria.
Prima che cada la linea, Kamal ci tiene a mandare un messaggio agli italiani. E stavolta il tono è semplicemente di rabbia. “Ora speriamo che il prossimo a cadere sia Berlusconi! Ha sostenuto questo bastardo di dittatore, e lo stesso ha fatto Sarkozy e tutta l'Unione europea. E mai una parola per la popolazione libica, mentre ci sparavano addosso! Ci hanno massacrato! Gente disarmata, ci hanno schiacciato come delle mosche! Ci avete lasciato morire!”
Come dargli torto? Dopo la Tunisia e l'Egitto, con la Libia per la terza volta in due mesi, l'Italia ha perso l'occasione per esprimere il proprio sostegno alle popolazioni della riva sud del Mediterraneo, che stanno pagando centinaia di martiri per la conquista della libertà e della democrazia e per mettere fine una volta per tutte alle dittature sostenute da decenni dai nostri governi. Con una trasversalità straordinaria. Ne sanno qualcosa i D'Alema e i Dini, gli Amato e i Prodi, che come i Berlusconi e i Pisanu, i Maroni e i Frattini, da dieci anni a questa parte si sono prodigati per strappare a Tripoli la firma dell'accordo sui respingimenti in Libia in cambio di pressioni per la fine dell'embargo e di commesse d'oro. Lo sanno bene all'Unicredit, a Finmeccanica, e all'Eni? Solo per fare i nomi di pochi.
Da questa cricca di affaristi e da questa classe dirigente c'è poco da aspettarsi, se non appelli alla stabilità per continuare a pompare petrolio dalla Libia alle raffinerie di Gela e per continuare a rinchiudere nelle galere libiche tutti i respinti. Sta forse a noi costruire reti di solidarietà per un Mediterraneo di pace. Dopo la Tunisia e l'Egitto, sosteniamo anche la rivoluzione in Libia. Qui trovate una pagina facebook con tutte le notizie e i video delle proteste. Perché è questa la Libia del futuro. Non la Libia dei respingimenti e delle torture in carcere, ma quella dei giovani che come in Egitto e in Tunisia, martire dopo martire, sfidano il potere di ottuagenari dittatori, nel nome della libertà.
20 febbraio 2011 - da Fortress Europe
venerdì 18 febbraio 2011
Corruption: is Italy a step ahead?
L’accettazione della corruzione da parte della società fa dell’India e dell’Italia due paesi sorprendentemente simili.
I turisti indiani che tornano dalle loro vacanze europee tendono solitamente a lamentarsi della rigidità dei tedeschi, della fredda altezzosità dei francesi, dell’eccessiva parsimonia degli olandesi o del razzismo degli austriaci.
L’Italia invece provoca reazioni differenti: “Sono persone amichevoli, chiacchieroni, ospitali ed è l’unico posto in Europa dove i vegetariani possono mangiare un piatto decente. Ma ci sono anche ladri e doppiogiochisti che non ci pensano due volte a derubarti e lasciarti in mutande senza che tu te ne accorga, un po’ come i borseggiatori Bambaiya (NdT: borseggiatori di Mumbai, che si esprimono nello slang Bambaiya). Allo stesso tempo però, è come sentirsi in un luogo familiare.”
La maggior parte degli indiani confessa di sentirsi a casa in Italia: la vita è caotica, nessuno rispetta le regole, la polizia è corrotta, vi è una considerevole evasione fiscale, la mafia controlla grosse fette del territorio, il governo è incapace e i benestanti fanno una bella vita.
Quasi nessuno si prende cura dei poveri, eccetto alcune organizzazioni caritatevoli cristiane e delle ONG.
Il denaro pubblico stanziato per le vittime di disastri naturali sparisce nelle tasche di funzionari statali; il nepotismo dilaga; le case costruite per i poveri sono le prime a crollare nelle zone sismiche del meridione, poiché realizzate con materiali di scarsa qualità…
Vi suona familiare? Le analogie fra l’Italia e l’India sono impressionanti e anche sorprendenti. Basta guardare al modo di fare politica, alla corruzione nella vita pubblica percepita come convenzione sociale, alla solidità delle relazioni familiari e a come è strutturata la società.
Alla guida dell’India non abbiamo certamente un casanova vecchio e sfinito come Silvio Berlusconi, le cui nottate Bunga Bunga, feste sfarzose dove è spesso circondato da lolite minorenni, hanno suscitato senzazioni di vergogna miste a orrore. Tali comportamenti non sarebbero possibili in India per via delle regole sulla moralità pubblica e (per quello che conta) privata. Ma, come in Italia, quasi nessun politico accusato di corruzione, abuso d’ufficio o anche semplicemente di appropriamento di denaro pubblico, è mai andato in prigione.
Il mondo può farsi anche beffe dell’Italia e i magistrati italiani possono anche provare a incarcerare Berlusconi per aver pagato prostitute minorenni, per abuso d’ufficio (Berlusconi ordinò il rilascio di una prostituta marocchina di diciassette anni che aveva chiamato il presidente del consiglio al suo numero privato da una stazione di polizia dove era stata trattenuta per taccheggio) o per aver introdotto delle leggi allo scopo di proteggersi dal sistema giuridico e allo stesso momento per aumentare il suo potere e la sua influenza, tuttavia, almeno la metà della popolazione continua a sostenerlo e ad ammirarlo per essere un furbo, un individuo che la sa sempre più lunga di tutti gli altri e che ha usato qualsiasi trucco per superare in astuzia la giustizia e scamparla alla serie di accuse di crimini. Questi includono: frode, evasione fiscale, corruzioni di giudici, associazione mafiosa, corruzione, conflitto di interessi, impedimento della giustizia, indebolimento delle istituzioni democratiche per assoggettarle ai propri interessi… solo per citarne alcuni. Un recente sondaggio ha dimostrato che il suo indice di popolarità continua a essere del 50 per cento e qualsiasi italiano vi confermerà che Berlusconi ha buonissime probabilità di essere rieletto alle prossime elezioni.
“La mia opinione è che l’Italia sia un paese politicamente immaturo, un sottosviluppato politico, una specie di fuoco di paglia del mondo sviluppato. È sbalorditivo come l’Italia, pur raggiungendo tali livelli di corruzione, continui ad avere il settimo PIL più alto del mondo (il decimo, in termini di parità di potere d’acquisto) e il sesto bilancio del mondo, ovviamente con un deficit stellare. Ma questa mancanza di equilibrio fra le nostre prodezze economiche e l’assenza di maturità politica è il risultato della nostra storia.
Non bisogna dimenticare che l’Italia è una democrazia giovane rispetto alle altre potenze occidentali e che l’unificazione del paese è avvenuta solo 130 anni fa,” racconta Clara Fiorni, una docente di storia di Milano che ha comparato la situazione politica in Italia ed in India.
“L’Italia, come l’India, è stata perennemente invasa da potenze straniere. Entrambi i nostri paesi sono penisole, protetti rispettivamente al nord dalle Alpi e dalla catena dell’Himalaya. L’India è stata costantemente sotto controllo straniero, dapprima vi furono gli Ariani, poi i Greci, successivamente i sovrani musulmani del sultanato di Delhi, i mughal, i portoghesi, gli inglesi, gli olandesi, i francesi… e il paese venne diviso in vari regni o stati indipendenti come Hyderabad, Mysore, Gwalior, ecc. Da noi fu lo stesso. All’epoca vi erano potenti città-stato come Venezia, Firenze, Genova, Pisa o Amalfi. Fummo governati dagli Asburgo spagnoli e dagli austriaci. Poi arrivarono le guerre napoleoniche dal 1796 al 1814, quando Napoleone distrusse molte parti di Venezia, incluso il grande Arsenale e rubò numerose opere d’arte rinascimentali. Quando un paese è dominato da una potenza straniera, le sole persone di cui ti puoi fidare sono i membri della tua famiglia e della tua comunità. Così ebbe inizio il nepotismo italiano. In India, l’esistenza delle caste ha lo stesso effetto.”
“L’unificazione italiana o Risorgimento, cominciò con Giuseppe Garibaldi nel 1861 e continuò fino al 1922. Ci sono volute tre guerre di indipendenza per unificare l’Italia e questo avvenne successivamente solo alla fine della prima guerra mondiale. Ma poi sopravvenne il periodo fascista con Mussolini e la moderna repubblica italiana nacque solo nel 1946, un anno prima che l’India acquisì la sua indipendenza.
Ma laddove l’India trasse beneficio, nei primi anni di esistenza come uno Stato alle prime armi, da figure autorevoli come Nehru o Patel per assicurare l’unità del paese, lo stesso non si può dire dell’Italia, dove il Vaticano e la chiesa cattolica avevano una grande influenza. Gli intellettuali italiani, come quelli francesi, furono attratti dall’ideologia marxista, a sua volta ripudiata dalla chiesa. Il partito comunista italiano sotto la guida di leader carismatici come Enrico Berlinguer, guadagnava fino al 25 percento dei voti.
“Per tenere i comunisti lontano dal potere a tutti i costi, l’orribile formula della “partitocrazia”, o governo dei partiti, prese forma. Per quasi 40 anni, fino allo scandalo del 1992 di Tangentopoli, i democratici cristiani e i socialisti con altri due piccoli partiti, guidarono il paese, con un governo che cambiava un giorno si e uno no.
La corruzione dilagava. La gente doveva tapparsi il naso quando andava a votare – così forte era il tanfo della corruzione – ma alla fine comunque votava per la coalizione dei quattro partiti, per tenere i comunisti fuori”, sostiene Fiorini.
A seguito dell’inchiesta di Mani Pulite, il presidente del consiglio socialista Bettino Craxi fuggì in Tunisia, dove morì in esilio.
Giulio Andreotti, sette volte Presidente del Consiglio, fu accusato di corruzione, omicidio e associazione mafiosa. Scampò la galera grazie alla prescrizione, un trucco usato anche da Berlusconi più volte con cui riuscì a posporre, aggiornare o ritardare i suoi processi o a trasferire i giudici.
Con l’avvento della seconda repubblica, gli italiani si aspettavano un nuovo inizio, ma furono delusi. I partiti maggiori, i cristiano- democratici, i comunisti e i socialisti, si dissolsero per creare nuove formazioni politiche. Silvio Berlusconi, passò attraverso la breccia apertasi dalla dissoluzione della Democrazia Cristiana, per formare il partito di Forza Italia e successivamente, la Casa delle Libertà. I suoi alleati naturali venivano dalla destra – il partito anti-immigrazione e xenofobo Lega Nord e il nuovo partito di Allenza Nazionale (nato dalle ceneri del partito fascista di Mussolini) guidato da Gianfranco Fini. La sinistra, in quella che è stata una delle più grandi tragedie italiane, si era scomposta in molte fazioni politiche, in continua disputa fra di loro, senza un leader e senza un programma politico da offrire agli italiani. Non c’è da sorprendersi che Berlusconi, sempre a braccetto con l’elite di destra e con la comunità imprenditoriale, rimanga così popolare malgrado le sue scorribande.
Ma i magistrati, che in Italia come in India rappresentano il bastione di difesa contro la corruzione, sono determinati a catturarlo. Essi dichiarano che sono pronti a depositare le accuse contro Berlusconi già dalla prossima settimana. Se verrà condannato per sfruttamento della prostituzione minorile e per abuso d’ufficio, Berlusconi potrebbe ritrovarsi in galera per molto tempo. Ma siccome è protetto da una legge sull’immunità, da lui stesso promulgata, egli è fuori dalla portata della giustizia.
