Visualizzazione post con etichetta acqua pubblica. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta acqua pubblica. Mostra tutti i post

lunedì 23 maggio 2011

Stasera a Torre del Greco



Lunedì 23 maggio 2011

ore 20.00

presso la Basilica di S. Croce a Torre del Greco

INCONTRO PUBBLICO

“2 sì per l’Acqua Bene Comune!”

INTERVIENE

Padre Alex Zanotelli

(Missionario comboniano)

INTRODUCE

Gianluca Ferrara

(Referente Territoriale Comitato Referendario)

Basilica Pontificia S. Croce – P.zza Santa Croce, Torre del Greco

giovedì 3 febbraio 2011

Acqua pubblica, Zanotelli: "Fiumi battete le mani"

Alex Zanotelli commenta positivamente l'approvazione da parte della Corte Costituzionale di due dei tre quesiti referendari proposti contro la privatizzazione del servizio idrico e sostiene la necessità di sensibilizzare i cittadini affinché votino per affermare che l’acqua è un bene comune, diritto fondamentale umano.
di Alex Zanotelli - 27 Gennaio 2011 -
http://www.ilcambiamento.it/beni_comuni/zanotelli_referendum_acqua_pubblica.html

La Corte Costituzionale ha approvato due dei tre quesiti referendari: il primo, che afferma che l’acqua è un bene di non rilevanza economica, e il terzo che toglie il profitto dall’acqua

Sono queste le parole del Salmo 98 che mi sono improvvisamente affiorate alla mente quando mi è stato comunicato che la Corte Costituzionale aveva dato il via al referendum sull’acqua. Dopo anni di impegno, un sussulto di gioia e di grazie al Signore che riesce ancora a operare meraviglie, e un grazie allo straordinario 'popolo dell’acqua' che ci ha regalato in due mesi un milione e mezzo di firme.

La Corte ha approvato due dei tre quesiti referendari: il primo, che afferma che l’acqua è un bene di non rilevanza economica, e il terzo che toglie il profitto dall’acqua. Che la Corte Costituzionale (piuttosto conservatrice) abbia accolto queste due istanze sull’acqua in contrasto con i dogmi del sistema neo-liberista, è un piccolo miracolo. E questo grazie agli straordinari costituzionalisti che le hanno formulate e difese, da Rodotà a Ferrara, da Mattei a Lucarelli senza dimenticare Luciani.

Ma la grande vincitrice è la cittadinanza attiva di questo paese che diventa il nuovo soggetto politico con cui anche i partiti dovranno fare i conti. “I cittadini si sono appropriati del diritto di esprimersi sui beni comuni - hanno commentato A. Lucarelli e U. Mattei - sui beni di loro appartenenza, su quei beni che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali. Si è dato così significato e dignità all’art.1 della Costituzione Italiana, ovvero al principio che assegna al popolo la sovranità in una stagione di tragedia della democrazia rappresentativa”.

Tutto questo apre a una nuova stagione di democrazia: il cammino per riappropriarci dei beni comuni che ci sono stati sottratti. E questo l’abbiamo ottenuto senza finanziamenti (ognuno ha dato quello che ha potuto), senza i partiti presenti in Parlamento e senza l’appoggio dei grandi media. Questo rende ancora più straordinaria questa vittoria, la prima nel suo genere nell’Unione Europea.

Dobbiamo ora lavorare sodo per informare, sensibilizzare, per convincere 25 milioni di italiani ad andare a votare (questo è il quorum necessario per la validità del referendum). Sarà una campagna referendaria molto dura perché abbiamo davanti un Sistema economico-finanziario che non può perdere l’oggetto del desiderio del XXI secolo: l’oro blu che è già scarso e andrà sempre più scarseggiando per il surriscaldamento del Pianeta.

Per questo dobbiamo organizzarci bene con comitati a livello provinciale come a quello regionale. Dobbiamo imparare i processi democratici partendo dal basso, lavorando in rete e tenendoci tutti per mano, nel profondo rispetto del volto di ogni persona. Dobbiamo far nascere il nuovo dentro un Sistema che mercifica tutto, anche le persone.

