“Domani mattina avremo un'altra bandiera! Benghazi è libera!” Arrivano parole di giubilo dalla Libia. Ed è la prima volta dopo quattro giorni di massacri nelle piazze del paese. A parlare è un amico libico d'oltremare, Kamal. In questo momento è a Benghazi e mi ha appena dato la buona notizia al telefono. Il regime di Gheddafi si avvia verso la fine seppure con altissimo rischio di guerra civile. Dopo l'ennesimo bagno di sangue infatti, il popolo oggi ha avuto la meglio sulle milizie del regime e ha liberato la città di Benghazi, la capitale della Cirenaica, regione da sempre ostile alla dittatura del Colonnello. I reparti dell'esercito si sono uniti al popolo, mentre miliziani e fedeli del regime si trovano attualmente trincerati nell'aeroporto della città, circondati dai giovani rivoluzionari pronti a sferrare l'attacco finale con le armi che il popolo ha requisito all'esercito dopo aver fatto irruzione oggi pomeriggio nei campi militari. Intanto, incoraggiati dalla vittoria del popolo a Benghazi, sono scoppiati focolai di rivolte in tutto il paese, da Zawiyah a Tripoli, dove migliaia di persone sono scese in piazza pronte a marciare sul palazzo di Gheddafi, che secondo voci non ancora confermate sarebbe scappato in Venezuela.
E dire che fino a ieri non ci credeva nessuno. Lo stesso Kamal stamattina aveva telefonato in lacrime a un amico tunisino di Ginevra che in questo momento si trova a Lampedusa, raccontando disperato i dettagli del massacro compiuto dalle milizie di Gheddafi. “Ci sono stati due movimenti paralleli – ci ha spiegato al telefono - . Da un lato il movimento pacifista e non armato, condotto dagli avvocati e dai giudici, con una grande manifestazione davanti al tribunale di Benghazi. E dall'altro vari gruppi di giovani che non credevano in una protesta pacifica contro la brutalità del regime e che hanno affrontato la polizia e le milizie armati soltanto di pietre e bastoni. È stato un combattimento terribile! Un nano contro una montagna. Le milizie di Gheddafi erano armate fino ai denti, sparavano con le mitragliatrici della contraerea sulla gente! Ma la gente non aveva paura, era come se avessero tutti sete di morire per la libertà. Non so quanti siano i morti ma credo che soltanto nelle ultime ore siano almeno un centinaio. Personalmente ho appena lasciato l'ospedale militare dove ho contato una ventina di morti, un'altra cinquantina sono caduti presso l'ultima base militare conquistata dal popolo. Più tutti quelli morti intorno alla città". Le cifre più attendibili, diffuse da Aljazeera parlano di almeno 285 vittime dall'inizio dei combattimenti, ma ormai a Benghazi sembra essere sorta l'alba di un nuovo corso.
"Ormai la città è libera! Non c'è più nessuna caserma in mano al regime. E l'esercito di Benghazi si è unito alla popolazione dalle cinque di oggi pomeriggio. È successo che a un certo punto ci hanno aperto le caserme e ci hanno fatto prendere le armi, poi si sono uniti a noi. Non è l'esercito che ha fatto cadere il regime, è la popolazione!”
Ma accanto alle ragioni per festeggiare, ci sono ancora mille buoni motivi per essere preoccupati. Il primo è la tensione che continua a salire intorno all'aeroporto di Benghazi per la battaglia finale. Dentro lo scalo aereo si trovano le milizie di Gheddafi, e fuori i giovani ormai armati fino ai denti. “Stanno andando tutti all'aeroporto. Durerà a lungo. C'è un negoziato in corso, ma ormai lo scontro è inevitabile e ho paura che ci saranno molti morti. Ma ormai è finita. Ti dico che al massimo domani mattina sarà finita. Non ho dubbi!”.
A calmare gli animi non è servito nemmeno il discorso fatto in televisione dal figlio di Gheddafi, Saif al Islam, nonostante la stima che molti libici hanno per lui, preferendolo di gran lunga al padre despota. Anche perché nel suo discorso non ha fatto che cavalcare le tesi cospirazioniste, accusando oltretutto i giovani di voler soltanto imitare la Tunisia e l'Egitto, di essere drogati e sbandati e di portare il paese sull'orlo della guerra civile. Su questo ultimo punto però qualche ragione ce l'ha. Perché il popolo per la prima volta è armato e se Gheddafi non se ne va quanto prima, la situazione rischia davvero di finire fuori controllo. Nessuno può infatti garantire che il bagno di sangue dei giorni scorsi, adesso non sarà vendicato. Lo ammette lo stesso Kamal: “Il problema è che quando le armi sono nelle mani della popolazione è sempre delicato. La rivoluzione è stata fatta dai giovani, ma i giovani adesso hanno le armi e girano con i carri armati. Non so se si sapranno regolare, non sono dei militari, voglio dire ho paura che ci saranno dei regolamenti di conti, è sicuro, contro i sostenitori di Gheddafi e i membri del governo attuale!”