Il noto scrittore di origini italiane Alexander Stille, ha scritto recentemente sul New York Times: “In quasi tutte le democrazie, le accuse mosse a Berlusconi avrebbero significato la fine della carriera di un politico. Ma gli italiani sono molto cinici riguardo ai loro leader politici. Credendo che ‘comunque lo fanno tutti’ è possibile convincersi del fatto che la divulgazione dei crimini e delle malefatte di Berlusconi siano un segno di persecuzione.”
Questa visione della politica italiana, continua Stille, è rafforzata dai media italiani, controllati da Berlusconi. Anche altri media non di sua proprietà sono intimiditi e soggetti alla sua influenza. Molte delle prove di questo scandalo (come pure degli scandali passati) non sono state fatte vedere nei telegiornali della televisione pubblica, che insieme ai canali che Berlusconi già controlla, costituiscono il 90 percento della quota di mercato, in un paese dove il 70-80 percento della popolazione si informa solo attraverso la televisione.
[Articolo di Politica interna, pubblicato martedì 8 febbraio 2011 in India.originale "Corruption: is Italy a step ahead?" di Vaiju Naravane]
[ traduzione di ItaliaDallEstero.info ]
I turisti indiani che tornano dalle loro vacanze europee tendono solitamente a lamentarsi della rigidità dei tedeschi, della fredda altezzosità dei francesi, dell’eccessiva parsimonia degli olandesi o del razzismo degli austriaci.
L’Italia invece provoca reazioni differenti: “Sono persone amichevoli, chiacchieroni, ospitali ed è l’unico posto in Europa dove i vegetariani possono mangiare un piatto decente. Ma ci sono anche ladri e doppiogiochisti che non ci pensano due volte a derubarti e lasciarti in mutande senza che tu te ne accorga, un po’ come i borseggiatori Bambaiya (NdT: borseggiatori di Mumbai, che si esprimono nello slang Bambaiya). Allo stesso tempo però, è come sentirsi in un luogo familiare.”
La maggior parte degli indiani confessa di sentirsi a casa in Italia: la vita è caotica, nessuno rispetta le regole, la polizia è corrotta, vi è una considerevole evasione fiscale, la mafia controlla grosse fette del territorio, il governo è incapace e i benestanti fanno una bella vita.
Quasi nessuno si prende cura dei poveri, eccetto alcune organizzazioni caritatevoli cristiane e delle ONG.
Il denaro pubblico stanziato per le vittime di disastri naturali sparisce nelle tasche di funzionari statali; il nepotismo dilaga; le case costruite per i poveri sono le prime a crollare nelle zone sismiche del meridione, poiché realizzate con materiali di scarsa qualità…
Vi suona familiare? Le analogie fra l’Italia e l’India sono impressionanti e anche sorprendenti. Basta guardare al modo di fare politica, alla corruzione nella vita pubblica percepita come convenzione sociale, alla solidità delle relazioni familiari e a come è strutturata la società.
Alla guida dell’India non abbiamo certamente un casanova vecchio e sfinito come Silvio Berlusconi, le cui nottate Bunga Bunga, feste sfarzose dove è spesso circondato da lolite minorenni, hanno suscitato senzazioni di vergogna miste a orrore. Tali comportamenti non sarebbero possibili in India per via delle regole sulla moralità pubblica e (per quello che conta) privata. Ma, come in Italia, quasi nessun politico accusato di corruzione, abuso d’ufficio o anche semplicemente di appropriamento di denaro pubblico, è mai andato in prigione.
Il mondo può farsi anche beffe dell’Italia e i magistrati italiani possono anche provare a incarcerare Berlusconi per aver pagato prostitute minorenni, per abuso d’ufficio (Berlusconi ordinò il rilascio di una prostituta marocchina di diciassette anni che aveva chiamato il presidente del consiglio al suo numero privato da una stazione di polizia dove era stata trattenuta per taccheggio) o per aver introdotto delle leggi allo scopo di proteggersi dal sistema giuridico e allo stesso momento per aumentare il suo potere e la sua influenza, tuttavia, almeno la metà della popolazione continua a sostenerlo e ad ammirarlo per essere un furbo, un individuo che la sa sempre più lunga di tutti gli altri e che ha usato qualsiasi trucco per superare in astuzia la giustizia e scamparla alla serie di accuse di crimini. Questi includono: frode, evasione fiscale, corruzioni di giudici, associazione mafiosa, corruzione, conflitto di interessi, impedimento della giustizia, indebolimento delle istituzioni democratiche per assoggettarle ai propri interessi… solo per citarne alcuni. Un recente sondaggio ha dimostrato che il suo indice di popolarità continua a essere del 50 per cento e qualsiasi italiano vi confermerà che Berlusconi ha buonissime probabilità di essere rieletto alle prossime elezioni.
“La mia opinione è che l’Italia sia un paese politicamente immaturo, un sottosviluppato politico, una specie di fuoco di paglia del mondo sviluppato. È sbalorditivo come l’Italia, pur raggiungendo tali livelli di corruzione, continui ad avere il settimo PIL più alto del mondo (il decimo, in termini di parità di potere d’acquisto) e il sesto bilancio del mondo, ovviamente con un deficit stellare. Ma questa mancanza di equilibrio fra le nostre prodezze economiche e l’assenza di maturità politica è il risultato della nostra storia.
Non bisogna dimenticare che l’Italia è una democrazia giovane rispetto alle altre potenze occidentali e che l’unificazione del paese è avvenuta solo 130 anni fa,” racconta Clara Fiorni, una docente di storia di Milano che ha comparato la situazione politica in Italia ed in India.
“L’Italia, come l’India, è stata perennemente invasa da potenze straniere. Entrambi i nostri paesi sono penisole, protetti rispettivamente al nord dalle Alpi e dalla catena dell’Himalaya. L’India è stata costantemente sotto controllo straniero, dapprima vi furono gli Ariani, poi i Greci, successivamente i sovrani musulmani del sultanato di Delhi, i mughal, i portoghesi, gli inglesi, gli olandesi, i francesi… e il paese venne diviso in vari regni o stati indipendenti come Hyderabad, Mysore, Gwalior, ecc. Da noi fu lo stesso. All’epoca vi erano potenti città-stato come Venezia, Firenze, Genova, Pisa o Amalfi. Fummo governati dagli Asburgo spagnoli e dagli austriaci. Poi arrivarono le guerre napoleoniche dal 1796 al 1814, quando Napoleone distrusse molte parti di Venezia, incluso il grande Arsenale e rubò numerose opere d’arte rinascimentali. Quando un paese è dominato da una potenza straniera, le sole persone di cui ti puoi fidare sono i membri della tua famiglia e della tua comunità. Così ebbe inizio il nepotismo italiano. In India, l’esistenza delle caste ha lo stesso effetto.”
“L’unificazione italiana o Risorgimento, cominciò con Giuseppe Garibaldi nel 1861 e continuò fino al 1922. Ci sono volute tre guerre di indipendenza per unificare l’Italia e questo avvenne successivamente solo alla fine della prima guerra mondiale. Ma poi sopravvenne il periodo fascista con Mussolini e la moderna repubblica italiana nacque solo nel 1946, un anno prima che l’India acquisì la sua indipendenza.
Ma laddove l’India trasse beneficio, nei primi anni di esistenza come uno Stato alle prime armi, da figure autorevoli come Nehru o Patel per assicurare l’unità del paese, lo stesso non si può dire dell’Italia, dove il Vaticano e la chiesa cattolica avevano una grande influenza. Gli intellettuali italiani, come quelli francesi, furono attratti dall’ideologia marxista, a sua volta ripudiata dalla chiesa. Il partito comunista italiano sotto la guida di leader carismatici come Enrico Berlinguer, guadagnava fino al 25 percento dei voti.
“Per tenere i comunisti lontano dal potere a tutti i costi, l’orribile formula della “partitocrazia”, o governo dei partiti, prese forma. Per quasi 40 anni, fino allo scandalo del 1992 di Tangentopoli, i democratici cristiani e i socialisti con altri due piccoli partiti, guidarono il paese, con un governo che cambiava un giorno si e uno no.
La corruzione dilagava. La gente doveva tapparsi il naso quando andava a votare – così forte era il tanfo della corruzione – ma alla fine comunque votava per la coalizione dei quattro partiti, per tenere i comunisti fuori”, sostiene Fiorini.
A seguito dell’inchiesta di Mani Pulite, il presidente del consiglio socialista Bettino Craxi fuggì in Tunisia, dove morì in esilio.
Giulio Andreotti, sette volte Presidente del Consiglio, fu accusato di corruzione, omicidio e associazione mafiosa. Scampò la galera grazie alla prescrizione, un trucco usato anche da Berlusconi più volte con cui riuscì a posporre, aggiornare o ritardare i suoi processi o a trasferire i giudici.
Con l’avvento della seconda repubblica, gli italiani si aspettavano un nuovo inizio, ma furono delusi. I partiti maggiori, i cristiano- democratici, i comunisti e i socialisti, si dissolsero per creare nuove formazioni politiche. Silvio Berlusconi, passò attraverso la breccia apertasi dalla dissoluzione della Democrazia Cristiana, per formare il partito di Forza Italia e successivamente, la Casa delle Libertà. I suoi alleati naturali venivano dalla destra – il partito anti-immigrazione e xenofobo Lega Nord e il nuovo partito di Allenza Nazionale (nato dalle ceneri del partito fascista di Mussolini) guidato da Gianfranco Fini. La sinistra, in quella che è stata una delle più grandi tragedie italiane, si era scomposta in molte fazioni politiche, in continua disputa fra di loro, senza un leader e senza un programma politico da offrire agli italiani. Non c’è da sorprendersi che Berlusconi, sempre a braccetto con l’elite di destra e con la comunità imprenditoriale, rimanga così popolare malgrado le sue scorribande.
Ma i magistrati, che in Italia come in India rappresentano il bastione di difesa contro la corruzione, sono determinati a catturarlo. Essi dichiarano che sono pronti a depositare le accuse contro Berlusconi già dalla prossima settimana. Se verrà condannato per sfruttamento della prostituzione minorile e per abuso d’ufficio, Berlusconi potrebbe ritrovarsi in galera per molto tempo. Ma siccome è protetto da una legge sull’immunità, da lui stesso promulgata, egli è fuori dalla portata della giustizia.
Il noto scrittore di origini italiane Alexander Stille, ha scritto recentemente sul New York Times: “In quasi tutte le democrazie, le accuse mosse a Berlusconi avrebbero significato la fine della carriera di un politico. Ma gli italiani sono molto cinici riguardo ai loro leader politici. Credendo che ‘comunque lo fanno tutti’ è possibile convincersi del fatto che la divulgazione dei crimini e delle malefatte di Berlusconi siano un segno di persecuzione.”
Questa visione della politica italiana, continua Stille, è rafforzata dai media italiani, controllati da Berlusconi. Anche altri media non di sua proprietà sono intimiditi e soggetti alla sua influenza. Molte delle prove di questo scandalo (come pure degli scandali passati) non sono state fatte vedere nei telegiornali della televisione pubblica, che insieme ai canali che Berlusconi già controlla, costituiscono il 90 percento della quota di mercato, in un paese dove il 70-80 percento della popolazione si informa solo attraverso la televisione.
[Articolo di Politica interna, pubblicato martedì 8 febbraio 2011 in India.originale "Corruption: is Italy a step ahead?" di Vaiju Naravane]
[ traduzione di ItaliaDallEstero.info ]
Per non dimenticare
Al Presidente della Comunità del Parco del Vesuvio -
Sindaco Giuseppe CAPASSO
Comune di S. Sebastiano al Vesuvio (NA)
pc Al Presidente del Parco nazionale del Vesuvio
Sede di Ottaviano (NA)
pc Ai Sindaci del Parco nazionale del Vesuvio
Sindaco Giuseppe CAPASSO
Comune di S. Sebastiano al Vesuvio (NA)
pc Al Presidente del Parco nazionale del Vesuvio
Sede di Ottaviano (NA)
pc Ai Sindaci del Parco nazionale del Vesuvio
Oggetto: Convocazione urgente Comunità del Parco .