Nel frattempo invitiamo poi i cittadini a chiedere tre cose:

1) la Moratoria della legge Ronchi, per impedire la privatizzazione dell’acqua in pieno svolgimento del referendum perché, in caso di vittoria, quei Comuni che avranno privatizzato, dovranno sborsare somme notevoli ai privati per riappropriarsi della loro acqua;

2) la convocazione di un consiglio comunale monotematico sull’acqua per sottrarre il servizio idrico alle regole del mercato e della concorrenza, e sostenere e appoggiare i due Sì al referendum promosso dal Comitato referendario 2 Sì per l’acqua bene comune;

3) il voto referendario venga associato alle elezioni amministrative previste per il mese di maggio.

Riteniamo poi fondamentale il ruolo che la Chiesa italiana può svolgere in questo referendum. Pertanto ai cristiani, alle parrocchie, alle comunità ecclesiali, chiediamo il coraggio di scendere a fianco di questo grande movimento dell’acqua pubblica. Chiediamo ai nostri vescovi di esprimersi ribadendo che l’acqua è la vita ed è un diritto fondamentale umano. In vista del referendum, chiediamo che la CEI si esprima sul tema di questo referendum, perché si tratta di un problema etico e morale.

Tutto questo è stato espresso molto bene dal vescovo cileno Luis Infanti della Mora di Aysén (Patagonia), nella sua stupenda lettera pastorale 'Dacci oggi la nostra acqua quotidiana': “La crescente politica di privatizzazione è moralmente inaccettabile quando cerca di impadronirsi di elementi così vitali come l’acqua, creando una nuova categoria sociale: gli esclusi. Alcune multinazionali che cercano di impadronirsi di alcuni beni della natura, e soprattutto dell’acqua, possono essere legalmente padroni di questi beni e dei relativi diritti, ma non sono eticamente proprietari di un bene dal quale dipende la vita dell’umanità. È un’ingiustizia istituzionalizzata che crea ulteriore fame e povertà, facendo sì che la natura sia la più sacrificata e che la specie più minacciata sia quella umana, i più poveri in particolare”.

E allora diamoci tutti da fare perché “i fiumi ritornino a battere le mani” quando il popolo italiano sancirà con i due Sì che l’acqua è bene comune, diritto fondamentale umano.

lunedì 24 gennaio 2011

Liberali, ma solo sulla carta

Massimo Giannini, vice-direttore di Repubblica, ha dedicato il suo editoriale del 17 gennaio sul dorso Affari&finanza ai referendum, invitando i lettori a votare no ai referendum. Non condividendo le tesi espresse, Altreconomia gli ha scritto una lettera.

Gentile Massimo Giannini,

mi chiamo Luca Martinelli e sono un giornalista, redattore della rivista Altreconomia.

Ho letto con attenzione il suo editoriale in merito ai referendum (“Liberali che scrivono sull'acqua”), pubblicato sul dorso Affari&finanza del giorno 17 gennaio 2010. Lei è il vice-direttore de la Repubblica, e perciò non posso che interpretare il suo articolo come l'espressione di una ferma contrarietà del vostro quotidiano rispetto ai due quesiti referendari in merito al servizio idrico integrato promosso dal “Comitato referendario 2 sì per l'acqua pubblica”.

Allo stesso modo, Altreconomia, la rivista per cui lavoro, ha scelto di partecipare attivamente alla campagna referendaria, e io risulto tra i 43 firmatari dei quesiti referendari depositati nel marzo del 2010 presso la Corte di Cassazione.

Fatte le dovute presentazioni, veniamo al motivo della mia lettera. È palese che un articolo “di opinione”, com'è necessariamente un editoriale compresso nello spazio esiguo di 2mila battute, non possa contenere né rimandare ad approfondimenti. Vorrei però aprire un dialogo e un confronto franco con il giornalista Massimo Giannini, di cui leggo con attenzione le cronache di osservatore attento e fine analista delle dinamiche del sistema economico del nostro Paese. Sono, di solito, articoli ben documentati. Le cui affermazioni si ancorano a dati di fatto. Questa lettera è così un invito ad approfondire, con la stessa dovizia, anche i temi relativi al servizio idrico integrato.