Ma anche contro i tanti stranieri africani. Su internet girano già i video dei cadaveri dei miliziani africani linciati dalla folla dei manifestanti. Sì perché Gheddafi si è appoggiato a questa speciale legione straniera fatta perlopiù di mercenari africani, inviati a Benghazi a massacrare i manifestanti. Nessuno può dire se adesso seguirà un'ondata di violenza contro le numerose comunità afro in Libia. Ancora è prematuro per dirlo. Potrebbe non accadere niente. Ma potrebbe anche accadere il contrario. E allora Lampedusa si prepari davvero a gestire quella che potrebbe essere un'emergenza umanitaria.
Prima che cada la linea, Kamal ci tiene a mandare un messaggio agli italiani. E stavolta il tono è semplicemente di rabbia. “Ora speriamo che il prossimo a cadere sia Berlusconi! Ha sostenuto questo bastardo di dittatore, e lo stesso ha fatto Sarkozy e tutta l'Unione europea. E mai una parola per la popolazione libica, mentre ci sparavano addosso! Ci hanno massacrato! Gente disarmata, ci hanno schiacciato come delle mosche! Ci avete lasciato morire!”
Come dargli torto? Dopo la Tunisia e l'Egitto, con la Libia per la terza volta in due mesi, l'Italia ha perso l'occasione per esprimere il proprio sostegno alle popolazioni della riva sud del Mediterraneo, che stanno pagando centinaia di martiri per la conquista della libertà e della democrazia e per mettere fine una volta per tutte alle dittature sostenute da decenni dai nostri governi. Con una trasversalità straordinaria. Ne sanno qualcosa i D'Alema e i Dini, gli Amato e i Prodi, che come i Berlusconi e i Pisanu, i Maroni e i Frattini, da dieci anni a questa parte si sono prodigati per strappare a Tripoli la firma dell'accordo sui respingimenti in Libia in cambio di pressioni per la fine dell'embargo e di commesse d'oro. Lo sanno bene all'Unicredit, a Finmeccanica, e all'Eni? Solo per fare i nomi di pochi.
Da questa cricca di affaristi e da questa classe dirigente c'è poco da aspettarsi, se non appelli alla stabilità per continuare a pompare petrolio dalla Libia alle raffinerie di Gela e per continuare a rinchiudere nelle galere libiche tutti i respinti. Sta forse a noi costruire reti di solidarietà per un Mediterraneo di pace. Dopo la Tunisia e l'Egitto, sosteniamo anche la rivoluzione in Libia. Qui trovate una pagina facebook con tutte le notizie e i video delle proteste. Perché è questa la Libia del futuro. Non la Libia dei respingimenti e delle torture in carcere, ma quella dei giovani che come in Egitto e in Tunisia, martire dopo martire, sfidano il potere di ottuagenari dittatori, nel nome della libertà.
20 febbraio 2011 - da Fortress Europe
E dire che fino a ieri non ci credeva nessuno. Lo stesso Kamal stamattina aveva telefonato in lacrime a un amico tunisino di Ginevra che in questo momento si trova a Lampedusa, raccontando disperato i dettagli del massacro compiuto dalle milizie di Gheddafi. “Ci sono stati due movimenti paralleli – ci ha spiegato al telefono - . Da un lato il movimento pacifista e non armato, condotto dagli avvocati e dai giudici, con una grande manifestazione davanti al tribunale di Benghazi. E dall'altro vari gruppi di giovani che non credevano in una protesta pacifica contro la brutalità del regime e che hanno affrontato la polizia e le milizie armati soltanto di pietre e bastoni. È stato un combattimento terribile! Un nano contro una montagna. Le milizie di Gheddafi erano armate fino ai denti, sparavano con le mitragliatrici della contraerea sulla gente! Ma la gente non aveva paura, era come se avessero tutti sete di morire per la libertà. Non so quanti siano i morti ma credo che soltanto nelle ultime ore siano almeno un centinaio. Personalmente ho appena lasciato l'ospedale militare dove ho contato una ventina di morti, un'altra cinquantina sono caduti presso l'ultima base militare conquistata dal popolo. Più tutti quelli morti intorno alla città". Le cifre più attendibili, diffuse da Aljazeera parlano di almeno 285 vittime dall'inizio dei combattimenti, ma ormai a Benghazi sembra essere sorta l'alba di un nuovo corso.
"Ormai la città è libera! Non c'è più nessuna caserma in mano al regime. E l'esercito di Benghazi si è unito alla popolazione dalle cinque di oggi pomeriggio. È successo che a un certo punto ci hanno aperto le caserme e ci hanno fatto prendere le armi, poi si sono uniti a noi. Non è l'esercito che ha fatto cadere il regime, è la popolazione!”