Il Comitato Cittadino di Boscotrecase,
- visto il perpetuarsi per ancora molti mesi dello sversamento dei RSU in discarica ex Sari nel Parco nazionale del Vesuvio;
- considerato che allo stato non è ancora ipotizzabile una concreta alternativa all’utilizzo “illegittimo” dell’area protetta come sede di discarica, come sottolineato più volte dalla Comunità del Parco e come sanzionato dalla UE;
- rilevato l’assenza completa di un piano certo del ciclo di rifiuti come prevedono le leggi comunitarie e, vista l’enorme discrepanza tra gli stessi comuni del Parco in tema di RD sia quantitativa che qualitativa;
- nell’interesse delle popolazioni vesuviane ricadenti nell’area protetta e nell’ottica di una obbligatoria tutela ambientale e della salute pubblica
la SV a raccogliere la proposta di convocare con urgenza l’Assemblea della Comunità del Parco nazionale del Vesuvio c/o la sede istituzionale dell’Ente, in uno con la Presidenza e con la Direzione dell’Ente Parco, coinvolgendo i cinque Comuni associati alla “zona rossa” e autorizzati a conferire in discarica ex Sari, onde promuovere una forte iniziativa comune tesa a programmare un ciclo integrato del trattamento dei RSU dei Comuni di cui sopra che possa consentire un’azione consortile stabile e duratura che preveda un trattamento a monte il più differenziato possibile onde evitare di ricadere prossimamente in una ennesima, prevista emergenza.
Tenuto conto che nell’area del Parco nazionale del Vesuvio non deve essere previsto alcuna ipotesi, peraltro improvvidamente paventata, di trattamento di qualsivoglia tipologia di rifiuti a cui, come Comitati, ci opporremmo con tutte le nostre forze, ci rendiamo da subito disponibili a supportare qualunque iniziativa che veda le amministrazioni in oggetto concorrere a un ciclo virtuoso dei RSU a partire dalla riduzione a monte, dall’organizzazione di isole ecologiche per il riciclo e il riuso, l’organizzazione di un’area di compostaggio nelle aree lontane dal Parco, verificare le filiere dei vari consorzi di riciclo e affrontare il tema dello smaltimento della frazione residuale secca indifferenziata o attuando protocolli “zero waste”come sottoscritto da alcuni comuni o indirizzando tale tipologia di rifiuto c/o strutture di TMM anche fuori regione, tenendo conto che una siffatta progettualità che a noi piace chiamare “modello Terzigno” consentirà di ridurre il più possibile i danni al territorio ed alla salute delle nostre popolazioni eliminando di fatto, l’utilizzo della discarica .
Tale proposta consentirebbe da subito programmare le necessarie bonifiche dell’intero territorio, previste per legge e non ancora poste in essere.
In attesa di un pronto riscontro
Porgiamo distinti saluti.
- visto il perpetuarsi per ancora molti mesi dello sversamento dei RSU in discarica ex Sari nel Parco nazionale del Vesuvio;
- considerato che allo stato non è ancora ipotizzabile una concreta alternativa all’utilizzo “illegittimo” dell’area protetta come sede di discarica, come sottolineato più volte dalla Comunità del Parco e come sanzionato dalla UE;
- rilevato l’assenza completa di un piano certo del ciclo di rifiuti come prevedono le leggi comunitarie e, vista l’enorme discrepanza tra gli stessi comuni del Parco in tema di RD sia quantitativa che qualitativa;
- nell’interesse delle popolazioni vesuviane ricadenti nell’area protetta e nell’ottica di una obbligatoria tutela ambientale e della salute pubblica
si invita
la SV a raccogliere la proposta di convocare con urgenza l’Assemblea della Comunità del Parco nazionale del Vesuvio c/o la sede istituzionale dell’Ente, in uno con la Presidenza e con la Direzione dell’Ente Parco, coinvolgendo i cinque Comuni associati alla “zona rossa” e autorizzati a conferire in discarica ex Sari, onde promuovere una forte iniziativa comune tesa a programmare un ciclo integrato del trattamento dei RSU dei Comuni di cui sopra che possa consentire un’azione consortile stabile e duratura che preveda un trattamento a monte il più differenziato possibile onde evitare di ricadere prossimamente in una ennesima, prevista emergenza.
Tenuto conto che nell’area del Parco nazionale del Vesuvio non deve essere previsto alcuna ipotesi, peraltro improvvidamente paventata, di trattamento di qualsivoglia tipologia di rifiuti a cui, come Comitati, ci opporremmo con tutte le nostre forze, ci rendiamo da subito disponibili a supportare qualunque iniziativa che veda le amministrazioni in oggetto concorrere a un ciclo virtuoso dei RSU a partire dalla riduzione a monte, dall’organizzazione di isole ecologiche per il riciclo e il riuso, l’organizzazione di un’area di compostaggio nelle aree lontane dal Parco, verificare le filiere dei vari consorzi di riciclo e affrontare il tema dello smaltimento della frazione residuale secca indifferenziata o attuando protocolli “zero waste”come sottoscritto da alcuni comuni o indirizzando tale tipologia di rifiuto c/o strutture di TMM anche fuori regione, tenendo conto che una siffatta progettualità che a noi piace chiamare “modello Terzigno” consentirà di ridurre il più possibile i danni al territorio ed alla salute delle nostre popolazioni eliminando di fatto, l’utilizzo della discarica .
Tale proposta consentirebbe da subito programmare le necessarie bonifiche dell’intero territorio, previste per legge e non ancora poste in essere.
In attesa di un pronto riscontro
Porgiamo distinti saluti.
Comitato Cittadino Boscotrecase
martedì 15 febbraio 2011
Ospedale Maresca, giornata di tensione a Napoli
da lo strillone - Martedi 15 Febbraio 2011
La richiesta di salvare l´ospedale Maresca di Torre del Greco (Napoli) è arrivata a Napoli, in una giornata di tensioni e blocchi del traffico. Quindici pullman partiti questa mattina dal parcheggio Nassiriya di via Marconi e transitati anche nelle vicine Ercolano, Portici e San Giorgio a Cremano, hanno condotto circa 500 persone nel capoluogo campano, persone che dalle 11 - dopo un breve corteo passato per via Acton e che ha creato diverse ripercussioni sulla viabilità - hanno manifestato all´esterno della sede della Regione Campania in via Santa Lucia. Fischietti, cartelli e striscioni, i manifestanti hanno chiesto con insistenza un incontro urgente con il governatore, Stefano Caldoro. Molto coloriti alcuni cartellini, come particolare è risultata l´idea di portare tante croci con i nomi dei presunti "colpevoli" del declassamento del nosocomio torrese, nomi seguita dalla scritta "ci hai messo in croce". Il mancato accoglimento dell´istanza dei dimostranti ha portato, poco dopo mezzogiorno, ad una nuova protesta dei cittadini dell´area vesuviana, che hanno deciso di occupare il lungomare di Napoli. Una protesta durata quasi un´ora con il traffico paralizzato nella zona e lungo le arterie limitrofe. La calma è tornata solo quando è stata data notizia che i rappresentanti della Regione avrebbero incontrato una delegazione dei cittadini aderenti al comitato ´Pro Maresca´. A dare l´annuncio è stato Gennaro Torrese, presidente dell´ordine degli avvocati di Torre Annunziata e portavoce del comitato. Solo dopo le 13 i manifestanti hanno lasciato il lungomare per ritornare a protestare all´esterno della Regione. Nel pomeriggio l´incontro con il subcommissario alla Sanità campana, Giuseppe Zuccatelli: "Un colloquio nel quale abbiamo evidenziato le nostre perplessità - afferma Torrese - visto che l´incarico di Zuccatelli si esaurirà ufficialmente il prossimo 20 febbraio. Ciò nonostante, riteniamo prezioso l´apporto dato dal subcommissario, che innanzitutto ha ascoltato le nostre perplessità circa la chiusura del Maresca, ospedale che insiste in un territorio che conta oltre 300mila abitanti. E da Zuccatelli, ed è la prima volta che ascoltiamo una cosa del genere, è venuta la piena solidarietà ai manifestanti e la condivisione delle nostre esigenze". E´ stato lo stesso Zuccatelli a farsi promotore di un sollecito verso il presidente della Regione, Stefano Caldoro "affinché - sottolinea ancora il portavoce del comitato Pro Maresca - incontri al più presto una delegazione dei manifestanti. Persone che, va sottolineato, da quattro mesi occupano in segno di protesta il quarto piano del Maresca. Insomma, gente motivata a fare valere le proprie ragioni in ogni sede. Siamo disposti ad aspettare 48 ore, tempo entro il quale attendiamo aggiornamenti da parte dell´ente di Santa Lucia. Scaduto questo limite, siamo pronti a nuove forma di protesta contro il costante depotenziamento e il rischio di una chiusura definitiva del nosocomio di Torre del Greco".
Boato
Sono le 23.50 circa a Torre del Greco del 15 febbraio 2011. Suono. Boato. In lontananza, un esplosione. Un petardo, penso. Una bomba a Reccia, mi dicono. Cazzo, penso. Non è possibile avere sempre lo stesso incubo.
15 modi per ridurre il nostro fabbisogno quotidiano di petrolio
La recente marea nera che ha colpito la costa e il tratto di mare antistante Porto Torres, a pochissimi mesi di distanza dal disastro ambientale del Golfo del Messico, ha tristemente riportato alla ribalta il problema delle fuoriuscite di greggio o in generale carburanti fossili e della necessità di difendere l’ambiente dalle attività umane, dalla superficialità e dall’incuria.
Se è doveroso investire sulla prevenzione e pretendere la messa in sicurezza di stabilimenti industriali e navi adibite al trasporto del petrolio, è anche giusto che ciascuno di noi si faccia un esame di coscienza e si impegni a ridurre i propri consumi. Come? Utilizzando delle alternative ai prodotti a base di petrolio ogni volta in cui ciò è possibile e ricordando che la tutela dell’ambiente dipende non solo dai grandi gesti ma anche dalla somma di tanti comportamenti individuali.
Ecco quindi 15 piccoli suggerimenti per provare contenere il consumo di petrolio e derivati nella nostra vita quotidiana:
1. Spegnete la vostra auto e parcheggiatela. Camminate, andate in bici, usufruite dei mezzi pubblici oppure scegliete soluzioni pratiche, a basso consumo e a basso costo, come il car pooling e il car sharing.
2. Se siete così fortunati da avere un cortile o un giardino tutto per voi, popolatelo di alberi, piante, fiori e arbusti, in modo da renderlo più bello e ridurre il più possibile l’estensione di prato da tagliare periodicamente.
3. Se poi avete comunque necessità di rasare il vostro prato, preferite un tosaerba manuale: farete più fatica, certo, ma consumerete molto meno, tonificherete i vostri muscoli e non contribuirete all’inquinamento acustico!
4. Cercate di evitare di acquistare oggettistica, complementi di arredo, stoviglie e giocattoli in plastica. E, se proprio non potete farne a meno, puntate almeno sulla plastica riciclata.
5. Evitate di usare i sacchetti di plastica (che sì, sono stati banditi dal 1° gennaio 2011, ma sono ancora presenti in molti negozi fino ad esaurimento scorte) e sostituiteli con delle borse in tela, riutilizzabili e lavabili.