Parto dalle affermazioni contenute nel suo editoriale. Lei scrive “c'è una realtà pratica, che vuole l’acqua pubblica mal gestita, se è vero che sulla rete idrica nazionale si disperde quasi il 50% della risorsa complessiva”.
Prima di rispondere, dovremmo porci una domanda: è, davvero, la riduzione degli sprechi uno degli obiettivi perseguiti dai gestori del servizio idrico integrato negli ultimi sedici anni, da quando con la legge Galli (l. 36/1994) venne attuata l'ultima importante riforma nel settore? Probabilmente, la risposta a questa domanda è no. L'amministratore delegato di una delle più importanti aziende del settore me l'ha confermato in un'intervista, spiegandomi che la riduzione degli sprechi non è nemmeno un tema “dibattuto” all'interno dei consigli di Federutility, dove nessuno si gloria di aver “tappato i buchi”. Le parole sono “confermate” dai dati del rapporto del centro studi Mediobanca sulle società controllate dai maggiori Comuni italiani, che certifica -e a noi pare significativo- che il peggior acquedotto d'Italia, in termini di perdite di rete, sia quello romano. Mediobanca, e non il Comitato referendario, s'è preso la briga di misurare le perdite di rete (ovviamente a partire da dati forniti dalle aziende) facendo un rapporto non solo tra “litri immessi in rete e non fatturati” e “popolazione servita”, ma inserendo anche la variabile “lunghezza della rete”. Una variabile significativa, che aiuta a scalfire l'immagine dell'Acquedotto pugliese (spa 100% pubblica), il più lungo d'Europa, come colabrodo d'Italia. Lo stesso rapporto, viceversa, segnala che i migliori acquedotto italiani sono quelli di Milano e provincia, gestite da Metropolitana Milanese (100% del Comune di Milano) e da Amiacque (100% pubblica).
E a Roma? A Roma c'è Acea, che probabilmente ritiene strategico e prioritario allargare il proprio mercato piuttosto che tappare i buchi nell'acquedotto della capitale. Non si spiegherebbe altrimenti una strategia che ha portato la società a “partecipare” attivamente (direttamente o attraverso società controllate) nella gestione del servizio idrico integrato in una dozzina almeno di Ambiti territoriali ottimali, dalla Toscana alla Campania, passando per l'Umbria e -ovviamente- il Lazio.

Un altro falso mito che varrebbe la pena approfondire è quello relativo alla dicotomia tra “privatizzazione” e “liberalizzazione”. E l'insegnamento ci arriva sempre da Acea, e dalla lettura di un interessante sentenza con cui nel 2007 l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato ha multato la ex municipalizzata romana e la francese Suez (secondo azionista privato di Acea, oggi, dietro Caltagirone, ma il primo al tempo) per un accordo di cartello (una sorta di “patto di non belligeranza”) nell'ambito del quale le due aziende avrebbero sostanzialmente eliminato la concorrenza in buona parte della gare del servizio idrico integrato che si sono svolte in Italia dal 2002 all'avvio dell'indagine Antitrust (la sentenza cui faccio riferimento è reperibile, integralmente, sul sito agcm.it, ed è una lettura istruttiva).
Le chiedo di aiutarmi a capire a che tipo di liberalizzazione facciamo riferimento quando, trattandosi dell'affidamento di un servizio di rete, ovvero di mera concorrenza “per il” mercato e non “nel” mercato, si ha la certezza che la gara sia truccata.
Da quest'analisi discende una considerazione amara, però: da un affidamento non si torna indietro. Nonostante la ricca documentazione che accompagna la sentenza dell'Antitrust (che pure non ha sollevato l'indignazione della politica), Acea e Suez continuano a gestire a braccetto, e lo faranno almeno per i prossimi vent'anni, gli acquedotti di mezza Toscana.
Ecco: la legge Fitto-Ronchi, che lei saluta come “l’unica, parziale apertura al mercato compiuta da una maggioranza di falsi liberisti”, non tocca assolutamente il nodo del “come si svolgono le gare”. E questo è preoccupante, almeno per me.