Ma accanto alle ragioni per festeggiare, ci sono ancora mille buoni motivi per essere preoccupati. Il primo è la tensione che continua a salire intorno all'aeroporto di Benghazi per la battaglia finale. Dentro lo scalo aereo si trovano le milizie di Gheddafi, e fuori i giovani ormai armati fino ai denti. “Stanno andando tutti all'aeroporto. Durerà a lungo. C'è un negoziato in corso, ma ormai lo scontro è inevitabile e ho paura che ci saranno molti morti. Ma ormai è finita. Ti dico che al massimo domani mattina sarà finita. Non ho dubbi!”.
A calmare gli animi non è servito nemmeno il discorso fatto in televisione dal figlio di Gheddafi, Saif al Islam, nonostante la stima che molti libici hanno per lui, preferendolo di gran lunga al padre despota. Anche perché nel suo discorso non ha fatto che cavalcare le tesi cospirazioniste, accusando oltretutto i giovani di voler soltanto imitare la Tunisia e l'Egitto, di essere drogati e sbandati e di portare il paese sull'orlo della guerra civile. Su questo ultimo punto però qualche ragione ce l'ha. Perché il popolo per la prima volta è armato e se Gheddafi non se ne va quanto prima, la situazione rischia davvero di finire fuori controllo. Nessuno può infatti garantire che il bagno di sangue dei giorni scorsi, adesso non sarà vendicato. Lo ammette lo stesso Kamal: “Il problema è che quando le armi sono nelle mani della popolazione è sempre delicato. La rivoluzione è stata fatta dai giovani, ma i giovani adesso hanno le armi e girano con i carri armati. Non so se si sapranno regolare, non sono dei militari, voglio dire ho paura che ci saranno dei regolamenti di conti, è sicuro, contro i sostenitori di Gheddafi e i membri del governo attuale!”
Ma anche contro i tanti stranieri africani. Su internet girano già i video dei cadaveri dei miliziani africani linciati dalla folla dei manifestanti. Sì perché Gheddafi si è appoggiato a questa speciale legione straniera fatta perlopiù di mercenari africani, inviati a Benghazi a massacrare i manifestanti. Nessuno può dire se adesso seguirà un'ondata di violenza contro le numerose comunità afro in Libia. Ancora è prematuro per dirlo. Potrebbe non accadere niente. Ma potrebbe anche accadere il contrario. E allora Lampedusa si prepari davvero a gestire quella che potrebbe essere un'emergenza umanitaria.
Prima che cada la linea, Kamal ci tiene a mandare un messaggio agli italiani. E stavolta il tono è semplicemente di rabbia. “Ora speriamo che il prossimo a cadere sia Berlusconi! Ha sostenuto questo bastardo di dittatore, e lo stesso ha fatto Sarkozy e tutta l'Unione europea. E mai una parola per la popolazione libica, mentre ci sparavano addosso! Ci hanno massacrato! Gente disarmata, ci hanno schiacciato come delle mosche! Ci avete lasciato morire!”
Come dargli torto? Dopo la Tunisia e l'Egitto, con la Libia per la terza volta in due mesi, l'Italia ha perso l'occasione per esprimere il proprio sostegno alle popolazioni della riva sud del Mediterraneo, che stanno pagando centinaia di martiri per la conquista della libertà e della democrazia e per mettere fine una volta per tutte alle dittature sostenute da decenni dai nostri governi. Con una trasversalità straordinaria. Ne sanno qualcosa i D'Alema e i Dini, gli Amato e i Prodi, che come i Berlusconi e i Pisanu, i Maroni e i Frattini, da dieci anni a questa parte si sono prodigati per strappare a Tripoli la firma dell'accordo sui respingimenti in Libia in cambio di pressioni per la fine dell'embargo e di commesse d'oro. Lo sanno bene all'Unicredit, a Finmeccanica, e all'Eni? Solo per fare i nomi di pochi.
Da questa cricca di affaristi e da questa classe dirigente c'è poco da aspettarsi, se non appelli alla stabilità per continuare a pompare petrolio dalla Libia alle raffinerie di Gela e per continuare a rinchiudere nelle galere libiche tutti i respinti. Sta forse a noi costruire reti di solidarietà per un Mediterraneo di pace. Dopo la Tunisia e l'Egitto, sosteniamo anche la rivoluzione in Libia. Qui trovate una pagina facebook con tutte le notizie e i video delle proteste. Perché è questa la Libia del futuro. Non la Libia dei respingimenti e delle torture in carcere, ma quella dei giovani che come in Egitto e in Tunisia, martire dopo martire, sfidano il potere di ottuagenari dittatori, nel nome della libertà.
20 febbraio 2011 - da Fortress Europe
Nessun commento:
Posta un commento