6. Passate dagli inchiostri derivati dal petrolio agli inchiostri di soia.
7. Evitate i prodotti in nylon e poliestere, sia quando si tratta di oggettistica che per quanto riguarda l’abbigliamento. Sostituiteli, ogni volta in cui è possibile, con tessuti organici o materiali riciclati (ad esempio, potete scegliere delle valigie in plastica riciclata e acquistare abiti in fibra naturale).
8. State pensando di costruire un tetto nuovo per la vostra casa? Preferite tegole, legno o metallo al catrame. E magari installate anche dei pannelli fotovoltaici, per fare fronte in modo autonomo ed eco-compatibile al fabbisogno energetico della vostra routine domestica.
9. È arrivato il momento di ristrutturare il bagno di casa? Scegliete una cabina in vetro per la vostra doccia, in modo da non dover usare delle tende di plastica.
10. Dovete tinteggiare le pareti della vostra camera o del salotto? Optate per delle vernici ecologiche, che non contengano derivati dal petrolio e sostanze nocive per la salute.
11. Quando fate le pulizie, abituatevi a lucidare i pavimenti della vostra casa con la cera d’api anziché con cere commerciali a base di petrolio, in modo da ottenere un risultato splendente e al 100% green.
12. Se avete a cuore sia il vostro charme che il destino del pianeta, tenetevi lontani da profumi prodotti con derivati del petrolio e optate sempre per profumazioni naturali a base di oli essenziali (leggi il nostro articolo sui profumi biologici)
13. Per la cura e l’estetica delle vostre labbra, preferite rossetti ecologici, evitando i prodotti a base di petrolio che si trovano comunemente in commercio: sarete ugualmente belle e molto più “naturali”.
14. Che siate miopi, astigmatici, ipermetropi o quant’altro, preferite gli occhiali alle lenti a contatto usa e getta: certo, anche le lenti degli occhiali sono a base di derivati del petrolio, ma sono utilizzabili molto più a lungo, senza il bisogno di essere sostituite di continuo.
15. E, infine, non cambiate il vostro colore naturale di capelli. Se proprio volete variare il vostro look, scegliete colorazioni naturali, come ad esempio l’henné.
Lisa Vagnozzi - greenme.it
lunedì 14 febbraio 2011
venerdì 11 febbraio 2011
Commovente
Stamattina ho cominciato a vedere la puntata del 06 febbraio 2011 del programma "Presa diretta", di Riccardo Iacona. La puntata ha per titolo "Spazzatura" ed è incentrata sulla Campania in-felix. Commoventi gli interventi di Raffaele Del Giudice, che ha una forza e un coraggio incredibili. Lo consiglio a tutti, specialmente ai professori e professoresse, che dovrebbero proiettarlo nelle scuole in loop!
mercoledì 9 febbraio 2011
Verso la fine della democrazia
La dittatura della merda.
E le profezie de "Il Caimano"
Percolato, Pierobon: “gli uomini di Bertolaso lavoravano così”
Alberto Pierobon nel 2007 è stato per due mesi subcommissario a Napoli: «Questo disastro ambientale è la conseguenza della strategia del Commissariato di governo».
Nel commissariato per l’emergenza rifiuti a Napoli, Alberto Pierobon ci è durato appena 60 giorni. Il ministro Alfonso Pecoraro Scanio, su pressione di esperti e magistrati, lo aveva imposto a Bertolaso come subcommissario con la delega alla raccolta differenziata. Scelta quasi obbligata. Nel campo, Alberto Pierobon rappresentava all’epoca una delle punte di eccellenza: da direttore generale del Consorzio Treviso tre aveva raggiunto punte di riciclo che arrivavano all’80 per cento.
Nominato sub commissario, ha avuto il torto di non trasformarsi in un soldatino di Bertolaso. Ha provato a lanciare la raccolta differenziata dal basso, coinvolgendo il prete anticamorra Luigi Merola e Alex Zanotelli, provando dunque la strada della sensibilizzazione diretta dei quartieri popolari. Gli uomini dell’ex capo della Protezione civile a Napoli lo hanno ripagato con la massima ostilità. «Ero costretto a usare il mio computer e il mio telefono, mi escludevano dalla riunioni più importanti. A loro apparivo come un marziano rompiballe», racconta Pierobon.
La storia del percolato in mare non lo stupisce più tanto. «C’erano dei segnali inequivocabili, l’emergenza percolato era sotto gli occhi di tutti. Basta pensare all’immagine di Raffaele Del Giudice che nel documentario Biutiful Cauntri lancia la pietra in un lago di percolato. Ma Bertolaso funzionava un po’ da salvacondotto. I dirigenti del Commissariato questo lo sapevano e per questo si sentivano superpotetti», racconta l’ex subcommissario. Sulla questione del rifiuto liquido, che all’epoca era ormai fuori controllo nelle discariche costruite dal Commissariato, aveva anche proposto una soluzione a Bertolaso: «Gli spiegai che esistevano degli impianti mobili di trattamento del percolato, utilizzati soprattutto dalle aziende francesi. Mi offrii anche per organizzare un incontro con il direttore di una di queste ditte. Ma la proposta cadde nel vuoto, non la prese nessuno in considerazione».
A suo avviso il percolato a mare è la diretta conseguenza della strategia complessiva. «Non si può pensare di risolvere il problema solo con i buchi e i termovalorizzatori. L’assillo era togliere i rifiuti dalle strade, non importava come».
SITI CORRELATI
http://www.9online.it/blog_emergenza_archivio/2009/08/18/zanotelli-gestione-rifiuti-in-campania-atto-criminale/
http://www.9online.it/blog_emergenzarifiuti/2011/02/01/percolato-in-mare-gli-indagati-avevamo-fretta-di-liberarcene/
http://www.9online.it/blog_emergenza_archivio/2009/04/01/viaggio-nella-biutiful-cauntri/
http://www.9online.it/blog_emergenzarifiuti/2011/01/31/villaricca-la-fonte-dove-zampilla-il-percolato/
http://www.9online.it/blog_emergenzarifiuti/2011/01/31/inchiesta-percolato-lectio-magistralis-di-disastro-ambientale/
http://www.9online.it/blog_emergenzarifiuti/2010/11/24/nuovo-decreto-rifiuti-legambiente-leredita-di-percolaso/
http://www.9online.it/blog_emergenzarifiuti/2010/02/11/emergenza-permesso-di-aggirare-le-leggi/
Pubblicato da Comitato Cittadino Boscotrecase
Nel commissariato per l’emergenza rifiuti a Napoli, Alberto Pierobon ci è durato appena 60 giorni. Il ministro Alfonso Pecoraro Scanio, su pressione di esperti e magistrati, lo aveva imposto a Bertolaso come subcommissario con la delega alla raccolta differenziata. Scelta quasi obbligata. Nel campo, Alberto Pierobon rappresentava all’epoca una delle punte di eccellenza: da direttore generale del Consorzio Treviso tre aveva raggiunto punte di riciclo che arrivavano all’80 per cento.
Nominato sub commissario, ha avuto il torto di non trasformarsi in un soldatino di Bertolaso. Ha provato a lanciare la raccolta differenziata dal basso, coinvolgendo il prete anticamorra Luigi Merola e Alex Zanotelli, provando dunque la strada della sensibilizzazione diretta dei quartieri popolari. Gli uomini dell’ex capo della Protezione civile a Napoli lo hanno ripagato con la massima ostilità. «Ero costretto a usare il mio computer e il mio telefono, mi escludevano dalla riunioni più importanti. A loro apparivo come un marziano rompiballe», racconta Pierobon.
La storia del percolato in mare non lo stupisce più tanto. «C’erano dei segnali inequivocabili, l’emergenza percolato era sotto gli occhi di tutti. Basta pensare all’immagine di Raffaele Del Giudice che nel documentario Biutiful Cauntri lancia la pietra in un lago di percolato. Ma Bertolaso funzionava un po’ da salvacondotto. I dirigenti del Commissariato questo lo sapevano e per questo si sentivano superpotetti», racconta l’ex subcommissario. Sulla questione del rifiuto liquido, che all’epoca era ormai fuori controllo nelle discariche costruite dal Commissariato, aveva anche proposto una soluzione a Bertolaso: «Gli spiegai che esistevano degli impianti mobili di trattamento del percolato, utilizzati soprattutto dalle aziende francesi. Mi offrii anche per organizzare un incontro con il direttore di una di queste ditte. Ma la proposta cadde nel vuoto, non la prese nessuno in considerazione».
A suo avviso il percolato a mare è la diretta conseguenza della strategia complessiva. «Non si può pensare di risolvere il problema solo con i buchi e i termovalorizzatori. L’assillo era togliere i rifiuti dalle strade, non importava come».
SITI CORRELATI
http://www.9online.it/blog_emergenza_archivio/2009/08/18/zanotelli-gestione-rifiuti-in-campania-atto-criminale/
http://www.9online.it/blog_emergenzarifiuti/2011/02/01/percolato-in-mare-gli-indagati-avevamo-fretta-di-liberarcene/
http://www.9online.it/blog_emergenza_archivio/2009/04/01/viaggio-nella-biutiful-cauntri/
http://www.9online.it/blog_emergenzarifiuti/2011/01/31/villaricca-la-fonte-dove-zampilla-il-percolato/
http://www.9online.it/blog_emergenzarifiuti/2011/01/31/inchiesta-percolato-lectio-magistralis-di-disastro-ambientale/
http://www.9online.it/blog_emergenzarifiuti/2010/11/24/nuovo-decreto-rifiuti-legambiente-leredita-di-percolaso/
http://www.9online.it/blog_emergenzarifiuti/2010/02/11/emergenza-permesso-di-aggirare-le-leggi/
Pubblicato da Comitato Cittadino Boscotrecase
martedì 8 febbraio 2011
Guerrilla Gardening esplosivo: il boom delle bombe-seme
Il gesto è lo stesso. Stringere con forza la bomba nella mano, far fare al braccio mezzo giro indietro, prendere lo slancio e tirare. Nulla di più semplice. Se non fosse che in questo caso l’obiettivo non è quello di uccidere un nemico situato a poche centinaia di metri, ma far crescere un fiore in quello stesso angolo della strada.
Pamela Pelatelli - greenme.it
L’oggetto del misunderstanding sono delle sorte di bombe a mano dallo spirito pacifico: le chiamano bombe-seme e stanno velocemente spopolando tra i guerrilla gardeners di tutto il mondo. Sotto un guscio duro di argilla essiccata si nasconde della semplice terra nella quale sono già stati messi dei semi che una settimana dopo lo scoppio inizieranno a germogliare.
Le più chic per il momento sono le Flower Granade, prodotte una coppia di designer inglesi per Suck UK. Tony Nguyen e Snowhome si sono cimentati nella fedele ricostruzione della forma di una mina che brillando fa fuoriuscire solo una mini aiuola di terra.
Per somiglianza all’originale seguono le bombe seme di Kabloom. Sembrano granate colorate ma in realtà sono realizzate in fogli di carta assemblati.
Poi ci sono quelle che tengono meno alle similitudini con le cugine cattive e al contrario sono distribuite come se fossero caramelle, attraverso appositi distributori di fronte ai bar e ai locali. Accade negli Stati Uniti dove un altro gruppo di giovani creativi con il pollice verde ha disseminato in giro per la città di Los Angeles le macchinette distributrici di palline di argilla contenenti semi di vari fiori.
Nata dalla collaborazione tra The COMMONstudio e Greenaid for Change , l’iniziativa si chiama “Change for Change” , cambia per cambiare in sostanza. Una doppia sfida, quella che viene posta all’incauto acquirente che, invece di infilarsi la caramella in bocca, può optare per un momento da leone nella giungla metropolitana compiendo il suo gesto da vero guerrilla gardener.