Lei scrive che con il referendum si bloccheranno anche “le privatizzazioni e le liberalizzazioni anche di bus, metropolitane, raccolta dei rifiuti, impianti di depurazione e reti fognarie”. Tralasciando che impianti di depurazione e reti fognarie sono parte del servizio idrico integrato, e quindi oggetto di tutta la comunicazione del Comitato referendario, oltre che non gestibili separatamente dalla rete acquedottistica, la invito a riflettere sull'eventualità di una privatizzazione anche degli altri servizi che ricadono nell'ambito della legge Fitto-Ronchi.
E lo faccio a partire dalla prima gara per “affidare” un servizio, quello di trasporto pubblico locale, ex articolo 15 della legge 166/2009. Si sta svolgendo a Torino. La invito intanto a leggere il parere sul bando di gara emesso da un'Agenzia per i servizi pubblici locali del Comune di Torino, che palesa alcune problematicità: mancata previsione della prestazione oggetto del bando (in termini di chilometri di servizio, e numero di passeggeri trasportabili); mancata previsione di eventuali sanzioni per il gestore inadempiente; eliminazione di ogni forma di controllo sul servizio (accesso ai documenti del gestore) da parte del consiglio comunale. L'Agenzia, poi, contesta nel parere che la gara sembra scritta come una “camicia su misura” per un soggetto, Gtt, che già era gestore della rete. Non pare strano, così, che l'unica offerta pervenuta sia quella di Gtt, una società controllata al 100 per cento dal Comune di Torino.
Non interessa, qui, se ciò apra o meno la strada alla privatizzazione di Gtt. Quel che è certo è che si sono “privatizzati” i rapporti tra un Comune e l'azienda che gestisce un servizio fondamentale per il cittadino, se aiutare il Paese ad uscire dalla “schiavitù dell'automobile”, quale il trasporto pubblico locale.

Siamo senz'altro d'accordo su un aspetto: l'esempio dell'Atac, che lei indica come espressione dei rischi di un ritorno al pubblico “statalista” (ma le ricordo che Atac è una società per azioni, e pertanto una società di natura privatistica), manifesta anche a mio avviso la totale inadeguatezza e incompetenza della classe politica che sta gestendo il nostro Paese.
Basti pensare che, invece di rimetter mano alla legge Galli, cercando così di risolvere i problemi più macroscopici che sedici anni di operatività della riforma del servizio idrico hanno palesato, il governo in carica, peraltro espressione della stessa maggioranza che ha eletto a Roma la giunta Alemanno, ha presentato come “riforma” (e non solo del servizio idrico, di tutti i servizi pubblici locali) un decreto che tocca solo l'aspetto (senz'altro marginale, da un punto di vista operativo e gestionale) della modalità di affidamento del servizio, limitando la possibilità per gli enti locali di fornire lo stesso in economia o attraverso società interamente controllate (in house).

Per ultimo, vorrei segnalarle la vicenda di F2i, il fondo della sgr che vede Vito Gamberale come amministratore delegato e che investito nel servizio idrico integrato diventando azionista di Mediterraneo delle acque. Mi colpisce che i Comuni di Torino, Genova, Parma, Piacenza e Reggio Emili e molti piccoli comuni emiliani siano soci di un soggetto (detengono l'altro 60 per cento di Mediterranea delle acque) ma non possono (o potrebbero) spiegare ai propri cittadini chi ha fornito i capitali a questo soggetto diventato loro partner?
I nomi dei “Limited Partners” che hanno sottoscritto oltre 900 milioni di euro in F2i, circa la metà del fondo, non sono noti. È possibile che gli enti locali accettino una situazione del genere? È accettabile che questi soggetti sconosciuti siano, attraverso la società Mediterranea delle acque, titolari del servizio idrico integrato nella provincia di Genova?