Essere un guerrigliero del verde, del resto, non richiede un’enorme dose aggiuntiva di coraggio. A volte basta essere stanchi di vedere attorno solo distese di cemento e pensare che lì dove c’è un’intercapedine nell’asfalto potrebbe nascere un fiore. I primi rivoluzionari in materia sono stati i civilissimi cittadini newyorkesi che a un certo punto si impossessarono di un angolo tra la Bowery e la Houston Street facendolo diventare un giardino tuttora entrato a pieno titolo tra le aree verdi della città.
In Italia i guerriglieri del verde hanno cominciato ad attivarsi da pochi anni. Il primo gesto di un certo peso che si ricorda è stato quello del gruppo Badili Badiola in un'aiuola di Torino nel 2007. Oggi sono più diffusi e votati a coinvolgere la popolazione in azioni dal respiro collettivo. E’ per queste rivoluzioni non violente che la bomba seme calza a pennello. Recentemente un’associazione sarda Marrai A Fura ha realizzato la prima macchinetta che distribuisce bombe-seme. Chiusi in un involucro di terra cruda, si trovano calendula, nasturzium, astro, fiori di roccia e altri semi ad alta germinabilità. La biodiversità racchiusa tutta in un’esplosione.
Ma non basta gettare con forza la bomba a terra o su un angolo della strada. Il vero guerrigliero innanzitutto si muove quando scende la sera, munito di innaffiatoio e zappetta per sistemare la terra. Torna poi sul luogo del delitto nelle serate successive a verificare se la terra sta reagendo bene fino a vedere quando il primo germoglio prende coraggio e viene fuori.
Tutti quindi possono essere battaglieri soldati di questa guerra urbana. Si può cominciare producendo in casa le stesse bombe seme. Basta avere a disposizione dell’argilla, del terriccio e dei semi di fiori. Si prende l’argilla e la si modella fino a renderla della forma di un disco sottile. Si appoggia sulla mano e si aggiunge terra insieme con i semi della pianta che preferite. Si chiude il disco all’estremità, facendo aderire tutte le parti e si buca la pallina così ottenuta con una cannuccia per agevolare l’esplosione. In alternativa, se non avete tempo o voglia di cimentarvi nel fai-da-te, potreste pensare di acquistarle già fatte sul sito Esty: al costo di 7 dollari più spese di spedizione riceverete a casa 30 coloratissime bombe seme fatte a mano.
Ora siete pronti a disperdervi per le vie più grigie delle vostre città e trasformarle in improvvisi piccoli eden.
Le più chic per il momento sono le Flower Granade, prodotte una coppia di designer inglesi per Suck UK. Tony Nguyen e Snowhome si sono cimentati nella fedele ricostruzione della forma di una mina che brillando fa fuoriuscire solo una mini aiuola di terra.
Per somiglianza all’originale seguono le bombe seme di Kabloom. Sembrano granate colorate ma in realtà sono realizzate in fogli di carta assemblati.
Poi ci sono quelle che tengono meno alle similitudini con le cugine cattive e al contrario sono distribuite come se fossero caramelle, attraverso appositi distributori di fronte ai bar e ai locali. Accade negli Stati Uniti dove un altro gruppo di giovani creativi con il pollice verde ha disseminato in giro per la città di Los Angeles le macchinette distributrici di palline di argilla contenenti semi di vari fiori.
Nata dalla collaborazione tra The COMMONstudio e Greenaid for Change , l’iniziativa si chiama “Change for Change” , cambia per cambiare in sostanza. Una doppia sfida, quella che viene posta all’incauto acquirente che, invece di infilarsi la caramella in bocca, può optare per un momento da leone nella giungla metropolitana compiendo il suo gesto da vero guerrilla gardener.
Essere un guerrigliero del verde, del resto, non richiede un’enorme dose aggiuntiva di coraggio. A volte basta essere stanchi di vedere attorno solo distese di cemento e pensare che lì dove c’è un’intercapedine nell’asfalto potrebbe nascere un fiore. I primi rivoluzionari in materia sono stati i civilissimi cittadini newyorkesi che a un certo punto si impossessarono di un angolo tra la Bowery e la Houston Street facendolo diventare un giardino tuttora entrato a pieno titolo tra le aree verdi della città.
In Italia i guerriglieri del verde hanno cominciato ad attivarsi da pochi anni. Il primo gesto di un certo peso che si ricorda è stato quello del gruppo Badili Badiola in un'aiuola di Torino nel 2007. Oggi sono più diffusi e votati a coinvolgere la popolazione in azioni dal respiro collettivo. E’ per queste rivoluzioni non violente che la bomba seme calza a pennello. Recentemente un’associazione sarda Marrai A Fura ha realizzato la prima macchinetta che distribuisce bombe-seme. Chiusi in un involucro di terra cruda, si trovano calendula, nasturzium, astro, fiori di roccia e altri semi ad alta germinabilità. La biodiversità racchiusa tutta in un’esplosione.
Ma non basta gettare con forza la bomba a terra o su un angolo della strada. Il vero guerrigliero innanzitutto si muove quando scende la sera, munito di innaffiatoio e zappetta per sistemare la terra. Torna poi sul luogo del delitto nelle serate successive a verificare se la terra sta reagendo bene fino a vedere quando il primo germoglio prende coraggio e viene fuori.
Tutti quindi possono essere battaglieri soldati di questa guerra urbana. Si può cominciare producendo in casa le stesse bombe seme. Basta avere a disposizione dell’argilla, del terriccio e dei semi di fiori. Si prende l’argilla e la si modella fino a renderla della forma di un disco sottile. Si appoggia sulla mano e si aggiunge terra insieme con i semi della pianta che preferite. Si chiude il disco all’estremità, facendo aderire tutte le parti e si buca la pallina così ottenuta con una cannuccia per agevolare l’esplosione. In alternativa, se non avete tempo o voglia di cimentarvi nel fai-da-te, potreste pensare di acquistarle già fatte sul sito Esty: al costo di 7 dollari più spese di spedizione riceverete a casa 30 coloratissime bombe seme fatte a mano.
Ora siete pronti a disperdervi per le vie più grigie delle vostre città e trasformarle in improvvisi piccoli eden.
Pamela Pelatelli - greenme.it
lunedì 7 febbraio 2011
Ospedale Maresca, manifestazione presso la sede della Regione
Lunedi 7 Febbraio 2011 ore 20:17
Una grande manifestazione all´esterno di palazzo Santa Lucia, sede della Regione Campania, per chiedere di salvare l´ospedale Maresca di Torre del Greco. E´ quanto deciso nel corso di un´assemblea pubblica svoltasi questo pomeriggio nella centrale piazza Santa Croce del comune vesuviano e alla quale hanno preso parte quasi 300 persone, tra le quali donne e ragazzi del comitato spontaneo Pro-Maresca che da quattro mesi occupano parte del nosocomio. La manifestazione, negli intendimenti degli organizzatori, si svolgerà martedì 15 febbraio e coinvolgerà - oltre ai rappresentanti del comitato - anche politici, avvocati dell´ordine di Torre Annunziata, Chiesa e rappresentanti di associazioni e comitati di quartiere. Scopo della manifestazione è quella di incontrare il governatore Stefano Caldoro e il delegato alla Sanità per la Regione Campania, Raffaele Calabrò, per evitare l´ulteriore declassamento del Maresca e in particolare che anche il reparto di Gastroenterologia e il pronto soccorso siano trasferiti dall´ospedale di Torre del Greco in un´altra struttura sanitaria.
da Lo strillone.it
Una grande manifestazione all´esterno di palazzo Santa Lucia, sede della Regione Campania, per chiedere di salvare l´ospedale Maresca di Torre del Greco. E´ quanto deciso nel corso di un´assemblea pubblica svoltasi questo pomeriggio nella centrale piazza Santa Croce del comune vesuviano e alla quale hanno preso parte quasi 300 persone, tra le quali donne e ragazzi del comitato spontaneo Pro-Maresca che da quattro mesi occupano parte del nosocomio. La manifestazione, negli intendimenti degli organizzatori, si svolgerà martedì 15 febbraio e coinvolgerà - oltre ai rappresentanti del comitato - anche politici, avvocati dell´ordine di Torre Annunziata, Chiesa e rappresentanti di associazioni e comitati di quartiere. Scopo della manifestazione è quella di incontrare il governatore Stefano Caldoro e il delegato alla Sanità per la Regione Campania, Raffaele Calabrò, per evitare l´ulteriore declassamento del Maresca e in particolare che anche il reparto di Gastroenterologia e il pronto soccorso siano trasferiti dall´ospedale di Torre del Greco in un´altra struttura sanitaria.
da Lo strillone.it
domenica 6 febbraio 2011
L'Ospedale Maresca non si tocca!
Solo la grande mobilitazione dei cittadini è riuscita a bloccare il progetto di smantellamento dell'ospedale Maresca, ke è aperto sia pure con i limiti e le gravi carenze ke conosciamo.
Tuttavia, negli ultimi tempi stanno riprendendo forza le spinte per la chiusura dell'ospedale. In tal senso va la decisione di chiudere e trasferire uno dei reparti cardine, la gastroenterologia.
Per sventare questa manovra e rilanciare con forza la lotta per mantere aperto e funzionante il nostro ospedale, serve oggi la partecipazione di tutti i cittadini.
E' una battaglia che possiamo e dobbiamo vincere.
Invitiamo associazioni, comitati di quartiere, partiti politici, cittadini a partecipare alla manifestazione che si terrà il 7 febbraio alle ore 17,30 in Piazza Santa Croce.
F.to Comtato Pro Maresca
Tuttavia, negli ultimi tempi stanno riprendendo forza le spinte per la chiusura dell'ospedale. In tal senso va la decisione di chiudere e trasferire uno dei reparti cardine, la gastroenterologia.
Per sventare questa manovra e rilanciare con forza la lotta per mantere aperto e funzionante il nostro ospedale, serve oggi la partecipazione di tutti i cittadini.
E' una battaglia che possiamo e dobbiamo vincere.
Invitiamo associazioni, comitati di quartiere, partiti politici, cittadini a partecipare alla manifestazione che si terrà il 7 febbraio alle ore 17,30 in Piazza Santa Croce.
F.to Comtato Pro Maresca
sabato 5 febbraio 2011
I killer dell'economia
Come spiegare il capitalismo di rapina in 2 minuti...
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
John Perkins (Hanover, 28 gennaio 1945) è un economista e saggista statunitense.
Fece parte dei Volontari dei Peace Corps in Ecuador nel 1968-1970 e questa esperienza lo condusse nel mondo dell'economia e della scrittura. Il suo libro più conosciuto è "Confessions of an Economic Hit Man" (2004) pubblicato da Minimum fax nel 2005 e in una nuova collana nel 2010 con il titolo "Confessioni di un sicario dell'economia - La costruzione dell'impero americano nel racconto di un insider" (www.minimumfax.com), che rappresenta una straordinaria testimonianza di come un "pezzo" di potere politico ed economico americano abbia pianificato e praticato lo sfruttamento dei paesi, cosiddetti in "via di sviluppo", dall'America Latina all'Indonesia, attraverso una nuova forma di colonialismo che al potere delle armi, antepone quello della finanza e dei "progetti di sviluppo". Il suo successivo libro del 2007 La storia segreta dell'Impero Americano fornisce ulteriori prove dell'impatto negativo della globalizzazione intesa in senso imperialista da parte delle Corporazioni di tipo Multinazionale sull'economia e sull'ecologia di paesi pesantemente indebitati soprattutto del Sud del mondo. Il suo lavoro più recente è Hoodwinked: An Economic Hit Man Reveals Why the World Financial Markets Imploded – and What We Need to Do to Remake Them (2010).