Mi permetta, prima di salutarla, una notazione: se davvero l'acqua e tutti gli altri servizi fossero, per natura, “a rilevanza economica”, la Corte Costituzionale avrebbe rigettato il primo quesito referendario. La realtà è, però, diversa. E chi ha preso in giro l'Italia e gli italiani è palesemente il governo, con l'oramai ex ministro Ronchi che ha inserito l'articolo 15 in una norma che, nel titolo, recita: “Adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica”. Il secondo quesito referendario che i cittadini italiani saranno chiamati a votare, invece, pone l'accento sulla tariffa del servizio idrico integrato. E spaventa perché scopre un nodo irrisolto, mai dibattuto con la dovuta cura sui media. Quali sono le modalità di finanziamento del servizio idrico integrato? Possibile che debba essere lasciato totalmente al mercato, e alle tasche dei cittadini? Anche Federutility concorda, ormai, con l'impostazione del Forum italiano dei movimenti per l'acqua: il modello full recovery cost non funziona; gli ultimi sedici anni hanno palesato una riduzione assoluta degli investimenti sulla rete, e -in termini relativi- il Comitato di vigilanza sulla risorse idriche presso il ministero dell'Ambiente certifica che poco più della metà degli investimenti programmati sono stati effettivamente realizzati. Che fare di fronte a questa situazione? Federutility chiede finanziamenti pubblici a fondo perduto a favore dei gestori privati del servizio. Il Comitato promotore chiede invece di riflettere seriamente sul modello e sulla composizione della tariffa; invita a ridiscutere l'esigenza di una finanza pubblica, ruolo cui la Cassa depositi e prestiti para aver abdicato.

Cordialmente,
Luca Martinelli
luca@altreconomia.it
349-86.86.815

http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=2633

lunedì 22 novembre 2010

Acqua di rubinetto

Chi di noi non ha mai visto in tv, riempito da ipocriti sensi di colpa, documentari e servizi di tg sui km percorsi da donne e bambini in Africa con enormi taniche sulla testa, piene di acqua potabile. Eh sì, perchè in parecchie zone dell'Africa è normale: l'acqua è lontanissima. Si parte la mattina presto, si fa il "pieno", si torna, si beve razionato, si spreca zero. E la mattina successiva, si riparte. Noi, nababbi pigri e oziosi, abbiamo l'acqua in casa, da rubinetto, sempre a pressione, controllata dalla fonte, controllabile in qualsiasi momento, e cosa facciamo? Saliamo in macchina, andiamo al centro commerciale di turno, acquistiamo acqua in super offerta, 6 bottiglie di plastica, un involucro di plastica, e tutto l'inquinamento che hanno prodotto. Senza nemmeno pensare. E sprechiamo l'acqua pubblica: ci laviamo 10 volte al giorno; annaffiamo le piante 2 volte al giorno; defechiamo e uriniamo in un buco di ceramica, nel quale gettiamo almeno 10 volte al giorno 15 litri di acqua potabile; laviamo il pavimento, i piatti, gli abiti. Tutto facciamo, tranne che berla!
Stamattina sul sito del Corriere della Sera è uscito un articolo "Acque all'arsenico: l'UE chiude i rubinetti di 128 comuni italiani". In questo articolo è citato anche Torre del Greco, insieme ad altri comuni della zona vesuviana quali Boscotrecase, Cercola, Ercolano, Ottaviano, Pollena Trocchia, Portici, S. Anastasia, San Giorgio a Cremano, S. Giuseppe Vesuviano, San Sebastiano al Vesuvio, Somma Vesuviana, Terzigno, Volla. Grande allarmismo, si parla di possibilità di chiusura dei rubinetti per tanti comuni italiani. In realtà, si tratta di richieste di deroghe ai valori stabiliti con la direttiva 98/83/CE, e già derogate in alcuni casi, dovuti a lavori di adeguamento delle infrastrutture idriche. Ad esempio, se si va a vedere quello che c'è scritto nella richiesta di deroga dello Stato Italiano, per la regione Campania si richiede la deroga massima sino al valore di 2,50 mg fino al termine di lavori che consentirebbero di convogliare parte delle risorse dell'Acquedotto della Campania Occidentale verso il sistema vesuviano, mediante la costruzione del nuovo sistema di adduzione regionale denominato “Sistema Alto” e la ristrutturazione e potenziamento del sistema di adduzione dell’ex Acquedotto Vesuviano con l’intervento denominato “Sistema Primario”. Questo perchè il pozzo vesuviano presenta parametri di fluoro altissimo che non consentirebbero la potabilità. Il tutto è scritto sul sito della Gori S.p.A..
L'Europa ha concesso per il fluoro l'ulteriore deroga richiesta dalla Campania, ma fino al 31/12/2010, questo per consentire appunto i lavori. Ma questo non significa che l'acqua non è potabile, o che l'Europa chiude i rubinetti! Le lobby delle acque minerali cercano di spingere l'utilizzo delle acque in bottiglia, e di orientare il mercato verso il consumo di acque che in realtà non sono nè più controllate nè più sicure e controllate.