John Perkins (Hanover, 28 gennaio 1945) è un economista e saggista statunitense.
Fece parte dei Volontari dei Peace Corps in Ecuador nel 1968-1970 e questa esperienza lo condusse nel mondo dell'economia e della scrittura. Il suo libro più conosciuto è "Confessions of an Economic Hit Man" (2004) pubblicato da Minimum fax nel 2005 e in una nuova collana nel 2010 con il titolo "Confessioni di un sicario dell'economia - La costruzione dell'impero americano nel racconto di un insider" (www.minimumfax.com), che rappresenta una straordinaria testimonianza di come un "pezzo" di potere politico ed economico americano abbia pianificato e praticato lo sfruttamento dei paesi, cosiddetti in "via di sviluppo", dall'America Latina all'Indonesia, attraverso una nuova forma di colonialismo che al potere delle armi, antepone quello della finanza e dei "progetti di sviluppo". Il suo successivo libro del 2007 La storia segreta dell'Impero Americano fornisce ulteriori prove dell'impatto negativo della globalizzazione intesa in senso imperialista da parte delle Corporazioni di tipo Multinazionale sull'economia e sull'ecologia di paesi pesantemente indebitati soprattutto del Sud del mondo. Il suo lavoro più recente è Hoodwinked: An Economic Hit Man Reveals Why the World Financial Markets Imploded – and What We Need to Do to Remake Them (2010).
venerdì 4 febbraio 2011
Gli USA affermano che le mafie italiane aiutano il terrorismo
Secondo i cablogrammi di Wikileaks, l’FBI ritiene che il denaro della droga di ‘Ndrangheta e Camorra finanzi gruppi armati in Afghanistan e in Colombia. – La diplomazia degli Stati Uniti elaborò nel 2008 un piano per aiutare l’Italia a combattere la criminalità organizzata
I diplomatici degli Stati Uniti in Italia ritengono che le tre mafie italiane, Cosa Nostra, Ndrangheta e Camorra, rappresentino “la maggior minaccia per lo sviluppo economico del sud Italia” e costituiscano un pericoloso e potente “sindacato del crimine” contro cui è necessario combattere con “maggior efficacia” poiché, fra le altre attività, “aiutano gruppi terroristici in Colombia e Afghanistan attraverso il traffico di droga, impediscono lo sviluppo del sud Italia, stravolgono i mercati, violano i diritti d’autore e delle aziende americane, sostengono la criminalità organizzata negli Stati Uniti e costituiscono un rischio potenziale per la salute delle migliaia di militari e funzionari americani che risiedono nel sud Italia.
Secondo quanto rivelano i documenti segreti del Dipartimento di Stato Americano, filtrati da Wikileaks ed esaminati da El Pais, i diplomatici di Washington in Italia elaborarono nel giugno del 2008 un programma composto da 12 misure concrete, con lo scopo di aumentare il coinvolgimento degli Stati Uniti nella lotta alle mafie. La proposta, firmata dal console generale a Napoli J. Patrick Truhn e approvata dalle delegazioni a Roma e nel Vaticano, era la conclusione di un lungo e sconvolgente rapporto sul triangolo criminale costituito da Cosa Nostra siciliana, dalla Camorra campana e dalla ‘Ndragheta calabrese.
Il diplomatico scriveva: “Dobbiamo lavorare per convincere il nuovo governo italiano, che la criminalità organizzata è una priorità seria del governo degli Stati Uniti e che i terribili costi economici del crimine organizzato sono un argomento convincente per una azione immediata”. L’analisi, divisa in tre parti, fu trasmessa alla Segreteria di Stato, alla CIA, all’FBI, alla DEA e ad altri 18 organismi ufficiali degli Stati Uniti, nel giugno del 2008.
Sette buoni motivi
Il documento 157192 dava una lista di sette ragioni per cui “il governo degli Stati Uniti” può e deve implicarsi maggiormente nella lotta antimafia.
- Il traffico di stupefacenti delle mafie italiane invia soldi ai narcotrafficanti (e quindi, in forma indiretta a gruppi terroristici) in Colombia e in Afghanistan, e questo influisce sulla sicurezza nazionale americana.
- Un rapporto dell’intelligence dell’FBI rivelò nel 2005 che “l’interazione criminale fra la criminalità organizzatoa italiana e i gruppi di estremisti islamici, facilita a potenziali terroristi l’accesso al sostegno economico e logistico di organizzazioni criminali con rotte di contrabbando stabilite e una forte presenza negli Stati Uniti”. In una dichiarazione pubblica del 2004, il procuratore antimafia Pierluigi Vigna segnalò il collegamento fra gruppi di militanti islamici e la Camorra, affermando che vi erano prove di un coinvolgimento della Camorra in un interscambio di droga e armi con gruppi di terroristi islamici.
- Il mercato dei falsi e la pirateria di prodotti creati negli Stati Uniti ( soprattutto film, musica e software) pregiudicano direttamente gli interessi americani.
- Gli intrecci fra le mafie italiane e statunitensi rinforzano reciprocamente questi gruppi. I legami fra la mafia siciliana di Cosa Nostra e la mafia negli USA, risalgono a circa un secolo fa, ma secondo l’FBI anche la Camorra e la ‘Ndrangheta hanno affiliati negli Stati Uniti .
- I cittadini americani residenti (comprese le migliaia di membri della Marina degli Stati Uniti e le loro relative famiglie in Campania e Sicilia), e i turisti, si vedono essi stessi influenzati dalla criminalità di strada e potenzialmente dalla crisi dei rifiuti in Campania (dovuta in larga misura alla criminalità organizzata) e dalle discariche di rifiuti tossici nella regione.
- Aziende degli Stati Uniti che vorrebbero investire nel sud Italia, si rifiutano di farlo perché preoccupate dalla criminalità organizzata.
- La criminalità organizzata indebolisce un alleato importante politicamente,, economicamente e socialmente.
Lo stesso documento raccomandava a Washington di dedicare “maggiori risorse e scambi di intelligence, per combattere la Camorra e la ‘Ndrangheta” e “che le autorità italiane collaborino più strettamente con i loro omologhi in Colombia, Albania, Turchia, Nigeria ed in altri Paesi”.
E proponeva dodici “tattiche” concrete da adottare con effetto immediato:
- Ammettere pubblicamente le dimensioni del problema della criminalità organizzata in Italia ed il supporto del governo degli Stati Uniti agli sforzi italiani per combatterla.
- Destinare maggiori risorse alla cooperazione giudiziaria con l’Italia.
- Favorire una più stretta collaborazione fra i funzionari di giustizia italiani e le loro controparti nei Paesi chiave.
- Esprimere al governo italiano l’idea che ha troppo pochi magistrati antimafia in Calabria, sede della più potente organizzazione criminale del Paese.
- Fare pressione sul Governo italiano affinché metta fine alla corruzione nei suoi porti.
- Cooperare in maniera più stretta con la Banca Centrale Italiana e fare pressione su altri Paesi (per esempio Svizzera, Liechtenstein, Monaco) affinché cooperino maggiormente nell’azione di anti-riciclaggio del denaro.
- Lavorare con il Governo italiano per migliorare un sistema giudiziario mal funzionante. Se si vuole sconfiggere il crimine organizzato, le sentenze devono essere più dure, gli appelli limitati ed il processo giudiziario più efficiente. Non è accettabile che detenuti finiscano per essere liberati perché i giudici sono costretti a scontrarsi con problemi burocratici
- Condividere l’esperienza delle istituzioni penitenziarie del governo degli Stati Uniti in costruzione, amministrazione e privatizzazione. Uno dei maggiori problemi dell’Italia è la scarsità di prigioni, il che significa che molti accusati non sono mai incarcerati e molti condannati sono liberati molto prima di aver scontato interamente la pena.
- Dare maggiore appoggio agli sforzi delle associazioni dei cittadini che lottano contro la criminalità organizzata (per esempio i gruppi che in Sicilia guidano la ribellione pubblica contro le estorsioni).
- Contribuire ad estendere la conoscenza dei cittadini sugli effetti deleteri delle organizzazioni criminali e su come abbiamo affrontato il problema negli USA.
- Ottenere il sostegno della Chiesa Cattolica Romana affinché si esprima maggiormente contro il crimine organizzato.
- Incoraggiare il Governo Italiano e l’Unione Europea affinché investano in infrastrutture e particolarmente nel miglioramento della sicurezza pubblica nel sud Italia e allo stesso tempo nel miglioramento della tracciabilità del denaro.
“Inefficienza delle autorità spagnole”
In quel punto, il documento rivela che almeno due Procuratori Generali italiani avevano denunciato alle autorità rappresentative statunitensi” l’inefficacia delle autorità spagnole nella lotta contro il traffico di stupefacenti fra i gruppi criminali spagnoli ed italiani”. Dopo aver commentato che la DEA considera la Spagna un socio eccellente nelle indagini contro il traffico di droga, il console concludeva: ” Il problema deve essere la scarsa cooperazione più che una mancanza di dedizione o di competenza di una delle parti”.
Un altro suggerimento del documento è quello di “lavorare in stretta collaborazione con la Banca Centrale Italiana e la Guardia di Finanza,” condividendo “informazioni di intelligence atte ad identificare le aziende del crimine organizzato ed assicurarsi che siano bloccate o sequestrate”.
Il cablogramma chiedeva inoltre a Washington di includere le tre mafie italiane nella lista principale dell’OFAC, l’ufficio per il controllo dei traffici di droga internazionali, elaborata dal Ministero del Tesoro americano. L’OFAC aveva già incluso la ‘Ndrangheta nella lista Tier One, che apre di fatto le porte al sanzionamento delle aziende che operano con l’organizzazione e delle loro coperture che riciclano denaro sporco, ma il documento esprimeva l’opportunità di includere anche la Camorra e Cosa Nostra.
[Articolo originale "EE UU afirma que las mafias italianas ayudan al terrorismo" di Miguel Mora]
[ traduzione di ItaliaDallEstero.info ]
I diplomatici degli Stati Uniti in Italia ritengono che le tre mafie italiane, Cosa Nostra, Ndrangheta e Camorra, rappresentino “la maggior minaccia per lo sviluppo economico del sud Italia” e costituiscano un pericoloso e potente “sindacato del crimine” contro cui è necessario combattere con “maggior efficacia” poiché, fra le altre attività, “aiutano gruppi terroristici in Colombia e Afghanistan attraverso il traffico di droga, impediscono lo sviluppo del sud Italia, stravolgono i mercati, violano i diritti d’autore e delle aziende americane, sostengono la criminalità organizzata negli Stati Uniti e costituiscono un rischio potenziale per la salute delle migliaia di militari e funzionari americani che risiedono nel sud Italia.
Secondo quanto rivelano i documenti segreti del Dipartimento di Stato Americano, filtrati da Wikileaks ed esaminati da El Pais, i diplomatici di Washington in Italia elaborarono nel giugno del 2008 un programma composto da 12 misure concrete, con lo scopo di aumentare il coinvolgimento degli Stati Uniti nella lotta alle mafie. La proposta, firmata dal console generale a Napoli J. Patrick Truhn e approvata dalle delegazioni a Roma e nel Vaticano, era la conclusione di un lungo e sconvolgente rapporto sul triangolo criminale costituito da Cosa Nostra siciliana, dalla Camorra campana e dalla ‘Ndragheta calabrese.
Il diplomatico scriveva: “Dobbiamo lavorare per convincere il nuovo governo italiano, che la criminalità organizzata è una priorità seria del governo degli Stati Uniti e che i terribili costi economici del crimine organizzato sono un argomento convincente per una azione immediata”. L’analisi, divisa in tre parti, fu trasmessa alla Segreteria di Stato, alla CIA, all’FBI, alla DEA e ad altri 18 organismi ufficiali degli Stati Uniti, nel giugno del 2008.
Sette buoni motivi
Il documento 157192 dava una lista di sette ragioni per cui “il governo degli Stati Uniti” può e deve implicarsi maggiormente nella lotta antimafia.
- Il traffico di stupefacenti delle mafie italiane invia soldi ai narcotrafficanti (e quindi, in forma indiretta a gruppi terroristici) in Colombia e in Afghanistan, e questo influisce sulla sicurezza nazionale americana.
- Un rapporto dell’intelligence dell’FBI rivelò nel 2005 che “l’interazione criminale fra la criminalità organizzatoa italiana e i gruppi di estremisti islamici, facilita a potenziali terroristi l’accesso al sostegno economico e logistico di organizzazioni criminali con rotte di contrabbando stabilite e una forte presenza negli Stati Uniti”. In una dichiarazione pubblica del 2004, il procuratore antimafia Pierluigi Vigna segnalò il collegamento fra gruppi di militanti islamici e la Camorra, affermando che vi erano prove di un coinvolgimento della Camorra in un interscambio di droga e armi con gruppi di terroristi islamici.
- Il mercato dei falsi e la pirateria di prodotti creati negli Stati Uniti ( soprattutto film, musica e software) pregiudicano direttamente gli interessi americani.
- Gli intrecci fra le mafie italiane e statunitensi rinforzano reciprocamente questi gruppi. I legami fra la mafia siciliana di Cosa Nostra e la mafia negli USA, risalgono a circa un secolo fa, ma secondo l’FBI anche la Camorra e la ‘Ndrangheta hanno affiliati negli Stati Uniti .
- I cittadini americani residenti (comprese le migliaia di membri della Marina degli Stati Uniti e le loro relative famiglie in Campania e Sicilia), e i turisti, si vedono essi stessi influenzati dalla criminalità di strada e potenzialmente dalla crisi dei rifiuti in Campania (dovuta in larga misura alla criminalità organizzata) e dalle discariche di rifiuti tossici nella regione.
- Aziende degli Stati Uniti che vorrebbero investire nel sud Italia, si rifiutano di farlo perché preoccupate dalla criminalità organizzata.
- La criminalità organizzata indebolisce un alleato importante politicamente,, economicamente e socialmente.
Lo stesso documento raccomandava a Washington di dedicare “maggiori risorse e scambi di intelligence, per combattere la Camorra e la ‘Ndrangheta” e “che le autorità italiane collaborino più strettamente con i loro omologhi in Colombia, Albania, Turchia, Nigeria ed in altri Paesi”.
E proponeva dodici “tattiche” concrete da adottare con effetto immediato:
- Ammettere pubblicamente le dimensioni del problema della criminalità organizzata in Italia ed il supporto del governo degli Stati Uniti agli sforzi italiani per combatterla.
- Destinare maggiori risorse alla cooperazione giudiziaria con l’Italia.
- Favorire una più stretta collaborazione fra i funzionari di giustizia italiani e le loro controparti nei Paesi chiave.
- Esprimere al governo italiano l’idea che ha troppo pochi magistrati antimafia in Calabria, sede della più potente organizzazione criminale del Paese.
- Fare pressione sul Governo italiano affinché metta fine alla corruzione nei suoi porti.
- Cooperare in maniera più stretta con la Banca Centrale Italiana e fare pressione su altri Paesi (per esempio Svizzera, Liechtenstein, Monaco) affinché cooperino maggiormente nell’azione di anti-riciclaggio del denaro.
- Lavorare con il Governo italiano per migliorare un sistema giudiziario mal funzionante. Se si vuole sconfiggere il crimine organizzato, le sentenze devono essere più dure, gli appelli limitati ed il processo giudiziario più efficiente. Non è accettabile che detenuti finiscano per essere liberati perché i giudici sono costretti a scontrarsi con problemi burocratici
- Condividere l’esperienza delle istituzioni penitenziarie del governo degli Stati Uniti in costruzione, amministrazione e privatizzazione. Uno dei maggiori problemi dell’Italia è la scarsità di prigioni, il che significa che molti accusati non sono mai incarcerati e molti condannati sono liberati molto prima di aver scontato interamente la pena.
- Dare maggiore appoggio agli sforzi delle associazioni dei cittadini che lottano contro la criminalità organizzata (per esempio i gruppi che in Sicilia guidano la ribellione pubblica contro le estorsioni).
- Contribuire ad estendere la conoscenza dei cittadini sugli effetti deleteri delle organizzazioni criminali e su come abbiamo affrontato il problema negli USA.
- Ottenere il sostegno della Chiesa Cattolica Romana affinché si esprima maggiormente contro il crimine organizzato.
- Incoraggiare il Governo Italiano e l’Unione Europea affinché investano in infrastrutture e particolarmente nel miglioramento della sicurezza pubblica nel sud Italia e allo stesso tempo nel miglioramento della tracciabilità del denaro.
“Inefficienza delle autorità spagnole”
In quel punto, il documento rivela che almeno due Procuratori Generali italiani avevano denunciato alle autorità rappresentative statunitensi” l’inefficacia delle autorità spagnole nella lotta contro il traffico di stupefacenti fra i gruppi criminali spagnoli ed italiani”. Dopo aver commentato che la DEA considera la Spagna un socio eccellente nelle indagini contro il traffico di droga, il console concludeva: ” Il problema deve essere la scarsa cooperazione più che una mancanza di dedizione o di competenza di una delle parti”.
Un altro suggerimento del documento è quello di “lavorare in stretta collaborazione con la Banca Centrale Italiana e la Guardia di Finanza,” condividendo “informazioni di intelligence atte ad identificare le aziende del crimine organizzato ed assicurarsi che siano bloccate o sequestrate”.
Il cablogramma chiedeva inoltre a Washington di includere le tre mafie italiane nella lista principale dell’OFAC, l’ufficio per il controllo dei traffici di droga internazionali, elaborata dal Ministero del Tesoro americano. L’OFAC aveva già incluso la ‘Ndrangheta nella lista Tier One, che apre di fatto le porte al sanzionamento delle aziende che operano con l’organizzazione e delle loro coperture che riciclano denaro sporco, ma il documento esprimeva l’opportunità di includere anche la Camorra e Cosa Nostra.
[Articolo originale "EE UU afirma que las mafias italianas ayudan al terrorismo" di Miguel Mora]
[ traduzione di ItaliaDallEstero.info ]
giovedì 3 febbraio 2011
Chi è senza PEC...
La Posta Elettronica Certificata è uno strumento molto utile, ma soprattutto necessario per i rapporti con la Pubblica Amministrazione: tutti i professionisti, le aziende e i singoli cittadini potranno accantonare le raccomandate. Non serviranno più, carta straccia. Il governo del fare, ke faceva arrossire anke Gordon Brown. E Brunetta si crogiolava della sua innovazione (a proposito, avete notizie di Brunetta?!?). Preso da cotanta efficienza, non ho perso tempo. Ho attivato, seppure molto a rilento, assecondando i miei ritmi, una bella casella di posta. Mi reco all'ufficio postale per terminare l'operazione. Mi arriva la mail di attivazione. Ke bello. La provo, ma mi da un errore: non riconosce l'indirizzo di destinazione...Mmmm, vabè domani vedo, dico mentre è già ora di scendere. Oggi mi nasce la necessità di inviare una mail ad una PEC della Pubblica Amministrazione, e ritorno sul mio spazio sul sito, inserisco il mio ID e password. Vado su "Scrivi", inserisco il destinatario, l'oggetto, scrivo una bella mail (giusto per curiosità, si trattava della mail relativa alle informazioni su PIU Europa), la rileggo, clicco su invio... Di nuovo errore. Mi sarò sbagliato io. Riprovo, niente. Cerco la guida, ma non me la visualizza. Sarà il mio pc. Riprovo, niente. Digito su google "non funziona postacertificata.gov"...e una caterva di utenti incazzati e rassegnati si sfoga sul web. Peccato, mi dico. Un servizio dello stato, gratis per tutti...ke non funziona. Ke sfaccimm, penso. Mi dico: ora invio una bella mail al contatto di assistenza info@postacertificata.gov.it per kiedere spiegazioni. La preparo, la invio. Dopo qualke secondo
Delivery to the following recipient failed permanently:
info@postacertificata.gov.it
Acqua pubblica, Zanotelli: "Fiumi battete le mani"
Alex Zanotelli commenta positivamente l'approvazione da parte della Corte Costituzionale di due dei tre quesiti referendari proposti contro la privatizzazione del servizio idrico e sostiene la necessità di sensibilizzare i cittadini affinché votino per affermare che l’acqua è un bene comune, diritto fondamentale umano.
di Alex Zanotelli - 27 Gennaio 2011 -
http://www.ilcambiamento.it/beni_comuni/zanotelli_referendum_acqua_pubblica.html
La Corte Costituzionale ha approvato due dei tre quesiti referendari: il primo, che afferma che l’acqua è un bene di non rilevanza economica, e il terzo che toglie il profitto dall’acqua
Sono queste le parole del Salmo 98 che mi sono improvvisamente affiorate alla mente quando mi è stato comunicato che la Corte Costituzionale aveva dato il via al referendum sull’acqua. Dopo anni di impegno, un sussulto di gioia e di grazie al Signore che riesce ancora a operare meraviglie, e un grazie allo straordinario 'popolo dell’acqua' che ci ha regalato in due mesi un milione e mezzo di firme.
La Corte ha approvato due dei tre quesiti referendari: il primo, che afferma che l’acqua è un bene di non rilevanza economica, e il terzo che toglie il profitto dall’acqua. Che la Corte Costituzionale (piuttosto conservatrice) abbia accolto queste due istanze sull’acqua in contrasto con i dogmi del sistema neo-liberista, è un piccolo miracolo. E questo grazie agli straordinari costituzionalisti che le hanno formulate e difese, da Rodotà a Ferrara, da Mattei a Lucarelli senza dimenticare Luciani.
Ma la grande vincitrice è la cittadinanza attiva di questo paese che diventa il nuovo soggetto politico con cui anche i partiti dovranno fare i conti. “I cittadini si sono appropriati del diritto di esprimersi sui beni comuni - hanno commentato A. Lucarelli e U. Mattei - sui beni di loro appartenenza, su quei beni che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali. Si è dato così significato e dignità all’art.1 della Costituzione Italiana, ovvero al principio che assegna al popolo la sovranità in una stagione di tragedia della democrazia rappresentativa”.
Tutto questo apre a una nuova stagione di democrazia: il cammino per riappropriarci dei beni comuni che ci sono stati sottratti. E questo l’abbiamo ottenuto senza finanziamenti (ognuno ha dato quello che ha potuto), senza i partiti presenti in Parlamento e senza l’appoggio dei grandi media. Questo rende ancora più straordinaria questa vittoria, la prima nel suo genere nell’Unione Europea.
Dobbiamo ora lavorare sodo per informare, sensibilizzare, per convincere 25 milioni di italiani ad andare a votare (questo è il quorum necessario per la validità del referendum). Sarà una campagna referendaria molto dura perché abbiamo davanti un Sistema economico-finanziario che non può perdere l’oggetto del desiderio del XXI secolo: l’oro blu che è già scarso e andrà sempre più scarseggiando per il surriscaldamento del Pianeta.