lunedì 15 novembre 2010

La montagna ha partorito il topolino: dal Pd una legge sull'acqua

La montagna ha partorito il topolino. Il Partito democratico ha presentato a fine ottobre la propria proposta di legge sull'acqua. A parole avrebbe dovuto fermare la privatizzazione, ma il testo non regge alla prova dei fatti: l'articolo 7, infatti, spiega che “il servizio idrico integrato è un servizio di interesse economico generale”, la formula che l'Unione europea individua per definire quei servizi che possono essere gestito da soggetti di diritto privato (società per azioni pubbliche, miste o private). Gli articoli sono in tutto 15, raccolti intorno al titolo “Disposizioni per il governo della risorsa idrica e la gestione del servizio idrico integrato”. Ed è questo, forse, l'unico merito del testo: a differenza della legge “Ronchi”, quella votata dal governo di centro destra nel novembre 2009, che si limita a disciplinare le modalità d'affidamento del servizio, affronta nel “merito” i problemi legati ai nostri acquedotti, alle fognature, ai sistemi di depurazione.
A scorrerla, però, la legge partorita dal Pd è piena di contraddizioni, a cominciare dai principi (articolo 2): da un lato si scrive che “l'acqua è un bene comune dell'umanità” (comma 1) e dall'altro si sancisce che “è un bene scarso, di rilevanza economica” (comma 4). E pare sia quest'ultimo il comma che ha ispirato i redattori dei successivi 13 articoli operativi, illustrati alla stampa il 21 ottobre, a Roma, da Pierluigi Bersani, segretario del Partito democratico, Dario Franceschini, capogruppo alla Camera, Anna Finocchiaro, capogruppo al Senato, e Stella Bianchi, responsabile ambiente del partito.
Franceschini, nel corso della conferenza stampa, si è lasciato andare, sottolineando che con questa proposta “noi traduciamo l'oggetto del referendum in una proposta di legge”. Il referendum è quello proposto dal Forum italiano dei movimenti per l'acqua, insieme a decina di altre realtà nazionali e territoriali (tra cui Ae), firmato da oltre 1,4 milioni di cittadini italiani. Ma Franceschini, che pure ha firmato per i tre quesiti, forse non ha ben chiaro l'oggetto del referendum: oltre all'“incaglio” dell'articolo 7, è l'articolo 10 (“Tariffa del servizio idrico integrato”) a misurare la distanza abissale tra la segreteria del Pd e i movimenti: oltre al costo del servizio, la tariffa è definita tenendo conto “della quota da destinare agli investimenti” e “della remunerazione dell'attività industriale” (comma 2e). Quest'ultimo è proprio l'oggetto del terzo quesito referendario, che chiede l'abolizione di ogni remunerazione del capitale investito e un ritorno alla finanza pubblica e alla fiscalità generale. Se davvero avesse voluto “tradurre” il referendum in una legge, i legislatori del Partito democratico avrebbero potuto leggere il testo della Proposta di legge d'iniziativa popolare, sottoscritta da oltre 400mila italiani nel 2007, depositata alla Camera dal luglio di quell'anno.
di Luca Martinelli