Per questo dobbiamo organizzarci bene con comitati a livello provinciale come a quello regionale. Dobbiamo imparare i processi democratici partendo dal basso, lavorando in rete e tenendoci tutti per mano, nel profondo rispetto del volto di ogni persona. Dobbiamo far nascere il nuovo dentro un Sistema che mercifica tutto, anche le persone.
Nel frattempo invitiamo poi i cittadini a chiedere tre cose:
1) la Moratoria della legge Ronchi, per impedire la privatizzazione dell’acqua in pieno svolgimento del referendum perché, in caso di vittoria, quei Comuni che avranno privatizzato, dovranno sborsare somme notevoli ai privati per riappropriarsi della loro acqua;
2) la convocazione di un consiglio comunale monotematico sull’acqua per sottrarre il servizio idrico alle regole del mercato e della concorrenza, e sostenere e appoggiare i due Sì al referendum promosso dal Comitato referendario 2 Sì per l’acqua bene comune;
3) il voto referendario venga associato alle elezioni amministrative previste per il mese di maggio.
Riteniamo poi fondamentale il ruolo che la Chiesa italiana può svolgere in questo referendum. Pertanto ai cristiani, alle parrocchie, alle comunità ecclesiali, chiediamo il coraggio di scendere a fianco di questo grande movimento dell’acqua pubblica. Chiediamo ai nostri vescovi di esprimersi ribadendo che l’acqua è la vita ed è un diritto fondamentale umano. In vista del referendum, chiediamo che la CEI si esprima sul tema di questo referendum, perché si tratta di un problema etico e morale.
Tutto questo è stato espresso molto bene dal vescovo cileno Luis Infanti della Mora di Aysén (Patagonia), nella sua stupenda lettera pastorale 'Dacci oggi la nostra acqua quotidiana': “La crescente politica di privatizzazione è moralmente inaccettabile quando cerca di impadronirsi di elementi così vitali come l’acqua, creando una nuova categoria sociale: gli esclusi. Alcune multinazionali che cercano di impadronirsi di alcuni beni della natura, e soprattutto dell’acqua, possono essere legalmente padroni di questi beni e dei relativi diritti, ma non sono eticamente proprietari di un bene dal quale dipende la vita dell’umanità. È un’ingiustizia istituzionalizzata che crea ulteriore fame e povertà, facendo sì che la natura sia la più sacrificata e che la specie più minacciata sia quella umana, i più poveri in particolare”.
E allora diamoci tutti da fare perché “i fiumi ritornino a battere le mani” quando il popolo italiano sancirà con i due Sì che l’acqua è bene comune, diritto fondamentale umano.
di Alex Zanotelli - 27 Gennaio 2011 -
http://www.ilcambiamento.it/beni_comuni/zanotelli_referendum_acqua_pubblica.html
La Corte Costituzionale ha approvato due dei tre quesiti referendari: il primo, che afferma che l’acqua è un bene di non rilevanza economica, e il terzo che toglie il profitto dall’acqua
Sono queste le parole del Salmo 98 che mi sono improvvisamente affiorate alla mente quando mi è stato comunicato che la Corte Costituzionale aveva dato il via al referendum sull’acqua. Dopo anni di impegno, un sussulto di gioia e di grazie al Signore che riesce ancora a operare meraviglie, e un grazie allo straordinario 'popolo dell’acqua' che ci ha regalato in due mesi un milione e mezzo di firme.
La Corte ha approvato due dei tre quesiti referendari: il primo, che afferma che l’acqua è un bene di non rilevanza economica, e il terzo che toglie il profitto dall’acqua. Che la Corte Costituzionale (piuttosto conservatrice) abbia accolto queste due istanze sull’acqua in contrasto con i dogmi del sistema neo-liberista, è un piccolo miracolo. E questo grazie agli straordinari costituzionalisti che le hanno formulate e difese, da Rodotà a Ferrara, da Mattei a Lucarelli senza dimenticare Luciani.
Ma la grande vincitrice è la cittadinanza attiva di questo paese che diventa il nuovo soggetto politico con cui anche i partiti dovranno fare i conti. “I cittadini si sono appropriati del diritto di esprimersi sui beni comuni - hanno commentato A. Lucarelli e U. Mattei - sui beni di loro appartenenza, su quei beni che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali. Si è dato così significato e dignità all’art.1 della Costituzione Italiana, ovvero al principio che assegna al popolo la sovranità in una stagione di tragedia della democrazia rappresentativa”.
Tutto questo apre a una nuova stagione di democrazia: il cammino per riappropriarci dei beni comuni che ci sono stati sottratti. E questo l’abbiamo ottenuto senza finanziamenti (ognuno ha dato quello che ha potuto), senza i partiti presenti in Parlamento e senza l’appoggio dei grandi media. Questo rende ancora più straordinaria questa vittoria, la prima nel suo genere nell’Unione Europea.
Dobbiamo ora lavorare sodo per informare, sensibilizzare, per convincere 25 milioni di italiani ad andare a votare (questo è il quorum necessario per la validità del referendum). Sarà una campagna referendaria molto dura perché abbiamo davanti un Sistema economico-finanziario che non può perdere l’oggetto del desiderio del XXI secolo: l’oro blu che è già scarso e andrà sempre più scarseggiando per il surriscaldamento del Pianeta.
Per questo dobbiamo organizzarci bene con comitati a livello provinciale come a quello regionale. Dobbiamo imparare i processi democratici partendo dal basso, lavorando in rete e tenendoci tutti per mano, nel profondo rispetto del volto di ogni persona. Dobbiamo far nascere il nuovo dentro un Sistema che mercifica tutto, anche le persone.
Nel frattempo invitiamo poi i cittadini a chiedere tre cose:
1) la Moratoria della legge Ronchi, per impedire la privatizzazione dell’acqua in pieno svolgimento del referendum perché, in caso di vittoria, quei Comuni che avranno privatizzato, dovranno sborsare somme notevoli ai privati per riappropriarsi della loro acqua;
2) la convocazione di un consiglio comunale monotematico sull’acqua per sottrarre il servizio idrico alle regole del mercato e della concorrenza, e sostenere e appoggiare i due Sì al referendum promosso dal Comitato referendario 2 Sì per l’acqua bene comune;
3) il voto referendario venga associato alle elezioni amministrative previste per il mese di maggio.
Riteniamo poi fondamentale il ruolo che la Chiesa italiana può svolgere in questo referendum. Pertanto ai cristiani, alle parrocchie, alle comunità ecclesiali, chiediamo il coraggio di scendere a fianco di questo grande movimento dell’acqua pubblica. Chiediamo ai nostri vescovi di esprimersi ribadendo che l’acqua è la vita ed è un diritto fondamentale umano. In vista del referendum, chiediamo che la CEI si esprima sul tema di questo referendum, perché si tratta di un problema etico e morale.
Tutto questo è stato espresso molto bene dal vescovo cileno Luis Infanti della Mora di Aysén (Patagonia), nella sua stupenda lettera pastorale 'Dacci oggi la nostra acqua quotidiana': “La crescente politica di privatizzazione è moralmente inaccettabile quando cerca di impadronirsi di elementi così vitali come l’acqua, creando una nuova categoria sociale: gli esclusi. Alcune multinazionali che cercano di impadronirsi di alcuni beni della natura, e soprattutto dell’acqua, possono essere legalmente padroni di questi beni e dei relativi diritti, ma non sono eticamente proprietari di un bene dal quale dipende la vita dell’umanità. È un’ingiustizia istituzionalizzata che crea ulteriore fame e povertà, facendo sì che la natura sia la più sacrificata e che la specie più minacciata sia quella umana, i più poveri in particolare”.
E allora diamoci tutti da fare perché “i fiumi ritornino a battere le mani” quando il popolo italiano sancirà con i due Sì che l’acqua è bene comune, diritto fondamentale umano.
martedì 1 febbraio 2011
Il corpo delle donne
In questa Italia oramai allo sbaraglio, in attesa del golpe e della violenza di stato, ciò ke esce più malconcia è la donna. Su sito de El Pais ho letto un articolo "Le curve prima del curriculum", un amarissimo sull'Italia berlusconiana, sugli ultimi 15 anni di baldoria. E sulle donne. Ed in questo articolo ho trovato il link ad un filmato interessante di Lorella Zanardo, "Il corpo delle donne". Un amara panoramica sullo stato di catalessi nella quale siamo caduti noi cittadini italiani. Breve, ma ke fa riflettere. E ke non ho visto su nessun media italiano.
Un altro ke però non sono riuscito a trovare se non in trailer, sempre citato nell'articolo spagnolo, è Sorelle d'Italia, ke spero presto di riuscire a trovare online.
Maschere
“L’Italia è un Paese ridicolo e sinistro”. Nel settembre 1975, quando i sociologi la consideravano il laboratorio politico d’Europa e le forze progressiste, anche quelle spagnole, vedevano la sua società civile come un modello da imitare, Pier Paolo Pasolini scrisse queste parole. “I suoi potenti sono delle maschere comiche, vagamente imbrattate di sangue. Ma i cittadini italiani non sono da meno”. Pasolini, considerato dai suoi compatrioti, persino in alcuni ambienti di sinistra, un intellettuale sgradevole a causa del pessimismo scarno delle sue opinioni, indicava due colpevoli: la scuola e la televisione, complici nell’aver trasmesso un’ideologia di edonismo carente di valori umani e umanisti.
35 anni dopo, Berlusconi incarna la visione pasoliniana della realtà con tanta maestria, come se stesse interpretando il ruolo principale nell’opera postuma dell’artista. I capelli tinti ed il viso coperto di trucco, le sue disperate ostentazioni giovanili di seduttore senile battono ogni giorno i suoi record di indecenza, senza che molti dei suoi concittadini trovino motivi per smettere di celebrare le sue pagliacciate.
Non voglio essere sgradevole, ma Berlusconi mi sembra più sinistro che ridicolo. Per provare che i sociologi degli anni settanta avevano ragione quando avvertivano che la società italiana anticipava l’evoluzione del resto del continente, basta contemplare le maschere della principessa del popolo e la sua corte di enormità. Sotto c’è una faccia brutta e volgare che nessuno vuol vedere. È la magia della televisione. Quando la triviale rappresentazione del cannibalismo smetterà di essere un ameno passatempo da godersi in famiglia, allora forse le sue stelle si saranno trasferite nei seggi del Governo e ci sarà qualcuno che dirà che è pura democrazia. Conviene prepararsi al peggio, leggete Pasolini.
35 anni dopo, Berlusconi incarna la visione pasoliniana della realtà con tanta maestria, come se stesse interpretando il ruolo principale nell’opera postuma dell’artista. I capelli tinti ed il viso coperto di trucco, le sue disperate ostentazioni giovanili di seduttore senile battono ogni giorno i suoi record di indecenza, senza che molti dei suoi concittadini trovino motivi per smettere di celebrare le sue pagliacciate.
Non voglio essere sgradevole, ma Berlusconi mi sembra più sinistro che ridicolo. Per provare che i sociologi degli anni settanta avevano ragione quando avvertivano che la società italiana anticipava l’evoluzione del resto del continente, basta contemplare le maschere della principessa del popolo e la sua corte di enormità. Sotto c’è una faccia brutta e volgare che nessuno vuol vedere. È la magia della televisione. Quando la triviale rappresentazione del cannibalismo smetterà di essere un ameno passatempo da godersi in famiglia, allora forse le sue stelle si saranno trasferite nei seggi del Governo e ci sarà qualcuno che dirà che è pura democrazia. Conviene prepararsi al peggio, leggete Pasolini.
http://www.elpais.com/articulo/ultima/Mascaras/elpepiopi/20110131elpepiult_1/Tes
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