venerdì 5 novembre 2010

Acqua, coop ci co(o)pia? di Luca Martinelli

Una donna apre un rubinetto, nella cucina della propria casa, riempie un bicchiere d'acqua e lo beve. È uno dei gesti più naturali del mondo, ma assume un significato particolare se a compierlo è Luciana Littizzetto, e milioni di italiani potranno vederlo in televisione. Lo spot, in onda dal dieci ottobre, invita tutti a bere l'acqua di rubinetto, a “imbroccarla”. Non è una “pubblicità progresso”, e non ha ottenuto il patrocinio del Ministero dell'ambiente né del Ministero della Salute: è l'ultima campagna commerciale lanciata da Coop, e si chiama “Acqua di casa mia”.
È stata presentata a Milano il 7 ottobre, nel corso di una affollatissima conferenza stampa. Il giorno dopo la “notizia” ha trovato spazio sulle colonne dei principali quotidiani -la Repubblica, la Stampa, Il Sole-24 Ore-, dove si è aperto un dibattito, anche a colpi di pagine pubblicitarie, con Mineracqua, la potente associazione di categoria dell'industria delle acque minerali. “Hai mai pensato a quanta strada deve fare l'acqua prima di arrivare nel tuo bicchiere?” chiede Coop a tutta pagina; “Acqua minerale. Molto più che potabile” risponde Mineracqua, secondo cui “l'acqua del rubinetto è solo bevibile” (corsivo nostro).
È partita una “disfida” che porterà acqua al mulino di “Imbrocchiamola!”, la nostra campagna per promuovere il consumo di acqua di rubinetto anche nei locali pubblici. Vale la pena, però, analizzare gli eserciti in campo. Dalla parte di Mineracqua si sono schierati i sindacati del settore alimentare -Fai-Cisl, Flai-Cgil, Uila-Uil-: mentre a Milano i giornalisti ascoltavano le parole di Vincenzo Tassinari, presidente del Consiglio di gestione di Coop Italia, e di Aldo Soldi, presidente dell'Associazione nazionale cooperative di consumatori (Ancc-Coop), i segretari dei 3 sindacati si riunivano presso la sede di Confindustria a Roma con Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua. Alla fine dell'incontro hanno sollecitato un incontro urgente al Ministero della salute e a quello dello sviluppo economico per rispondere alla “sottile campagna di disinformazione sulle acque minerali, strumentalmente paragonate all'acqua potabile che scaturisce dai rubinetti” (Augusto Ciafoni, segretario generale Fai-Cisl), e sottolineato in un comunicato stampa l'esigenza di difendere un settore che darebbe lavoro a 40mila persone (considerando l'indotto, forse!) e che rappresenterebbe “un'espressione forte e caratterizzante del Made in Italy”, dato che il Paese esporta un miliardo di litri all'anno.
Detto questo, Mineracqua ha lanciato, con lo slogan “Da un'informazione trasparente nascono scelte libere”, la sua sottile campagna di disinformazione, scrivendo tra l'altro che “l'acqua di rubinetto può essere erogata anche se non rispetta i parametri di legge, perché beneficia di un sistema di deroghe”, senza specificare quali.
Coop, la più grande cooperativa di consumo, 13 miliardi di euro il fatturato previsto a fine 2010, ha dalla sua l'Anci, l'Associazione nazionale dei comuni italiani, e le maggiori associazioni ambientaliste (Wwf, Greenpeace, Legambiente). Ha “approcciato” il Ministero dell'ambiente, senza ottenere per il momento risposta; e ha incontrato anche Mineracqua, evidentemente senza fortuna (“Quando Coop si muove con una campagna del genere, crea una discontinuità -spiega Tassinari-. Chi, invece di contrastarci, sceglie di collaborare con noi, vince con noi”). 
Coop, che ogni anno nei suoi super e iper vende 600 milioni di bottiglie, per un valore di 200 milioni di euro, ha messo in conto di perdere il 10 per cento del “mercato”, che per l'azienda presenta una “marginalità significativa”, un guadagno a due cifre sul prezzo di ogni fardello venduto.
“Acqua di casa mia” resta però una campagna commerciale, rivolta a soci e clienti Coop: l'azienda, che invita a non acquistare acqua minerale, lancia sul mercato la propria “caraffa filtrante”; spiega di aver ridotto il peso delle bottiglie in Pet, ma non spende una parola sull'“alternativa” alla plastica, il vetro; invita i cittadini a scegliere eventualmente una “minerale” proveniente da sorgenti vicine (con tanto di mappa delle fonti “ispirata” da Ae), ma non esclude dagli scaffali le acque imbottigliate più lontano (tipo Lilia o Ferrarelle a Milano o Torino, o Levissima e Sant'Anna al Sud).
La campagna è rivolta al “consumatore”, e non al cittadino. Ma dopo “Imbrocchiamola!” è senz'altro il passo più incisivo verso la rivoluzione culturale cui lavoriamo con tenacia da tre anni.
da http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=2490